Cronaca di tre giorni alla kermesse della moda tra feste, miti e speranze

Le cifre e le sorprese che più segnano la 106* edizione di Pitti Uomo

Una leggenda intramontabile come Paul Smith, una minuta ma battagliera e sapientemente trasgressiva trentatreenne come la francese Marine Serre, un artista-designer senza tempo e luogo ma solo poesia, come Pierre-Louis Mascia. Sono le tre cifre, anzi le tre sorprese fuori da ogni convenzionalità , che più segnano questa 106* edizione di Pitti Uomo, la rassegna internazionale di selezionato abbigliamento maschile che è ormai il punto di riferimento globale per la moda uomo e dove 800 brand, di cui oltre il 43% estero, hanno presentato in anteprima le loro collezioni maschili, ma qualcuno anche femminili, per la primavera estate del 2025.

Lo hanno fatto in Fortezza e per tutta Firenze, dal martedì 11 al venerdì 14 di un giugno ventoso che scarruffava i capelli di buyer e modaioli accorsi dall’Italia e dal globo. Lo stesso vento che confonde, in questo inizio di tormentato 2024, la moda, per la quale i capricci del climate change che impediscono la stagionalità costituiscono un bell’impaccio così come tutte le incertezze del momento, dalle guerre alla crescita delle povertà e delle disuguaglianze, il minore appeal del lusso.

Mentre l’esagerata lievitazione dei prezzi della moda stessa , che tende ormai a negare l’accesso all’acquisto del famoso lusso moderato anche ai ceti medi, di sicuro non aiuta. Comunque, in tempi difficili le fiere vanno all’inverso e crescono perché sono il luogo dove annusare le ultimissime tendenze per affrontare il rilancio (specie Pitti Uomo che è la prima nel calendario del settore), oltre a costituire l’occasione per scambiare opinioni e proposte tra produttori e tra questi e i compratori , permettendo così anche alle piccole e piccolissime aziende, pur di alto pregio artigianale ma con meno possibilità di cavalcare le scene, di incontrare migliaia di persone.

Come non si stancano di mettere in rilievo sia il presidente di Pitti Immagine, Antonio, detto Totò, De Matteis che l’instancabile ad con 34 di esperienza alle spalle, Raffaello Napoleone. In un panorama generale in cui, in un fortunato 2023, la moda maschile è andata anche meglio di quella femminile arrivando, nonostante le nascenti difficoltà dell’ultimo trimestre che poi sono aumentate nei primi mesi del 2024, fino a 9,5 miliardi di euro (dati Istat), in crescita del 6,5% sul 2022. Adesso, nella prima parte di quest’anno è l’intera moda italiana in affanno e dopo essere riuscita nel 2023 e volare fino a 102 miliardi (più 4,1 rispetto al 2022), adesso è in calo.

Eppure a Pitti Uomo aleggiano il desiderio e la volontà di ripresa e ci si batte per novità, qualità, intraprendenza. Tanto che nonostante la nuova aria di crisi, i buyer esteri crescono ancora un po’ dopo il boom del giugno scorso, fino a 5.300 su un totale di 11.500 mentre i visitatori superano i 15.000. Calano, invece, del 6% rispetto alla ripresa del 2923, i compratori italiani, ma Napoleone non si stupisce dopo la chiusura, ricorda, di tanti negozi e restando i consumi interni generalmente fermi. Consumi per i quali De Matteis invita tutti “ a fare una riflessione e capire come aprire una nuova fase di crescita e di fiducia: rappresentanze imprenditoriali e del lavoro, governo italiano, istituzioni europee”.

Intanto, a Pitti niente di abitudinario, niente di banale, ma anche niente che non sia super selezionato nella manifestazione che indica come vincente un uomo sempre curato ed elegante, che però non si inchioda mai ai più rigidi dettami della pur rivalutata sartorialita’ ma la volge in rilassata contemporaneità e in combinazioni sorprendenti ma sempre chic e personali. La prima scossa la dà in apertura martedì 11, incarnando paradossalmente proprio questa moderna tendenza, un vecchio – giovane leone della scena modaiola, un simbolo stesso dello chic scanzonato e del britannicissimo connubio tra tradizione e eccentrica trasgressione, una leggenda della moda come Paul Smith che ha rubato alle scene parigine la sua ultima collezione per portarla a Firenze, lui che ama L’Italia e ha una casa a Lucca.

Simbolo, Smith stesso in piacevoli e morbidi pantaloni marroni e informale camicia blu, del suo stile creativo: affabile, divertente, contemporaneamente leggero e consistente, alfiere di quel suo intramontabile stile “formale con un twist” . Ma ci dica un po’, sir Paul Smith, lei che ha iniziato in una stanzetta di Nottingham nel 1970, entusiasmando i giovani di allora e ha proseguito vestendo da David Bowie ai Rolling Stones, come fa dopo cinquant’anni a essere sempre se stesso eppure sempre assolutamente contemporaneo?

Ride: “ È la curiosità che è la chiave. Io sono curiosissimo di tutto quello che vedo intorno e ogni volta scopro il mondo. Bisogna anche amare il proprio lavoro non solo fare il business. Io mi diverto a lavorare, guai se così non fosse. Sono indipendente, dunque fedele a me stesso, al mio archivio ma anche alle mie curiosità, al mio divertimento di scoprire le cose” . Un geniale sempreverde, insomma. Così eccolo qui che si diverte a recitare, presentando di persona i suoi modelli e spiegando le virtù dell’abito da lui creato, commesso di se stesso come gli piace fare il sabato nel suo negozio di Londra. Poi lascia andare i suoi ragazzi tra il pubblico che tocca abiti e tessuti, seduto con aperitivo ai tavoli di un “Paul bar”, dove tutto è targato con il nome del designer e la dicitura di Pitti Uomo dalle tazzine alle bustine di zucchero, ai fiammiferi, ricreato nel bel prato, verde splendente sotto l’ultimo sole del pomeriggio, dell’ ottocentesca Villa Favard costruita da Giuseppe Poggi e oggi sede della scuola fiorentina di moda, Polimoda.

Un bar che allude ai locali di Soho dove, ai tempi della swinging London, Smith e compagni andavano a bere, scherzare e ispirarsi dopo il lavoro e ci trovavano anche Francis Bacon e Lucien Freud. «Sono stato tra i primi stilisti invitati a Pitti, nel 1993, e l’ho sempre ritenuta una meravigliosa opportunità per dare risalto ad alcuni dei capi più belli di abbigliamento maschile al mondo, in maniera molto concreta. Non vedevo l’ora di presentare la mia collezione in una cornice più intima”, confessa Smith.

Ed eccolo nell’ex salone da ballo tra specchi e stucchi con i modelli e gli abiti che sembrano uscire dallo studio da pittore ricreato in un angolo del salone: un po’ dandy, un po’ pop, un po’ anni ‘60, un po’ di ispirazione dall’archivio. E si diverte a chiamare per nome i modelli, mostrare la sua collezione super sartoriale ed eccentrica al tempo stesso: i pantaloni fluidi ma anche quelli stretti-rock, con piccoli fiori ricamati lungo le gambe come una treccia sotto la giacca-smoking con un diluvio di fiori sui grandi revers, le giacche interscambiabili tra impeccabili blazer, harrington jackets, giubbotti da lavoro, i completi easy-chic, i britannicissimi tessuti principe di galles però sbiaditi, le cravatte affrescate e con il nodo sciolto, come se si trattasse di pittori, il bel denim rigato che annuncia la futura collaborazione con il marchio Lee. Il giorno dopo, alla villa di Maiano (XV secolo) sulle colline di Fiesole, dove James Ivory girò alcune scene di “Camera con vista”, nel grande prato affacciato sul verde, la Cupola del Brunelleschi, il tramonto e l’infinito, ecco Marine Serra.

La designer francese, giovane, rivoluzionaria, femminista e dirompente, già emersa tramite il prestigioso premio LVMH nel 2017 e considerata una delle promesse della nuova generazione della moda, presenta in 49 strabilianti look la sua prima collezione uomo mista con la haute couture donna e dieci look bianchi dedicati alla pace che riprendono il titolo, “Radical Call for love”, della sua prima collezione, nel 2016 dopo gli attentati di Parigi e Bruxelles. Tra crinoline, gioielli antichi per lei e per lui, lusso sartoriale e femminilità glamour dei grandi spacchi e delle tute aderentissime in jersey, l’amore per lo sportswear e l’upcycling, il viola, il rosso, il marrone, la pelle lucida, il marchio all over della falce di luna che si sposa con quella vera che via via che si fa sera appare nel cielo sopra il prato, le maniche e i polsini oversize per lui, il cinema poliziesco, l’interpretazione audace degli archetipi di genere, le sciarpe in tartan rigenerato, i ricami e gli orli a giorno dei centrini riciclati sulle camicie.

Poi, la terza sera, non resta che poesia. Senza tempo e senza luogo. Quella delle sete, delle stampe, dell’abbinamento fiori e geometrie, dei kaftani che fluttuano, delle gonne per donne e uomini, dei grandi scialli e le lunghe frange che ruotano, dei colori, tra cui il blu intenso che l’autore racconta di aver visto nei ritratti degli Uffizi, di Pierre Louis Mascia, nato a Tolosa ma italiano di fatto, che sfila per la prima volta, intitolando il défilé “Le Cavalier Bleu”, come il gruppo di artisti di ispirazione espressionista formatosi a Monaco. Lo fa al Giardino dell’Orticoltura nella serra liberty in ferro e vetro del Roster che lascia trasparire da fuori il cielo e le fronde degli alberi agitati dal vento.

Si comincia con una musica e una danza quasi tribale che odora di terre lontane e riti magici, si prosegue con una sfilata elegante e sognante , fatta di sete, trasparenze, degrade’, delave’ , foglie e fiori della natura misti a disegni geometrici, colori tra cui spicca il blu intenso che Mascia spiega di avere colto nei ritratti degli Uffizi “Sono i colori della vita, le parole di Kandinsky che risuonano in me, come l’incanto del lavoro di Yves Saint Laurent, l’Oriente, la lotta tra il rosso e l’arancione”, dice l’artista-designer. Queste le tre performance degli ospiti d’onore di Pitti fuori dal salone.

Dentro, in una Fortezza che celebra la formula dominante di questo Pitti Uomo che è Pitti Lemon tingendosi di giallo e riempiendosi di vitaminici limoni simbolo di energia e allegria, gli infiniti e fantasiosi stand delle aziende di abbigliamento maschile, le più selezionate, interessanti e innovative grandi o piccole che siano, anticipano le tendenze di come si vestiranno gli uomini nell’estate del 2025. Sicuramente leggeri, sicuramente disinvoltamente eleganti, sempre in giacca, comunque svuotata e alleggerita ma vince il classico blazer a tre bottoni anche indossato sui grandi protagonisti della stagione che saranno i bermuda, anche agender e scambiabile tra lui e lei, come propone il neonato brand di moda maschile, Plan C, di Carolina Castiglioni. Grande attenzione ai tessuti, vincono le mischie per raggiungere il massimo di leggerezza e funzionalità.

Il re di quello che lui chiama il lusso gentile che è la cifra della prossima tendenza, è Brunello Cucinelli. Lo chiamava “garbato”, ora dice “gentle luxury”, lusso gentile che per Cucinelli vuol dire, come spiega, soprattutto vivere in armonia con quello che chiama “il creato”, smettendo di “forzare tutto come stiamo facendo”. E la parola gentile rende l’idea di un giovane uomo sempre elegante ma mai ingessato, intraprendente e attento a come mostrarsi agli altri, però comodo nei suoi panni. Silhouette leggermente più ampie, molti colori purché pastellati e polverosi, maglie dai colori tenui sotto leggeri e rilassati eleganti completi, mocassino d’obbligo e senza calze. E se non è giacca che allora sia decisamente una sahariana, simbolo di uomo viaggiatore nel mondo, nella metropoli urbana o dentro se stesso.

Come quello di Stefano Ricci, il brand fondato da Stefano e la moglie Claudia, di cui ora sono ad e direttore creativo i figli Niccolò e Filippo, che per presentare la nuova collezione è andato in Cambogia per farla fotografare su sfondi di grande bellezza da Steve McCurry. Si spiega, a Pitti, che chi acquista non vuole più correre volatili avventure ma vuole oggetti di qualità che durino nel tempo. Finito l’usa e getta. Meglio, inoltre, se si tratta di creazioni di brand riconoscibili, che abbiano un’ anima, un heritage da cui ripartire innovando, a cui, in mezzo alle tante incertezze del momento, poter dare fiducia. Come si illustra nello stand di WP Lavori in corso, l’azienda bolognese di Cristina Calori che ha portato a Pitti i suoi brand Baracuta, Barbour, Filson e B.D.Baggies, che di anima heritage ne hanno da vendere. Un mix di ritorno alle origini e innovazione per cui Baracuta tinge la sua classica giacca come i bermuda e i gilè, tutto in estivo cotone, di rosa antico, arancio, giallo, blu, tabacco e Barbour rilegge per la prima volta in pesi leggeri la sua consueta e storica giacca traducendola in giacca estiva e peso minimo, in cinque versioni più il gilè. Parola d’ordine trasversale, sostenibilità.

Ne fa, anzi ne ha fatto da sempre anche quando non usava, una bandiera Cuoio di Toscana, il consorzio, presieduto da Antonio Quirici, di sette concerie di San Miniato e Santa Croce sull’Arno, uno dei distretti conciari più importanti d’Italia, che procura ai migliori produttori di calzature del mondo le note suole da scarpa verdi. Dove il colore verde garantisce riconoscibilità a un cuoio di alta qualità conciato rigorosamente al naturale. In questa edizione di Pitti, Cuoio di Toscana accompagna anche il debutto di Marine Serre con accessori in pelle, tra cui un porta-passaporti da cittadini del mondo come sono quelli della designer e presenta. Dopodichè, tramite l’installazione Infinity Mirror in Fortezza e una serata a Palazzo Borghese, Cuoionpresenta l’edizione speciale e argentata del suo mocassino che fa un altro passo in avanti in chiave ecosostenibile, con la tomaia che sembra uno specchio, il mirror, che riflette senza toccarla una natura da preservare e non da consumare, come spiega Quirici.

Cuoio di Toscana partecipava anche alla sezione di Pitti Uomo S/Style, ovvero solo moda sostenibile di qualità selezionata da Giorgia Cantarini in partnership con l’impegno del gruppo Kering per la sostenibilità, ovvero il Kering Material Innovation Lab (Kering MIL). A sostenere sostenibilità e circolarità ci si mette perfino Alia Multiutility, l’azienda toscana che si occupa di smaltimento di rifiuti, e che, insieme a Firenze Fiera, la società che gestisce fiere e congressi a Firenze, ha organizzato in occasione di Pitti Uomo, in nome dell’economia circolare il contest tra moda, arte e sostenibilità , “Second Life, tutto torna”.

Da parte sua, Pitti da’ il premio della sostenibilità al brand spagnolo Ecoalf che ha creato il 68% della collezione in monomateriale, dunque interamente riciclabile. Dell’amor di leggerezza abbiamo detto. Ne da’ esempio estremo Tombolini che festeggia a Pitti i suoi 60 anni lanciando la capsule Ultra Light, la punta dell’iceberg della peraltro già leggerissima linea Zero Gravity, in tela di lana e seta sottilissima dal peso di soli 86 grammi al metro quadro: abito, spolverino richiudibile che diventa un poggiacollo, camicia, cravatta e pochette. In collezione, anche la linea sostenibile, Zero Impact, che usa solo filati organici e biodegradabili. E siccome è noto che mancano i sarti, la maison crea la Fondazione Eugenio Tombolini che gestirà una scuola di sartoria interna all’azienda con sede a Colmurano (Macerata). Leggere e colorate le sciarpe estive che Monica Sarti firma per il brand Faliero Sarti.

Va forte lo sport e il tennis diventa un must. Superga porta sulla scena di Pitti la sua storica “2750”, la prima scarpa da tennis al mondo con suola naturale vulcanizzata in procinto di compiere cento anni e ancora in scena. E Pantofola d’oro, il brand fondato a fine ‘800 ad Ascoli Piceno per la produzione di scarpe da calcio, presenta Superstar, la sneaker ispirata al mondo del tennis elegante e di lusso. Va forte anche la nuova generazione della moda che affila ancora le armi nelle scuole, pronta al passaggio del testimone e già ispiratrice di una moda diversa, più identitaria e meno logata, sempre più libera, agender, sostenibile e dunque circolare, creata da ognuno a somiglianza di sé e non massificata.

Dall’installazione, a metà tra arte e moda, sul concetto di identità, di cui è stato tutor il fotografo di fama internazionale, Michel Comte, battezzata “Identity” e creata da dieci allievi delle scuole italiane, spagnole e brasiliane dello IED, l’Istituto europeo del design. Alle grandi sfilate di fine corso di Polimoda e dell’Istituto Marangoni, le due scuole top a livello internazionale. Fondamentale, la cifra dell’ internazionalità che ha messo in scena in Fortezza, non solo i progetti già varati come Scandinavian Manifesto (la moda del nord Europa) o le novità delle avanguardie giapponesi ma per la prima volta anche quelle cinesi con la nuova manifestazione, China Wave.

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