Il VII convegno nazionale dell’Aici, che si terrà a Napoli nei giorni 9-11 di novembre e che titola “Italia è cultura. Le sfide degli anni ’20”, è alle porte. Un convegno che mette l’accento sul ruolo odierno della cultura e dei suoi presidi, in particolare in un momento storico difficile e per certi versi confuso come quello contemporaneo. Abbiamo raggiunto la vicepresidente dell’Aici, Flavia Piccoli Nardelli, ponendo alcune questioni.
1. Ancora una sfida per il mondo della Cultura, stretto fra una pandemia che resta strisciante, una guerra sul suolo europeo che rischia di evolvere verso il nucleare, e il rischio di una frattura del tessuto sociale che potrebbe innestare pericolose derive totalitarie. In che modo la cultura può, se può, assumere il ruolo di strumento di comprensione e gestione della crisi e quale ruolo possono giocare gli Istituti culturali in questa complessa partita?
L’accelerazione provocata dalla guerra in Ucraina, dalla crisi di governo, dai risultati elettorali del 25 settembre, rischiano di farci sottovalutare i due fattori che hanno condizionato e stanno condizionando la situazione socioeconomica del nostro Paese: gli anni di pandemia di cui ancora dobbiamo studiare gli esiti e l’adozione del PNRR, un programma capace di modificare le sorti dell’Italia per il futuro.
Tenere ben saldi questi due elementi è uno dei compiti che gli istituti debbono fare propri, forti delle risorse che vengono da comitati scientifici di grande livello e da consolidati approcci metodologici. Sono temi che coinvolgono la società e la realtà economica del nostro Paese, così come si sono venuti formando nella nostra storia.
Ecco perché trovo particolarmente azzeccato il titolo di questo nostro incontro: “le sfide degli anni 20”. Perché di sfide si tratta, quelle degli anni ‘20 del secolo scorso perdute, quelle di questi ultimi ancora tutte da giocare.
2. Quali potrebbero essere le misure legislative da adottare prioritariamente all’inizio di questa legislatura?
A fronte di un rischio effettivo di fratture sociali aumentate in epoca di pandemia, la XIX legislatura deve assumersi il compito di assicurare al Paese investimenti mirati e innovativi con misure legislative capaci di colmare i crescenti divari sociali e territoriali tra le diverse aree del Paese.
Per il mondo della Cultura, quello che serve è chiarirsi le idee ed operare con coerenza per evitare il rischio di spinte ad intervenire in modo estemporaneo nei vari settori. Certo i musei hanno bisogno di lavorare in modo diverso, la lirica ha bisogno di maggiori sostegni, gli archivi e le biblioteche soffrono di grandissima carenza di personale, la scuola al Sud marca difficoltà che l’Invalsi registra e le università del Mezzogiorno lamentano meno disponibilità per progetti di ricerca e per garantire il diritto allo studio.
La necessità di avere una chiara politica culturale è ancora più evidente se noi consideriamo il PNRR per quello che è, la più grande occasione di modernizzazione del Paese da molti anni a questa parte. Per questo in Parlamento abbiamo combattuto perché fosse inserita la clausola del 40% degli investimenti da dedicare al Sud. Ma per mantenere questo impegno, noi sappiamo che occorre affiancare interventi e politiche strutturali in legge di Bilancio per rafforzare quanto previsto dal Recovery Plan sostenendo la scuola, l’università, la ricerca, i beni culturali. Solo così riusciremo a garantire quegli obiettivi di coesione e di sviluppo armonico tra i territori che ci consentano di colmare definitivamente i divari del nostro Paese.
3. Uno dei problemi che si pongono con più forza nell’ambito del panorama culturale italiano inteso come meccanismo di trasmissione, conservazione e “vivaio” per lo sviluppo futuro, è l’impatto della digitalizzazione, che dovrebbe essere ancora più potente dal momento che è agganciato alle disponibilità finanziarie messe in campo dal Pnrr. Come procede, se procede, questo processo di trasformazione e in che modo le istituzioni culturali private rappresentate dall’AICI potrebbero trarne beneficio?
Per quanto riguarda il ruolo degli istituti, per come si modificherà nei prossimi anni, è evidente che i temi proposti dall’azione 3, a proposito di strategie digitali, di occupazione giovanile e femminile e di coesione sociale saranno fondamentali.
Gli istituti già dal momento dell’adozione del PNRR si sono posti il problema di come inserirsi all’interno di questi obiettivi. La riflessione è andata avanti, le trasformazioni operate dal digitale portano a politiche di apertura e di condivisione con l’obiettivo di garantire la fruizione dei patrimoni posseduti. Sono politiche che devono continuare, assicurare la collaborazione fra pubblico e privato tipica di realtà come gli istituti, garantire un confronto proficuo fra realtà che operano in diversi settori accademici e in diverse parti del Paese, obiettivi immediatamente raggiungibili. Sono riposizionamenti complessi che richiedono agli istituti capacità di riflessione, di adeguamento, di proposta. Mi conforta però la consapevolezza che gli istituti lo stanno facendo.
4. Cosa ne pensa della riserva del 40% dedicato al Sud, soprattutto per quanto riguarda l’effettiva possibilità per le amministrazioni del Mezzogiorno di accedere alle risorse?
Come già detto, considero essenziale assicurare che il 40% delle risorse previste nell’attuazione del PNRR siano garantite alle Regioni del Mezzogiorno, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza. La clausola, introdotta in sede di conversione del decreto legge 77 del 2021, affida il rispetto di tale obiettivo alla verifica del Dipartimento per le politiche di coesione. Le due relazioni della Cabina di regia costituita per l’attuazione del Piano, a proposito della clausola prevista, danno conto dei risultati raggiunti. La prima su dati al 31 gennaio 2022, la seconda con dati al 30 giugno 2022.
Gli interventi riguardano il rafforzamento della strategia nazionale per le aree interne, gli ecosistemi per l’innovazione al Sud, la lotta alla povertà educativa, la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie, la riforma della governance e gli investimenti nelle zone economiche speciali del Mezzogiorno. I dati di giugno evidenziano purtroppo le tante incognite che permangono sugli interventi attivati. Rispetto al precedente documento di gennaio, la relazione di giugno mette in luce come siano stati fatti notevoli progressi perché i progetti e le misure attivate sono aumentati, anche se resta una evidente fragilità complessiva. Le quote di intervento differiscono significativamente tra i diversi ministeri: il Ministero della cultura è circa al 38%, il turismo al 28,6%, quello dell’istruzione al 44,2%.
È evidente la difficoltà di rispettare la clausola del 40% a fronte di una bassa capacità progettuale delle amministrazioni meridionali e di una scarsa vivacità imprenditoriale delle aziende nel Sud. C’è un evidente margine di rischio per l’insufficiente capacità di assorbimento delle risorse da parte dei potenziali beneficiari.
Mi pare altrettanto evidente la necessità di prevedere interventi che rafforzino la governance e garantiscano clausole di salvaguardia, come avvenuto per esempio per i bandi riaperti per gli asili nido a fronte di risposte inizialmente troppo basse nel Sud.
5. Secondo molti interpreti, l’avvicendamento di un governo di destra tout court che l’Italia sta affrontando in questo momento, può essere letto come un avvicendamento di “culture”. Lei che ne pensa?
Non un avvicendamento di culture ma un lavoro complementare, io spero, memore del lavoro fatto nelle ultime due legislature in Commissione Cultura della Camera dove, sui temi chiave del Paese, tutti i gruppi parlamentari hanno saputo trovare le necessarie convergenze. È l’auspicio che io credo dobbiamo realizzare perché diventi il nostro metodo di lavoro.
Foto: Flavia Piccoli Nardelli