Sciarra e Cassano, donne nella Giustizia: “Non cadete nel rischio di scimmiottare gli uomini”

Il racconto delle due Presidenti: Corte Costituzionale e Corte di Cassazione
Da sinistra, Silvana Sciarra e Margherita Cassano

Un minuto di silenzio in ricordo di Giulia Cecchettin, e poi il flash mob, cento nomi scanditi ad alta voce, ad uno ad uno, dai docenti e dalle studentesse e studenti che gremiscono l’aula grande, quella del Campus di Scienze Sociali dell’Università di Firenze, cento nomi che sono il pesantissimo tributo di sangue delle donne nel solo 2023, che è ormai quasi alla fine. E’ stato questo, l’incipit che ha salutato stamattina, lunedì 20 novembre, l’incontro con Silvana Sciarra e Margherita Cassano, giunte a Firenze per raccontare agli studenti la propria vicenda femminile e giuridica giunta a scalare i vertici della piramide: Margherita Cassano prima donna a rivestire la carica di Presidente della Corte di Cassazione, Silvana Sciarra, prima donna eletta giudice costituzionale dal Parlamento, già presidente della Corte Costituzionale, succeduta a Giuliano Amato.

L’incontro “Il racconto di due Presidenti: Corte Costituzionale e Corte di Cassazione” è stato introdotto dai saluti della Rettrice Alessandra Petrucci e della direttrice del Dipartimento di Scienze Giuridiche (DSG) Irene Stolzi, mentre sono intervenuti il docente di Diritto costituzionale del Dipartimento di Scienze giuridiche Andrea Simoncini e il presidente della Scuola di Giurisprudenza Alessandro Simoni, che ha svolto anche il ruolo di coordinatore. Sul palco, accanto ai relatori, un posto era simbolicamente occupato da un poster di colore rosso e bianco, riservato a una donna vittima di femminicidio che avrebbe potuto o voluto essere lì.L’Università di Firenze partecipa, infatti, alla campagna di sensibilizzazione “Posto occupato” in vista della Giornata internazionale del 25 novembre per l’eliminazione della violenza sulle donne.

Del resto, nelle stesse aule di giustizia l’ingresso delle donne non più come vittime o testimoni, e dunque non più nel ruolo di “agite” bensì di “agenti”, fu molto difficile. Lo ricorda Irene Stolzi, nel suo intervento di saluto e riflessione, riportando alla luce quei dibattiti in Assemblea Costituente relativi all’ingresso delle donne in magistratura. “Furono pochissime le voci semplicemente favorevoli, che videro nell’ingresso delle donne in magistratura, un corollario necessario del principio di equaglianza. Vi furono poi molteplici voci contrarie, sebbene con diverse sfumature. La stessa Assemblea, che stava confezionando una norma di straordinaria bellezza in tema di eguaglianza, quando impatta con la forza di certi modelli culturali scopre anche un diverso modo di guardare a certi temi, come quello dell’ingresso delle donne in magistratura”. Ma si era nel ’46-47, in un Paese che usciva da vent’anni di dittatura sanguinosa e da una guerra disastrosa. Le donne fecero il loro ingresso in magistratura solo nel 1963.

Tuttavia, ciò non significa che i problemi che le tengono ancora prigioniere di pregiudizi e gabbie invisibili ma concretissime, siano risolti. “Lo scorso anno abbiamo ospitato – ricorda Stolzi – un brillante avvocato penalista che ha dimostrato come il linguaggio utilizzato nei processi per violenza di genere sia spesso ancora intriso di certi stereotipi”. L’idea, sottolinea la direttrice di Gds, è che ci sia “un luogo naturale in cui devono stare i due generi e quindi che ci sia una sorta di destino obbligato, di comportamento che si ritiene proprio agli appartenenti dei due generi”. Una sorta di gabbia ideale e ideologica da cui evadere è veramente difficile.

Una riflessione sul concetto di giustizia è il contributo di Simoncini. Un concetto plurimo, quello di giustizia, che accomuna tuttavia tutti su un punto, un sentimento, un’esperienza, quello dell’ingiustizia. “Di fronte all’esperienza dell’ingiustizia ci sentiamo tutti insieme”, a cominciare dalla reazione immediata di urlare “mai più”. “Per reagire all’esperienza dell’ingiustizia, mettiamo in piedi un tentativo del tutto umano e non unico, l’apparato della Giustizia”. Non l’unico, ma uno degli importanti tentativi dell’umano di reagire all’ingiustizia, che è “insopportabile”. “Due donne rappresentano oggi al vertice i due volti della Giustizia nel nostro sistema: il volto della giustizia attraverso la legge, ma anche, ed è la vertigine del sistema costituzionale come lo viviamo, la giustizia contro la legge, quando è la legge ad essere ingiusta. Consapevolezza che non è stata sempre di tutte le stagioni e di tutte le generazioni. La presenza della Corte Costituzionale è l’idea che anche ciò che formalmente diventa legge, deve ripettare alcuni valori fondamentali”, imprescindibili, diremmo noi. E’ decisivo che “queste due forme della Giustizia dialoghino e si muovano all’unisono, anche perché il nostro sistema è pensato per il dialogo fra il sistema giudiziario e quello costituzionale”.

L’intervento di Silvana Sciarra, che inizia dal periodo fiorentino (Sciarra è stata infatti per otto anni docente emerita dell’Ateneo toscano) mette subito sul banco un punto importante per la formazione e lo sviluppo del diritto, ovvero la condivisione. “Questa è l’Università che mi ha accolto venendo da un’altra Università, quella di Bari, ma soprattutto da un’altra scuola accademica, molto diversa rispetto a quella si è formata e consolidata a Firenze. Il primo passaggio è proprio questo: l’accoglienza, che è anche il modo di ampliare la condivisione delle esperienze”. Un ingresso nel mondo accademico fiorentino dunque facilitato dall’accoglienza, che ha permesso anche il diffondersi di idee fra gli studenti, tenendo a a mente una delle lezioni fondamentali del “mio Maestro”, ovvero la pratica del pluralismo e il rispetto delle opinioni altrui. “In questo, gli studi giuridici facilitano”.

Eppure, gli inizi della carriera studentesca di Sciarra non furono semplici, come ricorda lei stessa davanti agli studenti, ma la fortuna di avere un “Maestro straordinario” la condussero a non mollare, come aveva pensato di fare, ritenendosi inadatta agli studi giuridici. Un percorso legato alla fortuna, agli incontri significativi, ma anche “alla nostra determinazione: i percorsi di studio e in generale i percorsi della vita li disegnamo noi e le donne li sanno disegnare con particolare determinazione”. Una determinzione che, “anche per le donne, non deve essere mai arroganza, mai aggressività; non abbiamo bisogno di quello. Abbiamo bisogno di pacatezza, di affermare la nostra competenza con pacatezza, affermando anche il nostro ruolo femminile, un punto questo irrinunciabile”.

Un’altra fortuna, dice ancora Sciarra, fu quella di essere esposta a un ambiente internazionale, “ma anche in questo caso scelsi di farlo. Il mi maestro Gino Giuni era molto conosciuto a livello internazionale, ma non ha tenuto questo per se'”, segnale della sua attenzione e generosità verso i giovani. “Abbiamo imparato, attraverso Giuni, e non solo in Italia, la fattualità del diritto”. Anche l’importanza degli studi di comparazione degli istituti e delle normative giuridiche è sottolineato da Sciarra. La “comparazione è un esercizio di modestia, che comporta solitudine, ma che è essenziale per lo sviluppo del diritto”, conclude.

“Come la mia amica Sciarra, non avevo alcuna vocazione per gli studi giuridici – comincia il racconto Margherita Cassano – e come spesso capita a molti di noi, mi iscrissi a giurisprudenza uno degli ultimi giorni, dal momento che in realtà volevo studiare lettere classiche, provenendo dal liceo classico. In casa dissi che mi sarei ritirata dopo due-tre mesi: insomma, volevo provare. Ho incontrato professori che hanno capito il disagi di un ragazzo di giurisprudenza nell’avvicinarsi ad una facoltà che sembra mitizzare il ruolo della legge. L’intelligenza di questi professori è stata quella di farci comprendere quanto siano relative le soluzioni adottate dalla legge, quanto siano condizionate da tanti fattori esterni, sociali, economici, storici, e quindi ci hanno accompagnato nella nostra formazione affiancando ai manuali letture di più largo respiro. Prospettive inedite che ci hanno fatto appropriare del significato più profondo degli studi giuridici”.

I valori fondamentali, secondo Cassano, sviluppati negli anni di Università e poi compagni della sua carriera in magistratura, ” la curiosità intellettuale, la consapevolezza che ogni questione può essere osservata da diversi punti di vista, che nessuno deve partire da certezze precostituite, che il migliore approfondimento scaturisce dalla verifica critica di una pluralità di punti di vista e di teorie”. Questo è ciò che si sta tentando di fare anche oggi: un esercizio “sul sentimento più autentico della democrazia”.

Democrazia, dunque. Cos’è? “Non è soltanto diritto di partecipazione, non si identifica soltanto con le regole consacrate nella Carta fondamentale; è innanzitutto la consapevolezza di come ciascuno di noi può e deve farla vivere quotidianamente”. Insomma, passando dalla Costituzione formale alla Costituzione materiale, è l’effettività dei comportamenti dei cittadini che con le loro scelte dimostrano la volontà di riconoscersi nei valori scritti nella Carta a dar vita al “sentimento” della democrazia. Un sentimento che, dice Cassano, “mi ha accompagnata anche nella mia formazione e attività di magistrato”, apportando la consapevolezza di alcuni valori chiave.

“In primis, la consapevolezza della dignità e irripetibilità della persona in quanto tale, che ha un valore in se’ ed un valore diverso da quello di qualsiasi altro”. Una consapevolezza fondamentale per il lavoro di magistrato, dal momento che significa, “con garbo ed equilibrio tentare di prospettare una tesi che non converge necessariamente con quella del collega all’interno del collegio”. Un atteggiamento che nasce però da un approccio precedente, il rispetto della dignità della persona, “da sottolineare tanto più oggi in quanto ricordiamo la vita di tante donne, ben più sfortunate di noi, tante donne che hanno visto negare l’essenza della loro dignità. Ed è questo l’esercizio che deve accompagnare insieme uomini e donne, dal momento che lo Stato di Diritto si alimenta solamente se accompagnato dalla forte convinzione che ogni persona merita rispetto in quanto ha un valore in se'”. Il valore in sé della persona è anche l’antidoto che evita ogni regime totalitario, dal momento che ” regime totalitario è quello che ha bisogno dell’uomo-massa, persone che la pensano tutti allo stesso modo e non hanno il coraggio di pensare ed esprimere idee diverse”.

Il miglior sistema per far vivere una democrazia? “Questi valori fondamentali: valore della persona, il rispetto della sua libertà, il principio di eguaglianza sostanziale e non soltanto formale, la consapevolezza di ciò nel proprio lavoro quotidiano”.

Lo sviluppo dei tempi tuttavia pone la necessità di tornare a riflettere su concetti anche basilari della professione di magistrato o operatore del diritto, come il concetto stesso di legge, che comprende in realtà tanti diversi profili. “Oggi ci s’interroga a livello dottrinario su cosa sia la legge, che si sta scomponendo in tanti submodelli, da quella caratterizzata solo da clausole generali, le cosiddette soft-law, le leggi provvedimento, quelle che fanno rinvio ad altre norme secondarie – dice Cassano – Se potessi dare un consiglio agli studenti, è quello di non mitizzare il ruolo di una legge . La legge non esaurisce il complesso delle nostre relazioni e serve a regolarle, ma in tanto può assumere un significato in quanto al substrato dela legge ci sia un complesso di valori forti, che ci tiene insieme, nella nostra convivenza civile, a prescindere da ciò che ci dice la legge. Troppo spesso, a partire da Mani Pulite, si è delineata la tendenza a delegare all’autorità giudiziaria la risposta a fenomeni molto complessi che in una società odierna devono trovare tante forme armoniose di risposta”. Esempi, tanti. Basti pensare al reato di corruzione, in cui il magistrato indaga sullo specifico fatto ma non può occuparsi se quel fenomeno è sintomo della degenerazione del funzionamento di singoli settori della PA, questione di cui si devono occupare politica, amministrazione, altri soggetti con proprie responsabilità, in modo da dare risposte armoniose su più fronti, “che a volte possono persino essere diverse, ma che insieme formulano “una risposta globale complessa” come la realtà che si analizza.

Un altro profilo di novità rispetto al sistema giuridico e soprattutto al ruolo dell’operatore, come accennato da Sciarra e ripreso da Cassano, è la sua esposizione a sistemi complessi ed eterogenei di norme. “Nell’attività quotidiana, il magistrato deve tener presente non solo il quadro di riferimento nazionale, ma il complesso dei principi enunciati dalla Corte Cotituzionale, i principi che si possono desumere dalle elaborazioni gurisprudenziali di altre giurisdizioni, e deve aver riguardo alle fonti sovranazionali, ai principi enunciati dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Corte di Gisutizia”.

Insomma, la realtà è complessa e soprattutto in continuo divenire; “questo – conclude Cassano – ci deve dare la consapevolezza di non aver mai acquisito una conoscenza approfondita, che dobbiamo continuamente approfondire i nostri studi e le nostre ricerche”. Un approfondire per imparare che, secondo Cassano, non può prescindere dal confronto con l’altro.

“La vera essenza dell’attività del magistrato ma anche di qualsiasi professionista è l’attitudine all’ascolto, al rispetto, al dialogo con l’altro”, fonte necessaria per l’evoluzione della materia giuridica (e non solo). “Condivido la sollecitazione di Silvana Sciarra: costruire una società in cui non dobbiamo urlare e soprattutto, un ruolo della donna che anche nell’esercizio della professione di magistrato, deve avere il coraggio di essere se stessa. Il pericolo mortale che ci può essere nell’esercizio di una professione che è tradizionalmente di appannaggio maschile, è quella di volere malamente scimmiottare gli atteggiamenti degli uomini. Invece il ruolo della donna, in qualunque professione, maggiormente in queste, è soprattutto quello di essere se stessa e portare i propri valori. E fra questi, l’equilibrio, la pacatezza, la sensibilità. Il magistrato deve avere la conoscenza dell’orizzonte normativo, ma la legge vive nella concretezza del caso reale. Il grande sforzo che si richiede ai giudici è sempre quello di saper ricostruire e capire la complessa realtà umana con cui viene in contatto”.

Foto: da sinistra Silvana Sciarra e Margherita Cassano

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