Vive a Prato il più grande esperto della realtà artistica della sua città e degli artisti che a vari livelli hanno lasciato un segno nella storia culturale pratese. Da sempre affascinato dall’arte e dal gesto creativo, Franco Bertini nel corso degli anni ha collezionato una significativa raccolta di pittura pratese del Novecento, per sua volontà diventata istituzione museale e messa a disposizione in modo permanente alla città di Prato con la Fondazione Santa Rita.
Franco come è nata l’idea di raccogliere opere di artisti per la maggior parte pratesi?
“Nel museo sono esclusivamente pratesi! Perché quelli che non sono pratesi, e sono tanti, non sono nella collezione visibile al pubblico. L’idea nasce nel 1991 quando decido di acquistare opere di artisti pratesi. Inizio a dare via tutte le opere non pratesi acquistando i lavori degli artisti in prevalenza scomparsi da tanti anni e inizio la raccolta con 34 opere di base. Nel 1999 espongo per la prima volta la mia collezione in occasione della mostra nella cripta della chiesa di San Giorgio a Colonica con 134 autori. Nel 2009 a distanza di 10 anni decido di donare la collezione all’Opera Santa Rita, un’istituzione che aveva accudito per tanti anni mia figlia Francesca, portatrice di una grave disabilità. Lei era ancora vivente quando nel 2009 mi sono sentito in dovere di contraccambiare la generosità di questa struttura che aiutava tanti bambini e adulti, perché il Santa Rita in quel momento aveva più di 20 case aperte ai disabili, alle ragazze madri e a tutti quelli che erano in difficoltà”.
Cos’è il Santa Rita?
“Santa Rita nasce da Virginia Frosini e dalla sua passione per aiutare gli altri. Iniziò dando la merenda ai bambini in tempo di guerra e accogliendo nella sua abitazione, dove attualmente c’è la collezione, chi aveva bisogno di aiuto. Il nome Santa Rita lo ha dato Virginia Frosini perché trovò un santino di Santa Rita vicino all’abitazione e le diede questo nome”.
Ma la chiesa dove attualmente è ospitata una parte della collezione, accanto a quella che è stata la casa della Frosini ha un altro nome…
“Quella è la chiesa di Santa Chiara e la piazza si chiama Piazza San Rocco. La chiesa è della Curia e viene utilizzata solo in occasioni particolari. Nella chiesa, nell’altare di sinistra si trova il corpo di Virginia Frosini, traslato dal cimitero della Misericordia di Prato”.
Attualmente quante opere fanno parte del museo?
“Sono 120 opere, disposte all’interno della chiesa, in una parte della sacrestia e nell’ingresso di quella che era l’abitazione della Frosini e ora della Fondazione di Santa Rita. L’organizzazione al momento si prende cura di più di 800 persone fra bambini e adulti con un personale composto da quasi 200 addetti con circa 25 servizi. Ha un radicamento profondo sul territorio di Prato. Quasi tutti i servizi sono all’interno della provincia di Prato. Ma riceve persone da tutta Italia”.
Mi parli della sua passione per l’arte…
“Sono collezionista fin da bambino. Sono nato in piazza Sant’Agostino. Noi si andava a comprare le liquirizie e le caramelle al Caffè Maddalena dove il gestore era appassionato d’arte. Si chiamava Silvio Gori e organizzava le mostre all’interno del bar. Siamo negli anni ’50. Da bambino vedevo passare i pittori che venivano a mostrare le loro opere al barista. Da lì io ho iniziato a nutrire questo interesse. Ero impressionato dalle trattative per la vendita dei quadri. Stavo ad ascoltare: ‘Allora mi dai cinquanta lire poi mi lasci il caffè pagato per tutta la settimana poi non hai mica del tabacco che ho solo le cartine – perché faceva da solo la sigaretta – era un bar surreale. C’era anche un venditore di caramelle che conosceva sette lingue. Veniva al bar in bicicletta con le caramelle e un cesto davanti con un tegamino. Si faceva riscaldare il tegamino, comprava da bere e poi leggeva i giornali di tutto il mondo. La cosa più bella era quando alla televisione, durante alcune interviste a personaggi stranieri e non c’era la traduzione simultanea. Lui davanti al video e faceva la traduzione simultanea. Mentre succedeva tutto questo c’era qualcun altro che giocava a braccio di ferro, c’era una mostra d’arte, oppure uno che ingoiava a forza le dieci lire, mostrava la bocca vuota e poi le lanciava tutte fuori. Un mondo fantastico. Infine arrivava Giuseppe Basacci, l’ultimo dei bohémien con l’ultimo quadretto fatto che lo mostrava un po’ a tutti. Ecco questo per me era fantastico e io sono nato in questo mondo surreale e io ero attento a tutto questo”.
Era già “collezionista” da piccolo…
“Si in qualche modo. Ho sempre seguito il pittore Basacci. A distanza di tanti anni ho ricordato questi artisti che capitavano al bar, organizzando delle mostre personali, che nella loro vita non si sono mai potuti permettere, tanto erano poveri. Trovavano un cartone per strada e vi dipingevano sopra, una cornice non se la sono mai potuta permettere. Li ho ricordati tante volte. Dal 1997 anno del mio pensionamento, fino ad oggi, ho organizzato 500 mostre. Con la passione di ricordare gli artisti pratesi scomparsi”.
Quello che mi sembra interessante nel museo è la sua enorme sensibilità nel collezionare dei quadri di artisti del passato che sono più che attuali…
“La mia è una passione per il disegno e per le grafiche. Se si riflette bene queste due attività sono le più artistiche. Perché sono la base. Uno schizzo, un disegno ben fatto, un’incisione o acquaforte. Se vado a una mostra e vedo 50 quadri colorati e un disegno, io guardo subito il disegno”.
Ho notato delle opere che sono attualissime e non fanno parte della storia dell’arte ufficiale. La sua è una raccolta unica…
“Ho pensato che sarebbe molto bello se ci fosse in tutte le città un museo che raccolga le opere degli artisti del luogo. Questo è stato il mio pensiero fin dall’inizio. Mi ha telefonato un artista dicendomi che questo stesso mio pensiero corrisponde a quello di un grande critico d’arte. Se tutte le città avessero un museo contenente opere realizzate da artisti del posto, famosi e meno famosi, sarebbe un patrimonio immenso. Io ho comprato i quadri anche dai barboni. Sono stato a vederli lavorare e ho acquistato le loro opere nel sottopassaggio della stazione o sul ponte del Mercatale”.
Non è solo sensibilità nel disegno, è anche conoscenza e cultura…
“Prima di iniziare a collezionare, comprai la guida di Firenze, datata ’63-’64 e decisi di visionare le chiese, i musei e le gallerie d’arte. Ogni sabato con il motorino o in treno andavo a Firenze, tra una chiesa, una galleria d’arte o un muse. Ho conosciuto il mondo artistico prima di collezionare. Dopo tanti anni ora capisco al volo il valore di un’opera e sono in grado di scegliere. Non penso al valore commerciale. Ho piccoli gioielli, come Soffici oppure la personalità di Anna Sanesi, allieva di Rosai”.
Lei ha anche una grande collezione a casa…
“Certo. È sempre una raccolta di pratesi e anche di altri, anche se questi ultimi li considero fuori dalla collezione. Collezionare significa avere un soggetto specifico altrimenti sarebbe un raccogliere cose che piacciono ma senza un tema. La collezione deve avere un suo indirizzo preciso. Avere un obiettivo vuol dire raccontare una storia particolare e tutte le scelte vanno in quella direzione”.
Franco, lei nel corso della vita ha lavorato nel settore artistico?
“No assolutamente. Finita la scuola elementare, in casa eravamo cinque figli, dovetti andare a lavorare. Siamo nel 1954. La mamma mi manda a garzone da un salumiere in piazza Duomo a Prato. Dopo tre anni trovo un lavoro in fabbrica. Mi presento in azienda e loro chiedono alla mamma se avevo buona volontà. Alla risposta affermativa mi mandarono alle serali a studiare e il giorno lavoravo nell’azienda dei tessuti al campionario. Emergono le miei capacità nei numeri e nell’organizzazione. A 16 anni ero responsabile del magazzino finito, alle spedizioni. Avevo sotto di me quattro persone. Ho scalato tutte le posizioni aziendali fino ad arrivare a responsabile della produzione. Quando muore il titolare entro in azienda come socio, nel consiglio di amministrazione. Intanto stavo maturando la pensione che è avvenuta all’età di 53 anni. Ormai libero dal lavoro chiedo di entrare ad occuparmi di una galleria che, però, non manifesta interesse, ma stimolato dal circolo culturale ‘Il chiassino’, che stava organizzando una grande mostra, ottenni una parete per la mia collezione. Inizio così ricordando un artista scomparso con 6 opere. Da qui ho continuato fino a oggi a fare mostre”.
Un suo progetto per il prossimo futuro?
“Ampliare la collezione presente al Santa Rita con qualche altra opera e magari anche la pubblicazione di un libro”.
Foto: Franco Bertini e l’opera di Gabriella Furlani “Angeli lucenti”, 2019 dedicata a Francesca Bertini. Foto di Marco Berni