L’antico vizietto dell’omologazione

C’è un eterno vizio di forma nei rapporti di questa nostra realtà che sgomita per uscire dalla crisi rischiando però l’effetto affogamento come quando ci si dimena troppo e troppo a vuoto una volta sprofondati in palude. Si chiama omologazione. Le relazioni tra politica ed economia, tra poteri e cittadini, tra cultura e istituzioni sono da troppo tempo caratterizzate da stagioni sì combattute ma senza dialogo. Le parti che si sono confrontate, stante la pluridecennale supremazia della sinistra, non hanno mai gareggiato in campo aperto o alla luce del sole. Tutto si è sempre risolto nel segreto delle stanze dei bottoni o semplicemente attorno a un tavolo con l’emanazione delle ben note conventiones  ad excludendum. Bolle mai ufficiali ma dagli effetti spesso devastanti sulle persone. E i luoghi di riferimento.

Le generazioni che si sono succedute e che si affacciano ora in tempi di grandi trasformazioni e ricollocazioni,  hanno sofferto di questo; di classi dirigenti e gruppi di potere che hanno insegnato atteggiamenti settari e meccanismi automatici di partecipazione mancata in caso di dissidenza anche minima. La tarpatura sistematica delle azioni di critica interna, a tutti i livelli, ha prodotto delusioni, allontanamenti, mancato rinnovamento verso l’alto e mancata promozione delle intellighenzie più meritevoli. Spesso quindi dei cervelli più pronti a recepire le novità. Che si sono sparpagliati nella società civile, ma quella più marginale. Il progressivo appiattimento verso il basso, anche nell’un tempo felice oasi reggioemiliana, è sotto gli occhi di tutti.

C’è chi, giustamente, oggi critica a tutto tondo, nella sua essenza, qualsiasi manifestazione pubblica. Alludendo alla soavità superiore della meditazione zen che ti permetterebbe di elevare il corpo oltre la materia. Ed osservare da lassù, spersi nello spazio, l’inutile e grottesco brulicare delle formichine affannate. Ieri però, di quel concitato brulicare era attore e per certi versi burattinaio. Ma gli stava bene. Anzi benissimo. Fino a quando quei meccanismi di cui sopra non ti coinvolgono personalmente, sei più propenso a flirtare col sistema che a prenderne le distanze.

Il cuore della paralisi cittadina non è però nel tentennamento wi-fi; è nella degenerazione di un sistema che per molto tempo è stato un modello se non di civiltà, almeno di organizzazione socialmente attiva e partecipata. La tecnologia è lo strumento per riannodare il filo del discorso nel recupero dei valori di centrosinistra. Chi fa un uso anche minimo dei social network (e chi scrive ha iniziato da poco e sotto pressioni amicali e professionali), non può non notarvi quegli stessi micro meccanismi sopra esposti, che tradiscono orizzonti decisamente asfittici. Conventicole che non si parlano ma tacciono le une delle altre. Per poi riversare demenziali fiumi “mipiacizzanti” per le vaccate più bieche. Questo web-magazine sarà anche un po’ cazzone e senza troppi punti di riferimento ma vivaddio non vuole vivere di quelle logiche. E’ nato per cercare un confronto. E chi ci sta, anche per mandarci a quel paese, è il benvenuto.

 

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