Le agenzie di rating muovono guerra all’Euro

Il nuovo declassamento dell’Italia? Stavolta è difficile non credere alla teoria del complotto

Alessandro Pala

Ormai i loro nomi si sono diffusi attaverso qualsiasi canale mediatico : S&P, Moody’s e Fitch. Questi sono i nomi delle tre agenzie di rating, che decidono i livelli di affidabilità non solo di tutte le aziende/banche/compagnie del mondo, ma anche di città, regioni e soprattutto Stati sovrani. Proprio durante questo fine settimana, dopo un mese e mezzo di minacce (tecnicamente creditwatch negativo) venerdi sera è arrivata l’ufficialità: 9 paesi dell’Eurozona declassati da S&P. In particolare, la Francia perde la tripla A con l’Austria e l’Italia scende addirittura a livello tripla B+ perdendo due livelli (come Spagna e Portogallo).

Se il downgrading autunnale era coerente con le motivazioni forinte – classe politica italiana poco credibile, livello del debito troppo alto, bassa crescita e produttività-  sinceramente riesce difficile trovare una motivazione razionale al downgrading di due gradini di venerdi.  Le ragioni? Situazione incerta nell’Eurozona, crisi del debito non ancora risolta, grosso debito da rinnovare, e classe politica finalmente credibile ma con dubbi sull’eventuale tenuta del governo. Se da un lato è vero che l’Europa non ha prodotto i risultati sperati nel super-meeting dell’8 dicembre, è pur vero che da allora i singoli Stati si sono mossi (seppure ancora in maniera troppo disomogenea) in maniera decisa, in particolare i due stati maggiormente nell’occhio del ciclone : Spagna ed Italia.  Gli iberici hanno un nuovo governo e avevano promosso misure di austerity gia alla fine dell’estate, mentre l’Italia ha un governo composto da tecnocati e ha velocizzato le misure di austerity per confermare il pareggio di bilancio nel 2013 e verosimilmente entro fine gennaio varerà il primo piano per favorire la crescita.

La bontà di questo trend è stato confermato dal mercato stesso con alcuni dati assolutamente rilevanti. Per quanto riguarda le aste primarie di Spagna e Italia, abbiamo notato un crollo deciso dei rendimenti richiesti per mantenere titoli di stato spagnoli ed italiani. Se verso metà novembre, i BOT italiani ed i titoli a 2-3 anni avevano toccato rendimenti superiori all’8%, facendo invertire la curva dei rendimenti (il che significa che i titoli a breve termine rendevano piu di quelli a lungo termine, per cui rischio di default nel breve decisamente aumentato), nelle prime aste di gennaio i rendimenti dei BOT sono crollati a circa il 2.5%, con una domanda per altro in deciso aumento. Simile, e per certi versi anche piu consistente il miglioramento dei titoli spagnoli che hanno visto un deciso calo anche nella parte lunga della curva (10 anni).  Lo stesso famigerato spread, se è vero che rimane a livelli ancora decisamente troppo alti, d’altro canto in queste ultime settimane i nostri BTP si sono mossi senza l’aiuto dei riacquisti della BCE che sono decisamente calati da circa un mese. Questo in pratica significa che il mercato italiano ha iniziato a muoversi di nuovo “con le proprie gambe” senza la stampella BCE.

Eppure, nonostante questi piccoli ma significativi progressi, ecco che l’agenzia di rating sembra voler riaumentare la volatilità del mercato tramite i suoi downgrading.

Sia ben chiaro, l’effettiva credibilità di queste famigerate agenzie è in realtà ai minimi termini; lo testimonia il fatto che il mercato sembra muoversi decisamente in anticipo rispetto ai giudizi delle agenzie. Non scordiamoci che S&P è la stessa che manteneva la tripla A a Lehman Borthers fino a pochi giorni prima del fallimento, la stessa che assegnava triple A alla spazzatura dei subprime, la stessa che ha ignorato i crack di Cirio e Parmalat. Insomma, o il loro livello di competenza e di timing del mercato è decisamente mediocre e sopravvalutato oppure i conflitti d’interesse condizionano decisamente le loro decisioni. Parere personale : entrambe.

Il problema reale di questo downgrading in realtà, è puramente tecnico.  Con un livello BBB+, l’Italia si pone all’ultimo livello di “investment grade”, ossia il livello in cui un investimento non è considerata un’azione speculativa. In pratica, questo significa che molti fondi pensione, fondi d’investimento e assicurazioni che hanno in pancia titoli di stato italiani, dovranno venderli in quanto per statuto non possono mantenere piu di un certo limite (20% circa) di titoli con rating inferiore ad A-. Motivo unicamente tecnico quindi. Altro problema è che “grazie” a questo downgrading, la Clearing House di Londra ha deciso di alzare il margine di contribuzione per mantenere titoli di stato italiani. Questo significa che molti investitori istituzionali dovranno disfarsi di altri BTP per non pagare l’aumento del margine di contribuzione. Altro fattore tecnico.

Ora la domanda sorge spontanea. Questi due fattori combinati (downgrading di S&P e aumento margine di contribuzione della Clearing House della City) arrivano in maniera casuale proprio il giorno in cui le trattative per la ristrutturazione del debito greco subiscono un pesante stallo, oppure vi è un tentativo, nemmeno troppo velato di condurre in maniera “americana” la crisi del debito europea?

Come mai l’agenzia di rating ha colpito più violentemente proprio quegli stati che negli ultimi mesi han fatto i maggiori progressi per la risoluzione della crisi?  Infine, come mai un paese con un deficit/PIL superiore all’8% e con le maggiori banche ormai nazionalizzate gode ancora della tripla A (mi riferisco al Regno Unito)? Davvero S&P valuta l’Italia con lo stesso identico rating di Perù, Colombia e Kazakhstan?

Non ho mai dato grosso credito alle teorie complottiste, ma mi sembra evidente che la guerra valutaria fra euro e dollaro sia qualcosa di ormai piuttosto palese e difficilmente negabile

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