Quest’anno la manovra di Bilancio per il 2025, che sarà presentata a giorni dal Governo, è stata preceduta dalla presentazione del primo Piano strutturale di Bilancio di medio termine, elaborato secondo le nuove regole economiche dell’Unione Europea. Questo Piano, con un orizzonte quinquennale (2025-2029), si basa sulle disposizioni della nuova governance economica europea che orienta la programmazione di bilancio verso il medio periodo con una integrazione fra la politica di bilancio con riforme strutturali e gli investimenti pubblici. Insomma, segue la filosofia “buona” del PNRR che, sulla carta, era impostato su questa integrazione.
Vedremo a consuntivo quanto questa sarà stata l’impostazione e quindi poi effettivamente la realizzazione del PNRR in Italia. Ad oggi qualche dubbio emerge. Sia per la gestione delle risorse, nei tempi e nei modi non sempre adeguati, sia per la tiepidezza delle riforme e delle innovazioni di sistema che avrebbero dovuto essere da supporto al Piano. Fra gli elementi critici è sicuramente da evidenziare la mancanza di un monitoraggio semplice, trasparente e aggiornato che non solo funzionasse da strumento per la PA di gestione attiva, cioè capace di sollecitare interventi dall’alto a fronte di inerzie, ritardi e blocchi, ma che fosse anche uno strumento di informazione per l’opinione pubblica e il mondo dei media. Del PNRR sentiamo parlare spesso, ma informazioni documentate ne girano poche.
Il Piano strutturale di Bilancio è un Documento della massima importanza. Quello che è scritto e che è stato inviato alla Commissione europea resta “inciso nella pietra”. E non può essere modificato non solo da questo Governo ma, visto il suo riferimento temporale, anche dal prossimo a meno di novità, eventi eccezionali o cambi strutturali sempre da verificare con la Commissione europea. Stupisce allora la scarsa attenzione dedicata dalla politica, dal Parlamento e dall’informazione in generale alle valutazioni e alle cifre riportate. Che non sono di “scarso peso”.
Chissà se in molti non hanno pensato: “va be, è solo un documento, poi si vedrà”! Intanto, come giudizio generale, va detto che questo Piano è decoroso. Intendo dire che specie da un Governo rappresentato da Forze Politiche che nel corso degli anni si sono dilettate, pur nelle varie forme e con diversi accenti fra di loro, al “tiro all’Europa e all’Euro”, non era scontata la serietà dell’impostazione e la scelta strategica di lungo periodo fortemente improntata agli indirizzi di buona e prudente gestione finanziaria di “stampo europeistico”.
Il documento prende sul serio l’alto indebitamento dell’Italia, il 135,8% nel 2024, e l’indebitamento annuale pari al 3,8% nel 2024. Si tratta di due parametri sensibilmente superiori ai “buoni parametri” europei che parlano del 60% come debito e di valori al di sotto del 3.0% per l’indebitamento. Di fronte a queste due criticità si sceglie, forse come unica strada percorribile, di avviare in tempi brevi la riduzione dell’indebitamento annuale e di gestire alla meglio, con più tempo, il peso del debito. Nel 2026 si prevede il superamento del primo scoglio, con un indebitamento al di sotto del 3.0%, il 2,8 per poi andare a 1,8% nel 2029, mentre per il debito si rimanda a decenni futuri la possibilità di una sensibile diminuzione. Nel 2029 il rapporto debito su Pil sarà ancora al 134,9%.
Un elemento chiave del Piano è la crescita contenuta della spesa netta, che dovrà mantenersi entro un tasso medio dell’1,5% per tutto il periodo, coerente con le traiettorie indicate dalla Commissione. Si tratta di incrementi decisamente inferiori alla crescita nominale del pil e, cosa più importante anche dal punto di vista politico, decisamente inferiori a quanto avvenuto nel paese nell’ultimo decennio.
Questo elemento lega il Piano strutturale con la manovra di Bilancio per il prossimo anno. Il ministro Giorgetti l’ha sempre detto nei suoi interventi politici. Ora sta scritto su un documento ufficiale, e di rilievo comunitario, del Paese. È finita l’era delle spese facili. Dei bonus alla ricerca del consenso e dell’uso del deficit per gestire tesoretti da elargire a destra e manca. Da oggi in poi cresce il bisogno di investimenti, che devono accompagnare insieme alle riforme il buon andamento del Piano strutturale di innovazione e di crescita, e per la spesa corrente c’è bisogno di disponibilità non “una tantum”. Insomma, di entrate strutturali e di lungo periodo.
A proposito di investimenti c’è una affermazione importante nel documento, che non deve essere sottovalutata. E cioè che dopo la chiusura del PNRR, l’Italia si impegna a mantenere il volume di investimenti raggiunto negli ultimi anni di gestione del Piano europeo. Questo significa che il peso degli investimenti sul Pil non dovrebbe scendere al di sotto del 3.0%, anzi dovrebbe stare abbastanza al di sopra. Ovvio che nel tempo diminuirà quella tassa da Superbonus 110 che ha spostato la spesa in conto capitale dagli investimenti alle “altre spese”, che dovrebbero di nuovo attestarsi, come è tradizione nel Bilancio dello Stato, intorno all’1.0% dopo aver toccato quota 5,2%. Ma è evidente che si tratta di un impegno importante che ben si accompagna alle necessità impellenti della transizione energetica e digitale e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Finalmente le reti energetiche, la digitalizzazione della PA e gli investimenti sulla sicurezza e la disponibilità della risorsa idrica, che significa lotta alle alluvioni e alla siccità, prenderanno il posto della costosa ristrutturazione di pochi edifici di proprietà privata.
La Manovra di Bilancio 2025 sarà quindi la prima manovra di una “nuova era”. E la Politica dovrà cominciare ad attrezzarsi ad un nuovo linguaggio pubblico. È ora di dire basta, sia per le forze di governo che per quelle dell’opposizione, alla battaglia per il “di più”. Fra le forze di Governo e quelle di opposizione si assiste, sgomenti per chi sa fare un po’ di conti, a un’incontrollata a lista della spesa aggiuntiva. Quasi che le risorse fossero infinite. Ed invece così non è. La politica deve scegliere, dare priorità e chiedere più responsabilità alla comunità nazionale. Non deve vincere chi offre di più, ma chi è in grado di delineare un sentiero possibile di crescita, non solo economica, del Paese.
Vorrei chiudere con un esempio: la sanità. Nel recente Rapporto Gimbe si riporta che a fronte di una spesa pari a 176 miliardi, il pubblico copre 130 miliardi mentre le “tasche” dei privati ne coprono 46. Sono dati impressionanti per molti di noi che siamo cresciuti con il mito del “tutto pubblico” in sanità. Poi si deve aggiungere che molti cittadini, incapaci di pagare la spesa privata, non ricorrono neppure alle cure necessarie. Ebbene di quanto dovrebbe aumentare la spesa pubblica sanitaria? Quanto sarebbe giusto e quanto sarebbe possibile? Ecco, la risposta a questa domanda rappresenta il nuovo terreno della politica. Ci vogliono riforme, ci vuole spending review per eliminare il superfluo e immettere il necessario, ci vuole una nuova gestione e ci vuole il coraggio di dire a tutti i cittadini cosa possono avere dal pubblico e cosa no. In un nuovo patto di welfare.
La speranza è che il Governo, che ha iniziato bene questo percorso, e l’opposizione, e quindi la politica tutta, siano all’altezza di questa sfida. Astenersi incapaci e imbonitori.
In foto il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti