Firenze – Sasha Perugini, direttrice della Sede italiana della Syracuse University e autrice di numerose pubblicazioni ci spiega in questa intervista di come nel recente libro “Tacchi e spilli. A spasso tra preconcetti e pregiudizi (non solo) al femminile” ha analizzato gli stereotipi che continuano a definire il ruolo della donna nella società e sui social network, affrontando questioni relative al mondo del lavoro, ai rapporti di coppia, alla moda e ai costumi. Una visione lucida e puntuale che stimola a interrogarsi e riflettere sui cliché che ancora oggi definiscono e limitano non solo le donne ma la società a tutto tondo rispetto a uno sviluppo oggettivo e proficuo. Ne parliamo con l’autrice .
Come è nato questo libro?
“I temi di parità e discriminazione mi interessano da sempre. Insegno un corso di competenza cross-culturale e management e inclusività e intersezionalità sono temi da cui non posso e non voglio prescindere. E’ stato soprattutto dopo che ho accettato il ruolo di dirigente di un programma universitario statunitense, il Syracuse University Florence, però, che ho iniziato ad interrogarmi con puntigliosità sui modelli di leadership esistenti e gli stereotipi sulle donne. Quando sono entrata in questo ruolo, nel 2011, mi sono resa conto che non riuscivo a trovare modelli di leadership a cui ispirarmi. Ho iniziato quindi a cercare modelli di management che sentissi più vicini alle mie modalità e alle mie competenze professionali e indagato più a fondo la rappresentazione delle donne all’interno delle scale gerarchiche, sui media, fuori dalla coppia o dalla famiglia.
In contemporanea in quegli anni, soprattutto dalla fine della prima decade del nuovo millennio, iniziavano ad entrare nelle nostre vite, in forma più o meno invadente, gli smart phone e i social media. Erano gli anni dei primi tweet, dell’invasione di like e selfie, delle grandi interrogazioni sulla privacy. Territori in cui mi addentravo per curiosità intellettuale e per staccare dalla routine mamma-manager-capo.
Era anche il periodo dei blog e come tanti iniziai a scrivere post sui vari temi molti dei quali vertevano attorno alla disparità di genere, al sessismo o agli stereotipi di genere. Molte di queste riflessioni finirono pubblicate sull’ Huffington Post Italia. Quando avevo un prurito intellettuale o frustrazioni, scrivevo il pezzo velocemente e lo inviavo. Se passava lo scrutinio, lo ritrovavo in rete dopo qualche giorno, altrimenti rimaneva nella cartella di idee da sviluppare.
Nell’ambito di uno di un workshop che stavo tenendo su donne e leadership, mi arrivò il suggerimento di raccogliere i miei scritti in un’unica collezione. E così ho fatto, ho scelto alcuni pezzi usciti e aggiunto altre riflessioni inedite e successive al 2018, tra cui un articolo che avevo inizialmente scritto in inglese (tradotto per l’occasione). Ho dato struttura al tutto, suddiviso per macro-temi e proposto la bozza all’editore Antonio Pagliai, che dirige la casa editrice Mauro Pagliai Edizioni. Antonio non ha preso a cuore il progetto e deciso di pubblicarlo”.
Perché “ tacchi e spilli” ?
“Dopo la prima lettura della bozza, con Antonio abbiamo iniziato a pensare ad un possibile titolo e siamo approdati a “Scarpe Anti-Stupro” che è anche il titolo del primo articolo. Non ero soddisfatta però e ho continuato a pensare a qualcosa che fosse allo stesso tempo specifico ma anche una metafora comunemente usata. Ho quindi pensato ai tacchi, come simbolo capitale (ancora per poco) per gli stereotipi al femminile perché proprio le scarpe hanno un posto privilegiato negli scritti che propongo. Le scarpe infatti offrono in questo libro una sorta di filo di Arianna con cui tracciare le tappe all’interno di un labirinto semantico da una parte troppo restrittivo per la velocità con cui tutto cambia di questi tempi, e dall’altra troppo fluido per concedere facili tragitti verso un’uscita liberatoria. Non a caso il simbolo della violenza contro le donne e dei femminicidi sono delle scarpe rosse. Gli spilli invece sono il simbolo delle mille punzecchiature, illazioni, battutine, provocazioni, micro-aggressioni quotidiane che vengono basati su questi stessi stereotipi, spesso tollerati per il quieto vivere o per abitudine o perché, come si sa, bisogna scegliere le proprie battaglie”.
Negli ultimi anni le donne si sono affermate nel mondo del lavoro e nelle istituzioni . I vecchi stereotipi resistono ancora e se ne sono aggiunti di nuovi ?
“Resistono ancora tanti dei classici stereotipi tipo quello che abbina la donna sempre alla maternità e all’eterosessualità, alla poca forza decisionale, oppure all’isteria (in base a oboslete e superficiali nozioni sui flussi ormonali). Più che aggiungersi nuovi stereotipi si sono aggiunte nuove sfaccettature al sistema binario e clustrofobico che vuole la donna o gentile e servizievole o strega e maligna. Una polarizzazione ipersemplificante e patologicamente bipolare. Ora come ora si aggiungono nuovi esempi e nuove consapevolezze di discriminazione”.
Questo libro è rivolto più alle donne o agli uomini ?
“Decisamente agli uomini. Noi donne, seppure ognuna con le proprie individuali visioni, ideologie, modalità e preferenze, sappiamo già quali sono le note dolenti, le discriminazioni, gli ostacoli e gli stereotipi. Questo è un libro per i padri, i fratelli, i figli, i capi, i professori, i direttori di giornale e in generale gli uomini in posizione di potere in un sistema maschio-declinato.
Questa è la dedica del libro: “Dedico questo libro a mio figlio, mio marito, mio fratello, mio padre, mio patrigno, mio suocero, mio zio e in generale agli uomini, perché se questo nostro raccontare (a volte urlare) le nostre difficoltà era e rimane necessario e legittimo, c’è ancora bisogno di fare tanta strada per trovare un equilibrio che non sia l’allontanamento radicale che vedo emergere come unica soluzione al disagio risentito di entrambe le parti.”
Qual è il filo di Arianna per i uscire da una situazione di discriminazione e di impari opportunità ?
“Bisogna che gli uomini inizino a:
– Smettere di sentirsi tentennanti a causa di queste tematiche. Si cresce solo uscendo dalla zona di comfort. Tutto questo cambiamento non riguarda gli uomini, riguarda la collettività. Non si tratta di mettere gli uomini in castigo, ma si tratta di diventare adulti tutti insieme.
– Smettere di pensare alla casa come al focolare della donna o pensare che pulire in casa è un aiuto a lei o semplicemente smettere di pensare in sistemi binari. La parità di genere è il primo passo per l’inclusività ma non è l’ultimo tassello della discriminazione.
- Riconoscano i meriti delle donne, li evidenzino e passino dall’aprire la porta per galanteria all’aprire spazio intellettuale e di potere.
- Denunciare insieme alle donne episodi di bullismo e aggressione sessista, soprattutto quelli nascosti dall’anonimato. Non farlo è omertà.
- Smettere di pensare ai figli come patrimonio e responsabilità esclusiva delle donne.
- Riconoscere i privilegi acquisiti e prendano consapevolezza dei propri pregiudizi.
- Rispettare le differenze senza deriderle e soprattutto senza aggrapparsi alla (s)valutazione dell’aspetto delle donne per sminuirle.
- Impegnarsi a fare delle differenze un punto di forza e non un punto di divisione. Critiche e suggerimenti sono un’opportunità di crescita.
Si battano per l’abolizione della tassa rosa perché un paese in cui la metà della popolazione viene tassata più dell’altra a causa del genere (una tassa che pagano solo le donne: è l’Iva al 22% su assorbenti e igiene femminile di base. In tutta Europa i governi l’hanno abbassata, mentre in Italia sono considerati beni di lusso) o in cui si fa pagare di più il prodotto da donna rispetto a quello da uomo (che sia lametta, shampoo o deodrante) è un paese che pensa solo con metà cervello.