Il 20, 21 e 22 aprile tornano a Reggio le Giornate della laicità. E’ una buona notizia.
In un Paese dove la “questione laica” è stata accantonata da quasi un secolo più per ragion di stato che per timor di Dio, un’iniziativa del genere è senz’altro coraggiosa e lodevole. E lo è a maggior ragione perché ad ospitarla è una città in cui la vetta del dibattito culturale è una zuffa sugli arredi liturgici del Duomo. Una ventata d’aria fresca, finalmente.
Lo scorso anno alle conferenze e ai dibattiti hanno preso parte centinaia di persone. E’ la dimostrazione di quanto bisogno di confronto ci sia su temi quali la dignità della persona, la libertà di ricerca, i rapporti tra stato e individuo, ma anche sulle grandi questioni dell’esistenza. Per troppo tempo, a differenza di quanto è accaduto nell’Europa protestante, certe faccende sono state appannaggio quasi esclusivo del clero mentre il pensiero scientifico è stato relegato ai margini e fatto proprio da una élite.
I tempi sono cambiati, è vero, ma il fastidio e le polemiche che hanno suscitato lo scorso anno le Giornate della laicità in certi ambienti testimoniano i pregiudizi feroci di una parte del mondo cattolico, disposta a dialogare con il non credente solo quando questi anela alla conversione. In sostanza la partita si può disputare solo se si gioca in casa e a patto che il campo diventi terreno per l’evangelizzazione. Resta però di difficile comprensione il clima di sospetto nei confronti di un’iniziativa che ha portato a Reggio esponenti di primo piano della cultura italiana, fra i quali anche illustri religiosi.
Stiano tranquilli i custodi della Tradizione e chiedano a chi ha partecipato all’edizione 2011: nessuna invocazione a Satanasso né furore giacobino. Solo un’occasione per ascoltare altri punti di vista e magari allargare gli orizzonti della mente che, diceva Einstein, è come un paracadute: funziona solo se si apre.