In uno dei suoi libri, il filosofo libanese Nassim Taleb fa notare come non esista alcuna prova che all’aumentare della conoscenza, della preparazione scolastica, corrisponda un maggiore successo economico e sociale di un Paese; anzi, semmai è vero il contrario: dati alla mano, i maggiori momenti di sviluppo sono avvenuti in periodi in cui la preparazione era bassa, bassissima, e oggi, un momento in cui i titoli di studio sono finanche inflazionati, lo sviluppo ha rallentato fino a fermarsi. Si tratta, ovviamente, di una provocazione, arte nella quale Taleb eccelle, forte della sua tesi (ampiamente condivisibile) che il mondo in realtà è molto meno prevedibile e misurabile di quanto di solito ci illudiamo che sia; eppure, a voler essere pratici, il dato secco è inconfutabile.
Poi, ci si potrà dilungare in centinaia di possibili interpretazioni, lungi dal voler scadere nel determinismo più bieco; però l’assioma che ad una maggiore produttività dal punto di vista tecnico intellettuale corrisponda un maggiore benessere, nel frattempo si è definitivamente andata a far friggere. Questa straordinaria spinta verso l’efficienza, l’efficacia, l’economicità, ha sì eliminato dalla corsa tanti rami secchi dell’evoluzione che, come il Dodo, si presentavano a chiedere un posto da operaio forti di lauree in Ermeneutica del Teatro Greco-Bizantino, ma ci ha poi anche messo nelle mani di gente che usa, salvaci o Signore, il termine “Efficientare”. Quanto all’efficienza, efficacia, economicità, qualcuno ha notizia di questi concetti in seno alla Pubblica Amministrazione, benché le figure dei Dirigenti ormai siano state assimilate a quelle dei manager, e si parli degli Enti definendoli “Aziende”? Naturalmente no; anzi, è vero l’esatto contrario. Perché l’introduzione di nuovi livelli tecnici ha sottratto forze e responsabilità dal basso e creato intere caste di passacarte specializzati, veri esteti della burocrazia politica con potere di firma o di morte.
E’ successo, in tutti i settori, che abbiamo guardato con sguardo sognante all’idea di Manager, quando negli altri Paesi in cui erano nati cominciavano giusto a capire che non servivano a un fico secco, salvo che a far lievitare i costi. Una massaia un po’ in gamba, un buon padre di famiglia, sono regolarmente in grado a tutt’oggi di ottenere un ricavo pari forse al 1500% di quello ottenuto da un Manager in odor di santificazione a parità di mezzi utilizzati, nell’amministrazione delle cose del quotidiano. Tutto ciò semplicemente usando il buon senso. Questa ubriacatura deriva, come al solito, da una spinta esclusivamente rivolta ad un fine concetto utilitaristico: facciamo quello che rende, studiamo quello che rende. Efficientiamoci. Così, oggi siamo affogati in un mare di manager che vanno tenuti per mano e ricollocati, in un tessuto industriale formato perlopiù di microaziende artigiane; dall’impossibilità di collocare il laureato in Filosofia della Filosofia siamo passati a quella di far riassorbire al mercato un mare di odontotecnici, avvocati, esperti di comunicazione e marketing, ingegneri la cui unica speranza è una crescita ulteriore della burocrazia che li terrà in vita, e che costa soldi enormi che si potevano serenamente sprecare per avere dipendenti pubblici forse meno efficienti ma più volonterosi, più biblioteche, più teatri, più scuole capaci di sfornare anche solo gente che imparasse come imparare, e che usare la K al posto del CH sta proprio brutto.