Monti Phyton day: la gente urla, le istituzioni applaudono

Il giorno di Monti: 20 minuti di ritardo e discorsone al Valli in cui promette riforme e lotta all’evasione. Ma, tra peana e sfottò, la città era assente

Il più gnorri di tutti è l’ex premier Romano Prodi che, prima dell’intervento clou di Monti al Valli l’ha stretto in un abbraccio fatale, lo stesso già prennunciato in mattinata dalla Stampa. Il Romano da Scandiano, già presidente europeo, ha dichiarato di non essersi nemmeno accorto delle urla di protesta. Beato lui che vola alto, non si cura di loro e guarda e passa.  In realtà la tappa reggiana dell’attuale premier, la prima da Presidente in una città italiana, è stata scandita da manifestazioni indignate trasversali come non se ne vedevano da tempo, da queste parti almeno. E il bilancio finale di questa giornata storica (nel senso che ricorreva il 215esimo anniversario della nascita della nostra bandiera) ha restituito l’immagine più reale del Paese. Sul baratro economico ma anche sociale. Letteralmente diviso in due: la gente in piazza arrabbiata ai massimi, anche questi storici da una parte e le istituzioni impettite e tricolorate a spellarsi le mani nell’applauso un po’ pelosetto dall’altra.

Perché “pelosetto”? Anche e sopprattutto quando super Mario ha fatto riferimento alla lotta all’evasione fiscale, ai tagli ai privilegi ed alla farraginosità delle pubbliche amministrazioni, di ogni ordine e grado. Il Valli è venuto giù dalla contentezza generale; un atto di catarsi collettivo come quando a Hollywood si premiano i film sulle disabilità per lavarsi la coscienza un altro anno ancora senza poi far nulla in concreto per limare le differenze. Ecco perché “pelosetto”. Tra gli stessi “scrosciatori” infatti potrebbe annidarsi un nutrito drappello di strenui oppositori di qualsiasi riforma.  Insomma Mario era atteso al varco di queste dichiarazioni (per lenire moralmemente le urla della piazza) e, almeno verbalmente, ha accontentato le attese. Giornata metastorica avrebbe dovuto essere e tale è stata.

L’anniversario della Cispadana doveva essere un enorme richiamo alla responsabilità generale, un pomposo invito alla rassegnata consegna di un popolo intero alle spietate calcolatrici di gabellieri, esattori e privilegerie varie per evitare disastri anche maggiori e compagnia default. Prima le tasse (e quelle ci sono), poi le riforme (e quelle sono per ora parole, nel vento…). Mario tutto d’un pezzo ha fatto attendere tutti e tutto una 20ina di extracanonici minuti poi, sulle notte dell’inno italico, ha attraversato la piazza concedendosi più d’un fuori programma e accumulando ritardo. Incontrando sindaco, Bersani e altri nei corridoi pre-ufficiali e dando il senso di un passaggio di consegne, questo politico, ad un futuro governo di centro-sinistra. Freddo e determinato, come si conviene ad un tecnico di Bruxelles, Monti ha sorvolato la città coprendo la piccola distanza tra il municipio e il teatro Valli in macchina. Sotto un imponente cordone di sicurezza. E, sordo alle contestazioni di sorta, ha tirato dritto senza cedere alle emozioni.

Già; Mario non è micca la Fornero, la ministra che piagnucola in diretta tv mentre annuncia il vampirismo sistematico sulle pensioni altrui. La “salva Italia” è necessaria; lo si fa per il bene nostro. Per amore del Paese. Un tempo le ragazze, la prima notte di nozze, indossavano una candida veste con su scritto “non lo fo’ per piacer mio ma per dar dei figli a Dio”; parafrasando la virginale circostanza, Mario ed il suo staff “non lo fanno per piacer loro ma per dare futuro ai figli nostri”. A show terminato, il Capo del Governo lascia il Valli e Reggio su macchinoii blu involandosi verso altre mirabolanti imprese. Lasciando a gola secca i leghisti (che hanno gridato “buffoni” ai sindaci reggiani facendoli anche incacchiare), a braccia conserte la Casta degli indignati, neo gruppo reggiano anti-Parlamento e a braccia fiacche quelli di Rifondazione. Che stavano ancora lì a sventolare vessilli col Che (Guevara). Storicamente molto meno antichi del Tricolore. E non molti reggiani con le bandierine bianco-rosso-verdi, gli unici ad accontentarsi della circostanza retorica. Il grosso della città infatti era negli uffici comunali a protestare per le bollette sui passi carrai. O, peggio ancora, a caccia dell’ultimo saldo di stagione

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