Robotica: ingegneri ed esperti di tessuti realizzeranno i muscoli artificiali

Il progetto della Scuola Sant’Anna spiegato dal suo inventore

“La spinta alla ricerca me l’ha data l’idea di riuscire a restituire a tante persone paralizzate, spesso giovani con una lunga prospettiva di vita davanti a loro, la capacità di muoversi che è fondamentale”, spiega Leonardo Cappello,  ricercatore a Pontedera presso l’Istituto di BioRobotica  della pisana  Scuola Superiore Sant’Anna, e autore del progetto MUSE (MuscoloSkeletalExpansion, ovvero espansione muscoloscheletrica). Si tratta, in  soldoni, di  muscoli artificiali  pensati per il recupero dell’uso delle mani, e poi chissà se la nuova tecnica, una volta consolidata, non possa estendersi anche a altri arti.

Un progetto, cui lo European Research Council (ERC), l’organizzazione dell’Unione Europea che premia studiose e studiosi di talento impegnati in attività di ricerca di frontiera, ha assegnato un ERC Starting Grant, ovvero un finanziamento da un milione e mezzo, il massimo concesso. In tutto  sono stati finanziati 400 progetti, ognuno della durata di 60 mesi, per un totale di 628 milioni. Due i progetti premiati che vengono dal Sant’Anna, di cui uno, appunto, il MUSE di Cappello che, tramite la robotica in ambito riabilitativo, è destinato a rendere il movimento a mani fermate da  “ictus, sclerosi, lesioni spinali, altre lesioni, disturbi neurologici”, come spiega il ricercatore per fare solo alcuni esempi. 

Si tratta di soluzioni robotiche per far tornare a muovere i muscoli, per ora quelli delle mani. La novità che rende possibile il recupero è che si tratta di strutture “assai più  leggere e maneggevoli – continua Cappello –  degli esoscheletri finora realizzati  ma che  non si vedono in ambienti consueti o per strada perché non c’è modo di fissarli alle ossa come i muscoli naturali e dunque sono macchinosi da portare, far funzionare e controllare. Per ora si tratta di strutture ingombranti in cui si imbragano le persone e che la robotica ha assicurato prevalentemente per ambienti industriali ma non per applicazioni mediche . Gli esoscheletri attuali funzionano soprattutto  per operai alle catene di montaggio impegnati in spostamenti di pesi importanti come per evitare  l’insorgenza di malattie professionali”.  Cosicché il progetto del trentaseienne ingegnere robotico ricercatore del Sant’Anna è il primo pensato espressamente  per rimettere  in funzione muscoli paralizzati perché “per ora esistono prototipi di esoscheletri per uso medico ma non hanno avuto successo dal momento che non funzionano bene”.

MUSE ha elaborato e intende realizzare  un nuovo sistema, ossia impiantare muscoli artificiali collegandoli direttamente alle ossa come se fossero muscoli naturali. Non inserendoli dentro al corpo umano ma collegandoli direttamente dall’esterno al sistema scheletrico delle persone con disabilità motoria nelle mani. Ovvero muscoli esterni e artificiali (esomuscoli) controllati in maniera naturale dal paziente.  “Le novità  del progetto MUSE sono principalmente due – spiega Cappello –  Una, che i muscoli artificiali non sono in materiali pesanti, plastiche o altro, come gli esoscheletri attuali e dunque scomodi da indossare. Sono in tessuto leggero e gonfiabile. L’altra novità è che, pur non essendo interni al corpo, ma appoggiati sulle mani senza pesare, vengono collegati direttamente alle ossa, come lo è il normale muscolo. Lo si può fare con la stessa tecnologia dei perni ormai rodati e sicuri, usati per gli impianti dentali. Ci vuole una piccola operazione chirurgica per fissare i  perni che approdano sulle mani tramite alcune placchette, ma poi e’ fatta.  

L’arto può muoversi con le stesse tecnologie che esistono per controllare le protesi, tramite sensori di superficie che si appoggiano alla pelle, capiscono le intenzioni di movimento e le comunicano alla struttura di controllo che si gonfia e si sgonfia facendo aprire e chiudere la mano tramite una piccola riserva di aria compresa valida per  una giornata o per mezza giornata simile, per intendersi, alle piccole confezioni di riserva che i ciclisti usano per rigonfiare le gomme e che può essere trasportabile per esempio in uno zainetto alla cintura”. 

Per riassumere, muscoli artificiali leggeri, esterni ma solidamente collegati al paziente attraverso strutture fissate stabilmente e affidabilmente, secondo le tecniche   dell’ osseointegrazione, ormai consueta per le protesi dentali, sempre più esplorata per le protesi d’arto, ma nuova per gli esoscheletri. “Un approccio – spiega Cappello – che permette di sfruttare anche l’osseopercezione, ovvero un meccanismo di ritorno sensoriale necessario per controllare il movimento basato sulla conduzione ossea”.    

Questo il progetto che ha ottenuto il premio europeo. L’obiettivo è arrivare alla data ultimativa concessa con il primo impianto già installato su paziente.  “Ora bisogna correre perché il tempo concesso sembra tanto e invece non lo è. Finora ho fondato il mio laboratorio all’istituto di BioRobotica del Sant’Anna, ho messo a punto il progetto, ho ottenuto un finanziamento 1,5 milioni. Ora, la prima cosa sarà individuare  i collaboratori che sono le risorse più preziose . Devo guardarmi intorno in  fretta.  Ho bisogno di ingegneri robotici ma anche esperti di tessuti”.  

Sembrerà strano ma Cappello non ha dubbi: “Dovrò avvicinarmi alla moda che è esperta di tecnologie nel campo dei tessuti e portare una tecnologia evoluta nel mondo della robotica. Sono concetti  nuovi che io ho già sfiorato lavorando in Usa, dove a Harvard abbiamo realizzato un guanto  per aiutare le persone a muovere la mano. Ma era ancora una soluzione esterna non ancorata alle ossa”.

E ancora. Il ricercatore robotico dovrà collegarsi, prevede, anche con il mondo  medico e infine trovare il suo primo paziente disposto a provare. Cappello è uno dei famosi cervelli tornati dall’America, gli chiediamo perché lo ha fatto. “Là ci sono più occasioni di lavoro, non c’é dubbio e si guadagna di più – è la risposta – Ma io sto bene in Toscana, anche la qualità della vita conta. Sono originario di Arezzo, ho studiato e lavorando girando in mondo, ma sono tornato e lavoro a Pontedera dal 2017” .

In foto: Leonardo Cappello

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