Il riso, alimento dell’umanità, minacciato dal cambiamento climatico

Nel 2050 la popolazione del Pianeta da sfamare arriverà a 10 miliardi

“Non ti scervellare a cercare di dare una risposta ad un problema che sembra irrisolvibile, riempi la ciotola di riso e mangia”. Il piccolo chicco – tondo o lungo, bianco o integrale, nero o rosso – è parte integrante non solo della cucina ma anche della filosofia. Scenografia, arte, musica, aneddoti, adagi e metafore riguardano questa pianta “donata dagli dei” al mondo: viene coltivato in tutti i continenti. Distinguendosi per la varietà sterminata. È presente nella dieta di metà della popolazione del Pianeta e, quindi, risulta essenziale per garantire la sicurezza alimentare. Allo stesso tempo, è un cibo a lunga conservazione e facile da trasportare, ne sanno qualcosa i primi cinque paesi importatori: Cina, USA, Filippine, Arabia Saudita e Iran, che insieme coprono il 25% della domanda. L’Asia è comunque al primo posto totale per l’importazione (45,6%, per un valore di 14,1 miliardi di dollari), seguita dall’Africa (24,2%) e dall’Europa (15,3%). Se l’India è in vetta alla classifica, commerciando circa il 40% del riso, l’Italia seppur vendendo un decimo del colosso asiatico è al 7° posto nella classifica globale, preceduta da Cina e USA (che tuttavia devono sopperire alla crescente richiesta interna).

La qualità del riso coltivato in Italia è indubbia e riconosciuta. L’Italia è il primo produttore in Europa, con una vasta gamma di specie (dall’Arborio al Vialone Nano) e di prezzi: dal conveniente Thaibonnet ai pregiati Carnaroli invecchiati. Risultando particolarmente apprezzato nel Regno Unito, ma soprattutto in Francia e Germania. Quella del riso in Italia è una storia che inizia nel Basso Medioevo, poi tra ottocento e novecento la pagina del duro lavoro delle mondine e la loro lotta contro lo sfruttamento padronale (“se otto ore son troppo poche, provate voi a lavorare e troverete la differenza di lavorare e comandare”, intonava il canto più conosciuto della protesta). Dalla rivendicazione dell’orario giornaliero ottenuto nel 1906 sino ad arrivare ai giorni nostri. Quando il riso ha dovuto affrontare la crisi idrica del 2022 e la fine delle politiche dei dazi dell’Unione (con tanto di battaglia legale), che avrebbero potuto avere pesanti effetti e decretare la crisi irreversibile del settore. Tra alti e bassi i primi mesi del 2023 sono stati al di sotto delle aspettative (statistiche Ente Nazionale Risi).

Contrazione degli affari con l’incognita di un potenziale incremento di vendite, legato al deficit di mercato provocato dal divieto di esportazione che l’India ha imposto ad alcune specifiche produzioni, non Basmati. La decisione del governo di Delhi è stata presa per frenare gli elevati aumenti di prezzo nel paese. Su scala globale dall’inizio del conflitto in Ucraina si stima che ci sia stato un rincaro del 15-20% (Sin To, What India’s Rice Export Freeze Means For The Supply Chain, Forbes, 16 Agosto 2023). Il fattore scatenante che ha portato l’India a chiudersi, per mettere in sicurezza l’approvvigionamento nazionale ed evitare tensione sociale interna, non è però la guerra bensì l’impatto degli eventi climatici sulle piantagioni.

Il riso è vulnerabile (come del resto l’agricoltura in generale) ai cambiamenti meteorologici estremi. Ostacoli frequenti e oramai ordinari sono la siccità, che impedisce alla pianta di crescere, e le alluvioni. Sebbene per produrre un kg di riso occorre ingente quantità di acqua, le inondazioni (avvenute ad esempio in Cina e India) possono comportare l’annegamento dell’erbacea. Ad impattare sulla produzione anche l’innalzamento progressivo delle acque del mare, troppo ricche di sale per la coltivazione. La radice comune di queste problematiche è riconducibile al global warming e nello specifico alle conseguenze del El Niño (Kara Anderson, Rice and the Climate Crisis : How do they Relate?, Greenly, 30 Maggio 2023).

Le risposte che la scienza attualmente mette in campo in questa lotta sono: sviluppare geneticamente qualità di riso maggiormente resistenti a calore e siccità, introdurre metodologie di coltivazione che sfruttano minori quantità di acqua irrigata ma mantengono lo stesso livello di produzione. Non meno importante è diventato l’uso informativo dei dati satellitari per arginare le perdite di acqua. Nel complesso la ricerca sta ripensando l’agricoltura, definendo un sistema alimentare meno esposto a un clima che cambia drasticamente e rapidamente. Altrettanto fanno molti contadini che promuovono la mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso tecniche e sistemi agro-ecologici. Così Ariane Lotti agricoltrice toscana di riso biologico, che nell’azienda in Maremma sfrutta precisione idrica e un processo di rallentamento della nascita degli infestanti con la semina dell’erbaio di loietto: “L’obiettivo è ottenere una resa maggiore del 10 per cento con meno infestanti. Noi giovani agricoltori abbiamo il coraggio di raccogliere le sfide. Dico alle donne di non mollare, perché stanno contribuendo in modo importante all’economia e al sostentamento delle aree rurali, producendo un cibo di qualità e rispettoso dell’ambiente” (Paola Centomo, «La nostra sfida è bio»: le imprenditrici green, Io Donna, Aprile 2023).

La questione del riso oggi va oltre la diatriba commerciale tra stati, è la fotografia della minaccia che attende un Pianeta destinato a raggiungere una popolazione da sfamare di 10 miliardi entro il 2050. Continuando su questa strada è persa in partenza la lotta alle disuguaglianze. E ogni sforzo, per uno sviluppo sostenibile che salvaguardi l’ambiente e sradichi la povertà, è compromesso. Il rapporto tra cambiamenti climatici e riso è esemplificativo della sottile linea rossa su cui corriamo. Il riso oggi è un alimento particolarmente suscettibile alle variazioni di produzione, a causa del fatto che il suo mercato non ha di per sé un’offerta in eccesso. Se in uno dei suoi anelli si verifica un calo automaticamente l’intera catena viene influenzata negativamente, con aumenti dei prezzi e carenze croniche di approvvigionamento. Che scatenano caos ed evidenti fenomeni comportamentali di panico diffuso, in particolare nelle categorie svantaggiate. Come recentemente è avvenuto in India e Nepal, e in passato in Cambogia, nelle Filippine e in Giappone, dove nel 2008 si arrivò persino a dare fondo alle riserve stoccate per fermare l’inflazione galoppante. Per non parlare delle scene di accaparramento “incontrollato” verificatesi questa estate nei supermercati statunitensi alla notizia del blocco indiano. Paura e scaffali vuoti, episodi che rischiano di essere amplificati nei prossimi anni.

Assicurare che la ciotola di riso sia presente in tavola è una priorità. Non a caso in queste ore i governi di Thailandia e Indonesia sono difronte a scelte politiche complesse. Se dovesse prevalere l’isolamento, e il protezionismo, sulla cooperazione internazionale il danno maggiore ricadrà sui paesi in via di sviluppo, e le comunità più fragili. Arif Husain, responsabile economico presso la FAO: “Dobbiamo stare molto attenti quando si tratta dei nostri prodotti di base, in modo da non finire per aumentare inutilmente i prezzi. Perché questi aumenti non sono senza conseguenze”(Climate change has ravaged India’s rice stock. Now its export ban could deepen a global food crisis, CNN, 30 Agosto 2023).

Campanelle d’allarme che suonano da più parti. E che chiamano in causa le direttrici per implementare una corretta azione strategica, nel breve e nel lungo periodo: incremento del reddito di piccoli e medi agricoltori; programmi di resilienza ai cambiamenti climatici, sistemi di irrigazione meno dispersivi e cura dell’ambiente; aumento della resa della produzione e adozione di nuove tecnologie/biotecnologie. Imprescindibile anche una maggiore “sensibilità”di chi lavora la terra, che richiede un salto culturale per chi coltiva. “Abbiamo usato molta urea e fertilizzanti che hanno distrutto il nostro suolo. Inoltre, ora pochissimi agricoltori adoperano semi tradizionali per coltivare il riso”, ha dichiarato Shankar Patnaik, agricoltore indiano, alla BBC (Priti Gupta, Back to the future for India’s rice farmers, 14 Agosto 2023). D’altronde non sono pochi a pensare che gli attuali schemi di sussidi e incentivi rappresentano, in molti casi, un freno (finanziario) ad investire invece nella sostenibilità e nel cambiamento. Dimostrazione dell’errore intrinseco di una visione complessiva inadeguata all’evoluzione del contesto e degli ecosistemi.

“In natura mentre le piante di riso si avvicinano al raccolto assumono un colore dorato, piegandosi verso il basso sotto il peso dei chicchi”. Ecco, il genere umano crescendo numericamente dovrebbe emulare la pianta di riso, ed essere umilmente incline alla solidarietà e alla condivisione “del peso” da sostenere per salvaguardare il futuro della Terra.

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