
Massimiliano Manzotti
Oggi, in continuità con il precedente articolo della rubrica, riprendiamo il discorso sugli antibiotici. La scoperta di questa classe di farmaci, oltre ai vaccini, ha rappresentato uno dei maggiori contributi scientifici del secolo scorso per quanto riguarda la durata e la qualità della vita. Il merito della loro scoperta è legato al nome di Alexander Fleming (1881 – 1955) biologo e farmacologo britannico, Premio Nobel nel 1945. Nel 1928 intuì che una muffa che inquinava un terreno di coltura per una colonia di batteri ne inibiva la replicazione e dunque la crescita. Tuttavia la storia ha dimenticato un medico italiano, Vincenzo Tiberio nato a Sepino CB nel 1869, brillante ricercatore. Mentre ancora studiava medicina all’Università di Napoli mise in relazione i disturbi intestinali di cui soffrivano i suoi vicini di casa ad Arzano con la periodica disinfezione del pozzo da cui attingevano l’acqua da bere. Fu così che iniziò a studiare le muffe e intraprese degli esperimenti che lo portarono a scoprire il loro potere battericida: nel 1895 il giovane medico scrisse il resoconto delle proprie scoperte col titolo Sugli estratti di alcune muffe. Tiberio, divenuto l’anno successivo assistente presso l’Istituto d’Igiene della stessa Università, rivolse la sua attenzione verso una classe di funghi, gli ifomiceti, ben sapendo che l’azione delle muffe era già nota ai medici della Grecia e Roma antiche, che la utilizzavano sotto forma di poltiglia per ricoprire le ferite, al fine di impedirne la suppurazione. La sua vita operosa, ma lontana dai riflettori della scienza accademica anche per la sua scelta di proseguire la carriera in ambito militare, si spense all’età di soli 46 anni nel 1915. Una strada gli è stata intitolata a Roma.
Nello stesso periodo furono scoperti anche i sulfamidici: una classe di farmaci tipo sintetico che contiene nella struttura chimica un gruppo composto da uno atomo di zolfo: siamo nel 1935 e la loro sperimentazione clinica suscitò molto entusiasmo: la mortalità per infezione da streptococchi, agenti della meningite, endocardite e polmoniti, scese drasticamente.

Una citazione particolare la vorrei dedicare a Selman Abraham Waksman (Pryluky 1888 – Woods Hole 1973) biologo e microbiologo russo naturalizzato statunitense e Premio Nobel nel 1952. Nato in una famiglia ebreo-russa, emigrò negli Stati Uniti nel1910. Laureatosi in Scienze Biologiche, si specializzò presso l’Università di Berkeley (California) in biochimica, trasferitosi come ricercatore presso l’Università di Rutgers in New Jersey incentrò i suoi studi sulla ricerca di nuovi antibiotici passando alla storia con la streptomicina isolata nel 1943.
Questo ritrovato fu il punto di partenza per la terapia della tubercolosi che fin a quel momento era causa di morte e infinite sofferenze ai malati e alle loro famiglie. Dopo quella data la terapia fu poi arricchita di altre molecole dal PAS all’isoniazide sino alle più recenti molecole come etambutolo, pirazinamide e rifampicina, che, in associazione, consentono l’eradicazione completa del germe all’interno delle lesioni causate dal micobatterio tubercolare.
I farmaci antibatterici per la loro costituzione naturale sono diretti contro strutture assenti nelle cellule del nostro organismo così si evita la tossicità per l’uomo e l’attività chemioterapica si focalizza solo sui microbi patogeni. Pertanto ogni classe di antibiotici ha un meccanismo d’azione specifico verso l’agente da colpire. Le penicilline per esempio sono dirette a distruggere il rivestimento dei germi, questa “parete cellulare” ha una caratteristica peculiare che non ha eguali nel nostro organismo. Altri antibiotici vanno a colpire particolari vie del metabolismo o di replicazione dei microbi. Così ogni classe ha il suo bersaglio specifico. Ad esempio i cocchi saranno sensibili alle penicilline, mentre i coli-batteri, prevalentemente Gram negativi, saranno sensibili ad antibiotici particolari (aminoglicosidi). Ci sono poi alcuni germi che non hanno una vera e propria parete e allora risentiranno delle tetracicline o dei macrolidi: chi non ricorda l’uso della vecchia Eritromicina.
Ho narrato in poche righe questa meravigliosa storia dell’umanità per ricordare ancora una volta che gli antibiotici sono tra i farmaci più prescritti nel mondo. Utilizzati correttamente e appropriatamente sono in grado di salvare migliaia di vite umane ogni giorno. L’uso indiscriminato invece aumenta i costi dell’assistenza, comporta un numero infinito di effetti collaterali, di complicazioni per interferenze con altri farmaci. Soprattutto si creano le resistenze batteriche cioè si selezionano ceppi batterici sempre più aggressivi e che non rispondono più alla terapia, rendendo inefficaci molecole d’immenso valore. Il loro uso razionale dipende dalla conoscenza dei vari meccanismi d’azione, spettro d’attività, farmacocinetica, tossicità ed eventuali interazioni con le altre medicine. Inoltre è opportuno conoscere lo stato generale del malato e del processo che sta alla base dell’infezione. Poiché la battaglia si vince se l’organismo umano, aiutato dal medico e dai farmaci, potrà comportarsi adeguatamente in una sinergia vittoriosa che conduce a quel meraviglioso processo che si chiama guarigione.