Un anno fa la morte di Mahsa: ma l’Iran non sarà mai più come prima

I giovani hanno una visione del mondo diversa da quella tradizionale

È passato un anno dalla morte di Mahsa Amini, la ragazza curda che era arrivata a Teheran in vacanza e camminando per strada con il foulard abbassato era stata fermata dalla cosiddetta polizia morale, spinta a forza in uno di quei pulmini verdi che dopo le lezioni del conservatore Raisi alla presidenza avevano ripreso a circolare per le strade della capitale dopo anni di rara presenza. Probabilmente Mahsa fu picchiata per farla salire o comunque deve aver battuto la testa che già all’arrivo alla stazione di polizia le telecamere la mostrano vacillante e quasi incapace di tenersi in piedi.

La sua morte è stata per l’Iran come quella di Mohammad Bouazizi per la Tunisia che dette l’avvio alle “primavere arabe“: una scintilla che ha fatto divampare la protesta in tutto il paese. Un anno dopo la protesta è finita, almeno nella forma più emblematica delle manifestazioni di massa, sotto una repressione durissima: più di 500 morti, tra cui almeno 70 minorenni, contando i giovani uccisi per strada dalla polizia e quelli condannati a morte dai tribunali. Fra questi anche personaggi noti al pubblico iraniano, come il campione di karate Mehdi Karimi. Più di 20mila arrestati, poi rilasciati dopo diversi mesi con un calcolato gesto di magnanimità da parte del leader supremo; e perfino i genitori dei giovani ammazzati sono stati spesso obbligati, come il padre di Mahsa,  a testimoniare che i figli avevano già delle malattie.                   

Si potrebbe pensare perciò che la repressione abbia avuto la meglio, come era successo nel 2009, quando “l’onda verde” finì con il carcere o con l’esilio di migliaia di giovani; o, come nel 2019, dopo le proteste per il rincaro della benzina. A queste proteste per la prima volta avevano partecipato quelle classi sociali che erano stati sempre fedeli al regime perché dalla Repubblica islamica avevano avuto per la prima volta nella storia dell’Iran un tetto, abbastanza da mangiare e soprattutto la possibilità di studiare e perciò di cambiare la loro situazione sociale, e che ora però la drammatica crisi economica aveva di nuovo spinto ai margini.  I primi a dare il via alla protesta dopo la morte di Mahsa erano stati i giovani, anzi i giovanissimi, ragazze e ragazzi che ancora andavano alla scuola media e che fino ad allora si erano perlopiù disinteressati alla politica. Diversamente dei loro padri e fratelli maggiori che per anni avevano lottato per riformare la Repubblica islamica e renderla un paese più libero e aperto al mondo.           

Ma non è stato come si poteva pensare, la repressione non ha vinto. Una cosa che si può dire con certezza un anno dopo la morte di Mahsa è che quella morte e quelle manifestazioni non sono state invano. l’Iran non è e non sarà più come era prima. Quello che è successo in questi mesi ha segnato un punto di non ritorno, si potrebbe definire dire pre-rivoluzionario. Oggi è normale vedere ragazze che camminano a testa scoperta per strada e nessuno dice loro nulla: né la polizia né le persone che passano. Un tempo c’era sempre qualcuno che si affrettava ad ammonire la mal velata e invitarla a coprirsi.

Dopo quest’anno è stato chiaro che  i giovani iraniani hanno una visione del mondo completamente diversa da quella tradizionale. Hanno dimostrato che per loro i diritti delle donne sono diritti di tutti, diritti umani. La loro protesta non si è limitata al velo delle donne. Non a caso la canzone simbolo delle manifestazioni, ‘baraye’, che significa “per”, toccava tutti i motivi per cui lottano i giovani iraniani. Per “una vita normale“, dice la canzone, che vuol dire non solo potersi abbracciare per strada, ma anche che non si vedano più bambini che frugano i cassonetti per trovare da mangiare: cioè tutti i temi della libertà personale e anche quelli della povertà e della disoccupazione.                 

Sono i giovani, si sa, a fare le rivoluzioni, ma questa volta sono stati i giovanissimi, ragazzini e ragazzine per i quali è normale appunto considerarsi alla pari.

Da anni i giovani iraniani hanno sfidato il regime per cambiarlo: alla fine degli anni 90 votarono per un presidente riformatore, Mohammad Khatani, poi delusi che ben poco era cambiato si ritirarono dalla politica vivendo in un mondo a parte, quasi che il regime non esistesse. Naturalmente Internet, i social, la possibilità di collegarsi con tutto il mondo e di leggere punti di vista vietati in patria li ha cambiati. Ma credo che il merito del loro cambiamento sia soprattutto da dare alle madri che in questi anni hanno cresciuto le figlie dicendo loro che dovevano essere diverse da come erano state loro stesso: fare la loro vita e non stare solo a casa cucinare e non sposarsi troppo giovani. E hanno abituato i figli a rispettare le decisioni delle loro sorelle.

In foto Mahsa Amini

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