Il museo, l’opera d’arte e il linguaggio del corpo. Un trio rivoluzionario per cui i primi non restano più solo luoghi di conservazione e conseguente statica, e in genere veloce, contemplazione. Il museo conserva la tradizione che gli assegna il ruolo, comunque fondamentale, di spazio consolidato per la custodia dell’arte riconosciuta come tale, ma al tempo stesso la supera, passando dall’offrire l’occasione di una visione piacevole ma inerte a promuovere nei visitatori un ruolo da co-protagonisti, diventando così luogo sociale . Uno spazio vivo che lega corpi e opere d’arte, cultura e espressione gestuale, luogo di benessere fisico e di attività di comunità. È la nuova idea che contamina via via alcuni dei luoghi della conservazione artistica, quale più, quale meno, rivelando che per l’intero paese qualcosa si muove. Come è apparso chiaro in un’intera giornata di convegno, l’altro lunedì a Firenze nella sala, in Oltrarno, di Cango Cantieri Goldonetta, la sede del Centro nazionale di produzione della danza Virgilio Sieni, “uno dei soli due centri di questo tipo considerati di rilevanza nazionale in Italia e sostenuti dal ministero” , sottolinea Sieni.
Titolo del convegno, a cura del Centro Nazionale di Produzione della danza Virgilio Sieni e con il sostegno della Regione Toscana, della Fondazione CR Firenze, del Comune di Firenze e del Ministero della Cultura: “Abitare il museo.Il corpo dell’arte”. Dunque non visitare il museo ma abitarlo, farlo proprio, viverlo, sentircisi a proprio agio. Sul tema si sono confrontati, venuti da ogni parte d’Italia, direttori di musei, antropologi, operatrici e operatori del welfare culturale con il proposito di attraversare alcune delle più rilevanti esperienze nell’ambito dei nuovi modi di frequentare gli spazi museali che stanno iniziando a circolare e che prendono in considerazione non solo la conservazione dell’opera d’arte ma anche il benessere individuale e lo sviluppo di legami comunitari. A partire dal racconto di alcuni percorsi ideati e condotti da Virgilio Sieni, si sono ripercorsi i principali progetti che sul territorio nazionale hanno avuto come fine quella di esaltare le potenzialità di una nuova fruizione del museo, stabilendo nuove relazioni tra questo, ilterritorio e la comunità. Un Nuovo modi di vivere arte e museo.
Ne hanno discusso Stefano Baia Curioni, direttore di Palazzo Te a Mantova e docente della Bocconi di Milano, Stefano Casciu, direttore regionale Musei nazionali Toscana, Eva Degl’Innocenti, direttrice del Settore Musei Civici Bologna. E siccome l’incontrò era stato inserito nel festival LaToscana delle donne, ideato dalla capo di gabinetto del presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, Cristina Manetti, hanno avuto uno spazio privilegiato alcuni percorsi pionieristici promossi da curatrici e operatrici donne dai quali è emerso un modello femminile di welfare culturale che sperimenta pratiche innovative di fruizione culturale di cui hanno parlato Cristina Bucci, fondatrice dell’associazione culturale L’immaginario, e Chiara Damiani, responsabile dell’area educazione museale per Stazione Utopia. Mentre il dialogo tra Franco La Cecla, antropologo e docente presso la NABA e lo IULM, e Paolo Verri, direttore della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, docente presso l’Università Cattolica di Milano, lo IED di Torino e lo IULM, ha considerato come le sollecitazioni della contemporaneità suggeriscano la triangolazione arte-cultura-comunità, pur tra ricchezza e contraddizioni.
Alla fine, dopo i discorsi, le testimonianze e i progetti, è arrivata anche la dimostrazione vissuta della possibilità di un nuovo rapporto arte – corpo tramite una serata al Museo di San Marco dove, in collaborazione con le opere del Beato Angelico lì custodite, è andato in scena il rivoluzionario progetto di Virgilio Sieni, Lumen Naturae. Un tipo di vista al museo aperto a chi volesse sperimentare per la prima volta in Italia l’ultimo progetto di Cango quanto a commistione tra arte e corpo umano. Diventando i dipinti del Beato Angelico un tutt’uno con il gesto umano. Chiunque dei visitatori del museo, sistematosi a lato della cella contenente il dipinto di Fra’Angelico da lui preferito e guidato da un tutor, ovvero un danzatore di Sieni da quest’ultimo allenato sul tema per un’intera settimana prima della performance di lunedì, poteva organizzare il suo corpo a misura dell’opera d’arte, facendo del gesto un compendio del significato della medesima o di una suo particolare. Senza e in imitare il dipinto, ma da significando l’essenza di quell’opera d’arte o dei suoi punti giudicati salienti. Non un’imitazione, “ma l’incarnazione di alcuni aspetti caratteristici dell’opera d’arte”, dice Sieni.
Arte e corpi umani, i colori del Beato Angelico e i gesti umani che ne vengono ispirati. Il che non significa mettersi lì e cercare di riprodurre il dipinto in natura. “Non facciamo i tableau vivent”, dice con un ombra di sdegno nella voce, Sieni.”Non si tratta di replicare l’opera ma di organizzare brevi sequenze così impegnative che le persone possono rimanere davanti all’opera d’arte anche un’ora intera ” . Il contrario del mordi e fuggi, ecco perché si parla di “abitare il museo”. Restarci, viverci, amarlo, quando invece la permanenza stimata a contatto dell’opera d’arte è in genere brevissima, spiega il coreografo e danzatore.
“Si tratta di cittadini che si muovono compiendo una serie di esercizi molto lentamente, non spendendo un’ora a fare una quantità di cose ma incarnano solo una sequenza o alcune caratteristiche dell’opera d’arte” spiega Sieni mentre le persone, entusiaste, entrano spontaneamente, a due o tre per volta, in una delle undici celle presidiate da altrettanti danzatori-tutor di Sieni, si piazzano accanto all’opera preferita e iniziano la loro sequenza senza mai copiare l’opera d’arte, tuttavia incarnandola.
“Non si era mai vista prima una cosa simile – è fiero Sieni – il visitatore che dialoga senza intermediari ma attraverso il gesto con l’opera d’arte e va lì per fare tutto fuorché andare a vedere una performance”. Preme a Sieni sottolineare che non si tratta di un fruizione inerte, o una performance imitativa, ma tutt’altro. “Si tratta di ragionare sulle origini di un gesto e connetterlo con il dipinto o il colore. La sequenza può rammentare il clou dell’opera o alcuni parti. Per esempio nell’ Annunciazione può incarnare le figure, o l’Arcangelo o la Vergine, oppure lo spazio bianco tra di loro, percepire l’aura della persona o del vuoto tra le persone, o la forza dei color Difficile impersonare il colore, viene da pensare. “ No – è la risposta – Il colore ha a che fare con gli spazi che diventano gesto”.
Lo scopo fondamentale dell’operazione, conclude il suo ideatore, “è il desiderio. Vogliamo creare il desiderio che ti fa rimanere a lungo in un museo e non sfiorarlo con una toccata e fuga. Il desiderio che ti ci fa tornare, che lo trasforma in luogo di comunità. Abbiamo sperimentato che il progetto funziona” . Da diciotto anni, d’altra parte, Sieni è impegnato nella cultura del gesto. Da tempo lavora per un’altra idea di museo e il convegno ha dimostrato che non è solo, che ci sono altre esperienze, che in Italia si sta tentando da diverse parti di andare oltre all’idea statica di raccolta di opere d’arte, fino a mettere in opera il corpo umano per conoscerle e goderne davvero. Nel convegno si è parlato di come andare avanti. Per esempio, in Toscana, Sieni ha in programma di proseguire l’esperimento di Lumen Naturae a livello di Città Metropolitana, nei tanti piccoli centri, ognuno dotato di una qualche o più opere d’arte. “Sarà un progetto a lunga scadenza. Non porteremo delle performance ma dei processi di lavoro tali da far sì che i cittadini abitino i musei, che si crei una familiarità e un desiderio”.
Foto: Museo della Collegiata Empoli (ph Virgilio Sieni)