Uno spettro si aggira per l’Occidente laico ex gaudente: la rinuncia. E quindi: digiunanti e scioperati della carne di tutto il mondo unitevi, e copulate, altrimenti disperdetevi una volta per tutte, ognuno nel proprio smartphone o cameretta spoglia.
Questo spettro, un pendolo che (parafrasando Schopenhauer) oscilla tra l’accresciuta noia e la soccombente foia, si chiama Sex Recession. Galimberti, parlando del nichilismo, direbbe che manca lo scòpo (non fate battute né giochi di parole), cioè il senso, quindi il tèlos, qualcosa cui tendere e in cui credere.
Negli ultimi anni, tre grandi ricerche sulla sessualità dicono che in questi due decenni la vita sessuale (nei nostri paesi ricchi e moderni) è cambiata, o meglio, è calata nei numeri. Anche nel Regno Unito (per fare un esempio), nonostante le gravidanze indesiderate di molte giovani, specie tra le meno astemie, e col paradosso che nella loro fascia d’età è in aumento la promiscuità: il paese libero e disinibito, inventore della minigonna e all’avanguardia nell’accettare l’omosessualità (non solo quella dei divi del pop-rock; sembra passato molto più di un secolo dall’età vittoriana, quella del processo a Oscar Wilde, 1895, anno in cui è nato il cinema e forse pure il circo mediatico-giudiziario).
Gli ultimi dati statistici disponibili rivelano che i rapporti sessuali, in media, su base mensile, sono calati da 4 a 3 (con la conseguenza, ovvio, di un sensibile calo delle nascite; certo, esiste la contraccezione, e pure questa incide: tuttavia dette precauzioni si prendono se c’è una pratica, e qui di pratica ce n’è sempre di meno. Ci voleva Lancet (2013), autorevolissima rivista scientifica, per dirci che “la condizione femminile continua lentamente a evolversi verso una maggiore indipendenza dall’uomo”, e “ciò si traduce anche in una minore quantità di donne che vivono in coppie eterosessuali”, sicché “uno dei cambiamenti netti, all’interno della popolazione femminile, sta in una maggiore propensione all’omosessualità”. Ma va?
I virgolettati qui sopra li troviamo in un bel saggio appena uscito: “Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso” (Einaudi, ottobre 2022), scritto dallo psicoanalista di fama mondiale Luigi Zoja e presentato come “uno studio approfondito e senza precedenti sulla sessualità nel nostro tempo, avviata nell’indifferenza generale verso un declino difficile da arrestare”. E ancora, dalla quarta di copertina: “La vita erotica del XXI secolo incontra nuovi problemi perché deriva da una sottrazione: è quello che sopravvive dell’amore quando è stato privato del mito (…) In Occidente è in atto una tendenza che potrebbe estendersi all’intero mondo globalizzato: l’attività sessuale è in costante diminuzione, specialmente tra i più giovani, mentre è aumentata l’età media del primo rapporto. Nemmeno l’avvento delle app per incontri ha corretto questa rotta, rivelandosi persino controproducente. Eppure, intorno a una questione tanto cruciale, inedita e ricca di implicazioni, non si è ancora costruito un vero dibattito. Qual è l’origine di questa rinuncia? E com’è possibile che un fenomeno di tale portata avvenga in una società che, grazie alla rivoluzione sessuale, pareva essersi liberata da tabù e costrizioni? (…) Le infinite prefigurazioni del desiderio sessuale, che non provengono più dall’interno della personalità, come ciò che chiamiamo eros, ma ci giungono già confezionate dal mercato, o dalla pressione di certi gruppi; si tratta di libertà totale solo a parole, che nei fatti è spesso vissuta come prigionia all’interno del corpo e delle sue funzioni”. L’autore-studioso fa il suo excursus storico e, partendo dai numeri, va “alla ricerca delle motivazioni profonde di una generale fuga dall’intimità dei corpi, nel tentativo di riportare finalmente la sessualità al centro del discorso, come aveva fatto Freud per primo oltre un secolo fa”. Cioè: da grande protagonista del secolo scorso, la sessualità potrebbe essere avviata a una dissoluzione come pratica, ma perfino come tema. Il problema è immenso, le discussioni che lo riguardano sono squittii di un topo». Urca, c’è poco da stare allegri.
Convitato di pietra, il desiderio: il “destino (senza futuro? – ndr) del desiderio” (Recalcati), quindi l’attitudine a desiderare. Oggi manca il senso di mancanza (volano del desiderare: si desidera solo ciò che manca, che non si ha a disposizione, ed è una regola universale che vale anche in economia; è la regola della scarsità, del non inflazionare l’offerta sennò il bello della domanda va a ramengo, soprattutto in una società dell’abbondanza h24; il troppo stroppia, la bolla scoppia). Esageriamo: e se avesse ragione Lacan, quando sostiene che “non esiste rapporto sessuale” (il n’y a pas!)? Già: se non esiste, che senso ha scriverne?
Il web tracima di siti e “porcali” dedicati a una specie di all you can eat (carni vere, mica cose da vegani) per tutti i gusti e i disgusti, dove l’ingresso è libero, l’accesso è gratuito e la consumazione (in tutte le salse, specie quelle più piccanti) è d’obbligo: boh, caro Lacan, forse fraintendiamo noi, sono solo canzonette, non mettermi alle strette: magari si tratta di seminari sul surriscaldamento globale, o meeting sulla transizione scatologica. Siamo nell’era della “scomparsa del prossimo” (Zoja 2009), dell’individualismo-atomismo-netflixismo spinto (“Padroni dello zapping a casa nostra!” lo slogan), di tanti hikikomori che tra un sudoku e un seppuku metaforico tardo-nerd puntano al ventre molle del capitalismo (quasi fossero novelli Mishima) finendo però con il colpire e colpevolizzare sé stessi. Dal Maschio Alfa al Maschio Romeo, protagonista romantico degli Aristogatti. Mentre le donne sono sempre più pratiche, sgamate e muscolari, e al babydoll preferiscono il body building. Per questo due miei amici hanno rischiato di essere denunciati per “modestie” sessuali.
Tra distratti ed equidistanti, neo-casti e neo-astinenti, assuefazione alla virtualità e invenzioni di viziosità varia, psicoansie e nuovi rischi, solipsismo e onanismo, “disturbi del sistema binario” (Magrelli 2006) e “quella maledetta paura di non essere all’altezza” (Morelli 2022), scopriamo che il libro nero dell’intimità a due è fatto di pagine oscure, zone grigie, storie rosé di chi va in bianco: altroché 50 sfumature di ligio (al dovere), qui siamo al disarmo e alla resa strategica, tipo minestrina in brodo, alla pera cotta con stracchino magro di tanti, troppi ricoverati in terapia “ostensiva” (si annuncia, ci si autorappresenta, ma alla fine non si trova la quadra, il cerchio resta aperto). Sono passati 60 anni dalla Primavera silenziosa della biologa ambientalista Carson (1962), ma “l’inverno del nostro scontento” (Shakespeare) ha bisogno di un ritorno alla lingua madre e al selvatico, di ricominciare come bio comanda.
Mala “tiepida” currunt. Con la tecnologia digitale oggi è più facile comunicare, incontrarsi, ma questa comodità sembra non faccia la differenza da un punto di vista operativo e prestazionale. Nel regno del turbo-furbo-consumismo non consumare sembra un paradosso, un controsenso, eppure... Che sia una forma volontaria di protesta o una reazione inconscia a tutta ‘sta cornucopia?Una prece… da cui questa litania:
– durante i mesi del lockdown da Covid le vendite di sex toys sono salite alle stelle… sì ma, paradosso, del sesso – ci dicono le ricerche di laboratorio scientifico-sperimentali dell’equipe del luminare prof. Catz, i famosi test di Catz – oggi si fa volentieri a meno;
– dopo il distanziamento sociale e l’isolamento dei corpi ci si sarebbe aspettati un “effetto-rimbalzo” di tutto rispetto, per recuperare le occasioni e il tempo perduto… e invece nulla di eclatante o di compensativo sul fronte coitale (anzi, l’astinenza forzosa ha forgiato l’abitudine al digiuno, un po’ per pigrizia e un po’ per atrofia, o magari per mutamento delle priorità – con annesso recupero di valori più stabili – oppure per la fortificazione di una comfort-zone resiliente e desistente estranea alla fatica mentale e al rischio passionale, compreso quello di contrarre malattie veneree);
– la proliferazione delle app di acchiappo tipo Tinder, Meetic, Facebook Dating e via chattando… sì, ma di sesso – ora pro nobis – a conti fatti se ne fa comunque poco. “In media ogni 100 swipes (“strisciate” o “scrollate”: si parla di Tinder – ndr) si arriva a soli 1,63 match, e il match non consiste in una notte di passione, ma solo nello scambio di un like” (Zoja 2022);
– lo sdoganamento e l’onnipresenza del porno online, ormai l’unica agenzia sessualmente educativa in real time (ciaone scuola pubblica!) delle nuove generazioni, con tutto quel che ne concerne in tema di stereotipi di genere, falsi miti e persino violenza latente… ok, ma nella vita reale il sesso si pratica sempre più raramente, e nonostante l’alto turn-over dei partner;
– il consumo anche tra i giovani della cosiddetta pillola blu, nella top five dei farmaci più venduti insieme ad ansiolitici e antidepressivi (e non è un caso)… ok, ma le statistiche dicono che i rapporti ugualmente non abbondano;
– le mode e la pubblicità spingono su cisgender o transgender che non devono chiedere mai, quindi sull’osare e quando serve pure sull’usare, ‘sti filoni. Del tipo: si vive una sola volta, Dio è morto e anche tu non hai una bella cera, per cui dacci dentro fin che puoi, sii un bomber e non un mediano. Massì, un po’ di poliamore e via (meglio abbondare che deficere, sii democratico con tutte e diversifica l’investimento, in fondo “siamo vasti, conteniamo moltitudini” direbbe Whitman, e cerchiamo complimenti da più parti per completarci o complicarci al meglio). E allora one night stand sia, una botta e via, poi tanto si fa ghosting, anche se è da “stronzing” e amen… Per segnare occorre metterla dentra (è la dura legge del gol, canterebbero gli 883): non basta fare ammuina, fare sexting da casa inviando dick pic, spararla grossa per farsi belli, abbonarsi a più profili sulla piattaforma del momento, OnlyFans, né fare i guardoni o i mammoni; lo scambismo, poi, non è che aumenti i casi d’amplesso, poiché cambiando l’ordine degli addendi le cifre assolute mica cambiano;
– la vita è tutta un quiz, ma anche un grande suk digitale, dice la mia amica giapponese Su Kyon, un mercato dove c’è chi vende e chi compra, proprio come nel Far West Web, in cui vige la legge del più forte, dove a dettare legge è l’immagine, la forma (meglio se soda e rotonda), la vanitas del mostrare la propria mercanzia senza troppi veli di Maya.
Come se non bastasse, ci mancava solo il politically correct, la cancel culture, lo schwa e gli asterischi a fine parola per non declinare il genere, il MeToo dei puritani e perbenisti forcaioli, il Se non ora quando?, i Se son rose fioriranno, i Se mi lasci ti cancello (film 2004), le castratrici calve e i narcisisti seriali, e poi Allen e Spacey e Polanski, la manomorta di Remigi, la manostorta di allenatori registi tenori e persino alpini, il revenge porn, i pop-corn con sorpresa tipo “Il tempo delle mele”, il “palp” fiction fuori dalla stadio o al veglione in piazza a Capodanno, il catcalling, il mansplaining, il dirty dancing e dirty talking fino a dirty finalmente addio!, i bimbiminkia del bullismo e le gattemorte più che mai redivive. E ancora: secondo un sondaggio del 2017 il 17% dei maschi americani di età tra i 18 e i 20 “ritiene che invitare una donna ‘a bere qualcosa’ sia già classificabile come molestia sessuale” (ancora Zoja 2022).
Tutti (apparentemente) più liberi e liberati e liberali e libertari e libertini (ma la troppa libertà, si sa, rende schiavi della smania di metterla a frutto: ottenure la libertà e non sapere che direzione prendere, che potenzialità esaudirne, insomma che farne), tutto in vetrina, tutto a km 0, col costume morale sessuale che ha fatto passi da gigante (talvolta all’indietro, da gamberi del progresso civile, e vabbè). Non ci sono più i pretori che sequestrano le riviste a luci rosse in edicola e i filmini osé nelle sale, o che bloccano gli spettacoli da night club più espliciti per oltraggio al pudore (cfr. “Il comune senso del pudore”, film del 1976); ma nemmeno non esistono più, almeno nella narrazione corrente, le cene eleganti con la disco burlesque in taverna, l’ebbrezza e l’eccesso carnascialesco della Venezia di Casanova, le feste di Trimalcione e l’epopea di Eliogabalo, il Satyricon e il Decameron, l’Aretino e il Baffo, Si sta spegnendo l’ardore dell’ardire: basta riascoltare lo scambio finale dell’ultimo film del chiaroveggente Kubrick, “Eyes wide shut” (1999). Tre battute; Lei, la Kidman: “C’è una cosa molto importante che noi dobbiamo fare prima possibile”. Lui, Cruise, un po’ ingenuone: “Cosa…”. E lei: “Scop…”.Che dire: in fondo “tutto il resto è noia”, cantava il Califfo.
Insomma, tutto più facile, on demand, take away, basta un clic; spesso però serve un “cric” per sollevare l’attrezzo e il morale, visto il deprimente andazzo… Per fortuna, però, si può sempre optare per la sublimazione o l’ascesi o la compassione (le tre vie per uscire dal buio d’un mondo schiacciato tra volontà e rappresentazione, cioè tra pulsione e inautentico: ah, il grande Arthur nell’Ottocento scrisse pure una “metafisica dell’amore sessuale”, Bur 1992).
Dalla liberazione sessuale all’ibernazione anti-sesso, dall’emancipazione alla marginalizzazione, dalle crociate al grido di “Lutero è mio e la mia riforma protestante me la gestisco io” alla ritirata strategica sotto le insegne del “grazie, le faremo sapere”; insomma: dalla gioia alla noia, dalla libido esibita alla pace dei “senza”, ovvero dalla pratica estesa all’astinenza diffusa. Sotto la spinta del Sessantotto e dopo lo sdoganamento a vario titolo del 69 (una sorta di “parità di genere”, di democrazia letteralmente “orizzontale”), le solite ricerche e statistiche dicono che stiamo vivendo in un’epoca di grande riflusso. Una “società della stanchezza” (Byung-Chul Han; cfr. anche Serra sulla generazione degli “sdraiati” e Veneziani appena arrivato in libreria con la sua fenomenologia degli “scontenti”) dove a farsi battere dalla fiacca è quel “con-senso del dovere” naturale conosciuto come istinto: il millenario espletamento delle prerogative di Eros, dio dell’energia vitale, dell’unione dei corpi, della prosecuzione della specie.
Zoja la chiama psicoastenia: “Per difficoltà lavorative, economiche, esistenziali, la vita di un ventenne odierno è più complessa e generatrice d’ansia di quella dei coetanei di qualsiasi generazione del Novecento” (p. 209). Al sesso oggi ci si sottrae, si rinvia, per tutta una serie di ragioni che la ragione, parafrasando Pascal, non sempre riconosce come ragionevoli, ma tant’è. Fa paura, per cui “il richiamo della foresta” (London) è tenue, flebile, lo si aggira con surrogati e palliativi o, alla meglio del meno peggio, lo si riduce a “piacere solitario”, a passatempo antistress certosino, da amanuensi 2.0 che faticano a tagliare i ponti (continuando a farci i conti) con il proprio ombelico e, se va bene, i propri “neuroni spettro”.
In principio fu Freud con le sue articolate e rivoluzionarie teorie in materia di sessualità e, più avanti, di “disagio della civiltà” (che per esistere e resistere deve reprimere certe pulsioni). La controcultura beat e hippie, l’uscita dai tabù per aderire a nuovi totem, la nuova religione del tutto-e-subito, evvai! Poi, trascorsi alcuni decenni, libri che fecero epoca come la “paura di volare” della Jong e l’italianissimo “porci con le ali” sono stati sostituiti, per dire, da concetti come “paura di volere” e “paduli con le ali tarpate”. Oggi, proiezione per proiezione, ci si butta sul lavoro o sulla creatività artistica (dalla frizione alla fruizione: libri, musei, concerti, trekking, uncinetto), fuggendo dalle rogne e dalle responsabilità derivanti dallo stare in un sistema di relazioni figlio di un mondo cinico, baro e barzotto (cioè a metà).
Massì, eccitiamoci a citare, tanto – te pareva – ambasciator mica porta “pene”.Quindi: dal ronzare studentesco del giornalino La Zanzara al liceo Parini al “non si sente volare una mosca” nelle camere da letto delle coppie di oggi; dalle lenzuolate giornalistiche dei pionieri della liberazione, capaci di fare rumore nella morale pubblica e pubica, al sound of silence sotto le lenzuola dei nuovi “renitenti alla lena”. Dunque: bye bye Marcuse con la sua battaglia contro la società repressiva colpevole di deprimere anche il sesso, bye bye Reich con i suoi studi sull’energia sessuale e le macchine orgoniche per favorire l’orgasmo, e bye bye pure Fromm con la sua “arte di amare”, che una volta imparata la si è messa subito da parte.
Parentesi a corredo. In un altro libro, “Ancora bigotti. Gli italiani e la morale sessuale” di Lombardi Vallauri (Einaudi 2020), leggiamo che “la morale sessuale sia una delle cose in cui la nostra civiltà è progredita di meno negli ultimi 4000 anni. Chi ritiene di non avere limiti non oserebbe mai farlo in piú di due. Tutte le coppie ostentano una stretta monogamia, e ogni contatto con terzi è considerato un tradimento che può distruggere il rapporto. Anche i giovanissimi vivono sostanziali matrimoni di reciproca sorveglianza. E mentre tutti si dichiarano libertari, di fatto si danneggia continuamente la reputazione delle persone a partire dai loro comportamenti sessuali. Nel profondo la morale sessuale è mutata pochissimo, e per alcuni aspetti sta tornando indietro, come segnalano molti intellettuali”.
Poi è arrivato Bauman, polacco, a dirci che anche l’amore (come la modernità, come la società) oggi è più liquido che mai. Liquido sì, per le dinamiche poco mistiche e molto consumistiche (homo consumens) con cui si svolge il corteggiamento e l’accoppiamento, ma anche “liquidato”, nel senso di messo da parte, fatto fuori dalle nuove tendenze del mercato dell’intrattenimento e da prassi postmoderne sempre più deboliste in fatto di ancoraggio alle grandi narrazioni socio-culturali e letterarie. Siamo merci alla mercé del mercato: no string attached – senza complicazioni affettive o romanticismi afflittivi.
Ultimi dati. Ai giovani fare fiki-fiki non interessa granché (preferiscono, o meglio, dirottano la loro nave-scuola verso ilgaming, la PlayStation, il parkour, Tik Tok, il twerking) e tra i 16 e i 24 anni coloro che copulano tendono a credere – tenetevi forte – alla monogamia, in controtendenza rispetto alla generazione precedente. Laici sì, ma fedeli… almeno per mancanza di occasioni (quelle che fanno l’uomo glabro, e difatti ormai si depilano tutti).
Noi, nel nostro piccolo (tanto le dimensioni non contano, no?), continueremo a “sperare” nel mucchio: chi c’è c’è, avanti un altro o un’altra, largo ai fucktotum della città, Figaro qua Figaro là… È uno sporco lavoro di ricucitura, e di prosecuzione della specie (ammesso che ne valga il gusto o la pena), ma qualcuno lo deve pur fare; una missione che deve suonare come un imperativo categorico kantiano: se puoi farlo, non tirarti indietro. Fallo!
(1. FINE PRIMA PARTE – CONTINUA… forse)
Immagine: L’abbraccio di Egon Schiele in copertina del libro di Luigi Zoja