Come sterilizzare il salasso dei costi dell’energia

Se lo shock energetico si protrae diventa necessaria una tassa di emergenza
Calculator, euro bills and coins close up

Il dramma bollette della luce e del gas è sotto gli occhi di tutti. Il 2022 finirà con una sovrabolletta energetica verso il resto del mondo di circa 110 miliardi suddivisi per 79 miliardi verso il mondo delle imprese e per 31 miliardi verso le famiglie.

Ipotizziamo che il sistema resti tutto fermo e che non ci siano variazioni nelle altre grandezze economiche. Questo significa che il sistema produttivo genererebbe un valore aggiunto con meno 79 miliardi (una riduzione secca di quasi il 5%) oppure, nel caso che l’aumento venisse completamente ribaltato sui prezzi al consumo, che i consumi delle famiglie si ridurrebbero di 110 miliardi (con una riduzione del 10,7%).

Questo “blocco” è ovviamente lontano dalla realtà sia perché l’aumento dei prezzi delle materie energetiche si è accompagnato all’aumento di tante altre materie prime e prodotti base di origine agroalimentare e sia perché le imprese non hanno il potere di scaricare sui prezzi l’intero incremento dei costi energetici, in particolare quelle che lavorano in concorrenza sui mercati esteri o su mercati ad alta elasticità di prezzo. Ma l’idea del blocco del “tutto il resto” rende evidente il problema da affrontare in questa fase e nella prossima successiva.

Qualcuno deve “pagare” questo incremento repentino di costo e la corsa a scaricare da un settore all’altro e da un comparto all’altro dell’economia è elevato. Questo scaricabarile senza una “linea strategica” favorisce la crescita dell’inflazione che rischia di andare, come è accaduto negli anni ’70/80 in Italia, stabilmente sopra le due cifre. Per cui sarebbe bene, come prima scelta politica, non dare il senso che i “buoi sono oramai scappati” assecondando le spinte inflazionistiche e sarebbe importante cercare di isolare, e rendere eccezionali anche dal punto di vista della comunicazione istituzionale, gli incrementi registrati in questa fase.

Intendiamoci, per un paese indebitato come l’Italia una normale inflazione sarebbe un situazione migliore della crescita a inflazione zero. Ma tale spinta non dovrebbe superare il 2/3% all’anno. Pena riflessi negativi sulla crescita sproporzionata dei tassi di interesse.

Per il resto cosa possiamo fare? In emergenza occorre sostenere imprese e famiglie come ha fatto la Germania. Appare difficile seguire altre strade alternative. Ma pensiamo che sterilizzare 110 miliardi di euro, figurarsi se questo “salasso” dovesse poi ulteriormente crescere nel 2023, non sia cosa facile per un paese ad alto indebitamento. E quindi puntare, come ha fatto Draghi negli ultimi giorni del suo mandato, a contenere l’aumento delle materie energetiche appare certamente la mossa più significativa per evitare che la criticità si trasformi in una tragedia per l’Italia e anche poi per l’Europa.

Non sappiamo ad oggi se un tale percorso, appena avviato, potrà portare dei frutti. Ma è certamente la via giusta per sterilizzare, a breve, diciamo almeno un terzo del prevedibile salasso.

Un altro elemento che può dare un qualche contributo può essere la tassazione degli extraprofitti delle imprese energetiche. In linea generale si tratta di una misura inaccettabile. In economia la differenza fra profitti normali ed extraprofitti aprirebbe di sicuro un interessante dibattito teorico, ma difficilmente una linea d’azione accettata da tutti. In questo caso però la “extrità” appare lampante. Il sistema di fissazione dei mercati dell’energia si è rilevato inadeguato a prezzare correttamente i costi delle diverse alternative produttive. Per cui tutte le imprese hanno beneficiato del prezzo più alto a prescindere dalla propria struttura dei costi. I guadagni fatti non hanno nulla a che vedere col mercato, né col merito, né con l’innovazione delle imprese. Sono solo “regali” di un mercato imperfetto. E quando un “mercato fallisce” lo Stato ha tutto il diritto di intervenire. Ovviamente il tutto va fatto col Codice di diritto in mano, in punta di penna ma è certo che i dieci miliardi preventivati possono e debbono essere raggiunti e forse anche qualche cosa di più.

A questo punto devono intervenire le compensazioni per famiglie e imprese. Privilegiando le famiglie in maggiore stato di bisogno e le imprese in maggiore difficoltà economica (che non è detto che siano le più energivore in senso stretto, in quanto dipende molto dal regime di concorrenza del proprio mercato e dalla elasticità della domanda di propri prodotti). Tali compensazioni non dovrebbero superare i 50/60 miliardi per l’intero sistema.

Il resto del salasso dovrebbe infine essere subito dalle famiglie (magari quelle meno in difficoltà) e dalle imprese (anche queste in particolare quelle meno in difficoltà economica produttiva) come spinta necessaria per mettere in atto processi a maggior tasso di efficienza energetica, di spostamento di modelli produttivi e di consumo meno energivori e per spingere le imprese e le famiglie a impegnarsi con maggiore slancio nella autoproduzione attraverso energie rinnovabili.

Questo di un impegno del paese e dei singoli soggetti economici ad autoprodurre energia attraverso fonti rinnovabili è un punto di particolare importanza nell’attuale vicenda energetica del paese. L’Italia produce oggi intorno al 20% di energia da fonti rinnovabili e ha un target al 2030 del 37.9%. Con l’attuale tasso di realizzazione di impianti, nel 2030 il livello arriverebbe intorno al 22,0% molto lontano, di quasi 6 punti percentuali, dal target stabilito. E’ evidente che solo uno sforzo pubblico (in termini in primo luogo di semplificazione dei processi autorizzativi ma anche di investimento pubblico diretto) che si accompagna ad una campagna di forte adesione dei privati, può invertire l’attuale trend negativo e può inserire l’attuale crisi all’interno di un contesto di maggiore serenità e di maggiore fiducia nella tenuta strutturale del sistema economico.

Insomma di fronte ad uno “shock” di cui non conosciamo al momento il livello di strutturalità, che potrebbe però durare per più di qualche anno, l’ipotesi di compensare i soggetti colpiti con risorse pubbliche, per di più a deficit, non appare la strategia più adatta nel medio periodo. Primo perché mette in difficoltà eccessiva il Bilancio dello Stato e secondo perché non dà i giusti segnali di cambiamento al sistema. Rischia in qualche modo di rallentare la “corsa, necessaria, al cambiamento”. Una strategia che si basa su un numero maggiore di punti di attacco appare più adeguata.

Infine, per quanto riguarda l’impegno dello Stato per la compensazione dello shock, è giusto rilevare che nella prima fase di risposta la possibilità di utilizzare meccanismi di deficit spending può essere accettata. Altrettanto non si potrebbe dire se la fase di shock si protraesse per un tempo più lungo. In questo caso, anche per lasciare, come vuole la teoria economica, gli eventuali spazi di deficit che si dovessero presentare alla intensificazione degli investimenti pubblici, occorrerebbe coprire le risorse con maggiori entrate. Escludendo l’incremento della tassazione sugli elementi della produzione non si potrebbe trovare spazio di incremento se non in una tassazione “emergenziale”, quindi non strutturale, sul patrimonio. Altre strade non sembrano possibili, né auspicabili.

L’attuale fase di crisi non è una passeggiata. Richiede impegno dei soggetti economici e del Governo. E richiede un di più di solidarietà dei tanti pezzi della società. Lo scaricabarile sarebbe una strategia senza successo. Vediamo quale sarà la scelta del nuovo Governo: è finito il tempo degli “slogan”.

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