Un intervento diretto, semplice e chiaro, quello compiuto nel corso del 33° Vertice Antimafia organizzato dalla Fondazione Caponnetto, che è stato offerto alla riflessione del pubblico dal magistrato Alessandra Cerreti, titolare di importanti inchieste antimafia ancora in corso in territorio lombardo.
Partendo dai dati, dice la Pm, è assolutamente incontrovertibile che le mafie, fuori dai loro territori d’origine, operino in maniera diversa da come operano all’interno delle aree territoriali di cui detengono il controllo. “Le caratteristiche sono diverse, dal momento che le mafie nei loro territori sono padrone o quasi, poiché hanno un controllo del territorio in relazione alla politica ,diversa dagli altri territori dove si sono, poi, storicamente insediate”.
Altro dato incontrovertibile, è il fatto che “nei territori “altri”, devono fare i conti con diversità strutturali, politiche, istituzionali, “direi anche con la diversa sensibilità della collettività, ma soprattutto con le altre presenze mafiose sulle stesse aree”.
Oltre a quest’ultimo dato senz’altro assodato, possiamo dare per pacifici anche alcuni dati giurisdizionali in sentenze definitive: “Mi riferisco – dice Cerreti – a Milano, un territorio in cui lavoro e che conosco bene. A Milano abbiamo sentenze, dalle operazioni Wall Street e Countdown, processi che risalgono agli anni ’90, in cui si legge come le mafie tradizionali (mi riferisco a cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra, ma all’epoca anche la sacra corona unita ad ora abbastanza sparita dai radar milanesi per lo strapotere della ‘ndrangheta che si è imposta allo Stato dal punto di vista militare ed economico) sul territorio milanese avessero stabilito un’alleanza, che i giudici chiamano consorzio. Consorzio all’epoca finalizzato allo spaccio delle sostanze stupefacenti”. Si sta parlando della fine anni ’90, e i dati si trovano in sentenze definitive.
Esiste poi la sentenza svizzera degli anni 2000, come ricorda la Pm, in cui “si dà conto di un’alleanza stabile fra cosa nostra e camorra. Si tratta di dati storici giurisdizionali”. Accanto a questo, è necessario tenere conto dell’evoluzione del fenomeno. “Si deve partire da un dato fondamentale – spiega Cerreti – la mafia non è un fenomeno statico, stabile; non è un repertorio di museo che noi ci adoperiamo per studiare o un’autopsia su cadavere. E’ una situazione in continua evoluzione. Perciò, si adegua alle modifiche della società, si adegua al territorio, appunto, si evolve. E al Nord, posso dire da Roma in su, assistiamo ormai da decenni a un fenomeno di mimetizzazione delle mafie”.
Il concetto di mimetizzazione non va confuso con quello di colonizzazione. “Si tratta di due concetti differenti – sottolinea Cerreti – a me non piace parlare di colonizzazione del Nord, in quanto si presuppone che una sorta di cancro infetti un territorio sano. Dalle nostre indagini non emerge questo. Il territorio cosiddetto sano ha spalancato le porte e le braccia alle associazioni mafiose e ci fa affari, vanno a braccetto, spesso è l’imprenditore a chiedere aiuto alla mafia, spesso è il politico che chiede i voti alla mafia”.
Si sottovaluta il fatto che le mafie, attraverso il sistema economico che infiltrano ripetutamente e di cui abusano, alterano il libero mercato. “Il libero mercato diventa una chimera – ribadisce Cerreti- perché l’imprenditore e l’impresa che si agevola dell’associazione mafiosa e a questa spalanca la porta, sbaraglia la concorrenza. Innanzitutto, perché può contare, attraverso strumenti corruttivi o minacciosi, sul fatto di accaparrarsi appalti pubblici; poi, ovviamente, raramente rispetta le leggi dello stato circa la tutela dei lavoratori, i contratti collettivi, gli impegni previdenziali, tagliando enormemente i costi; infine, fanno centinaia, migliaia di fatture per operazioni inesistenti, creano i falsi crediti d’imposta IVA milionari, che cedono ad imprenditori teste di paglia. Tutta questa capacità articolata di inserirsi nel mercato, sbaraglia gli imprenditori onesti, li taglia fuori”.
Per questo, il problema mafia non è demandabile solo ai “tecnici”, ma è un problema collettivo, che sta sulla testa di tutti, è un problema dell’Italia in particolare (ma non solo), “proprio perché in Italia la libera concorrenza è ormai una chimera”.
Non solo in Italia, si diceva. “Grava su noi, operatori italiani, il dovere di aiutare i nostri omologhi stranieri a comprendere il fenomeno – dice la Pm – all’estero, sono quasi all’anno zero. Di questo dovere di aiutare la comprensione all’estero ci dobbiamo fare carico, perché siamo noi, per la nostra storia, ad avere il compito di istruire i nostri colleghi all’estero, oltre all’obbligo di condividere l’esito delle rispettive analisi”.
In questo contesto, da un lato partendo dai dati certi e dall’altro considerando la continua evoluzione delle mafie, non dobbiamo avere paura ad abbracciare tesi investigative nuove. “Capisco che è molto più rassicurante stare ancorati a ciò che già si conosce “continua Cerreti. Se non ci sono problemi ormai a ottenere condanne quando la mafia si manifesta in maniera e con modalità tradizionali, non si può trascurare che “quella mafia, che rimane sicuramente pericolosa e a cui non si deve lasciare campo, si accosta in modo solo apparentemente contrastante, con la mafia che investe in bitcoin, che mette sul tavolo milioni di euro per avere software all’avanguardia, e che in realtà le due facce vanno di pari passo”. La stessa mafia delle sofisticate operazioni di alta finanza “è la mafia della simbologia, dei santini. E’ sempre la stessa”.
Ma la forza della mafia sta proprio in questo: “Essere ancorati alla tradizione ma al contempo aperti all’innovazione. Dobbiamo essere, da questo punto di vista, aperti e disponibili anche noi, addirittura dovremmo anticiparli; se non riusciamo ad anticiparli, i mafiosi, li dovremmo quantomeno seguire. Quindi, nessuno abbia paura di abbracciare tesi innovative, perché noi dobbiamo seguirli di pari passo”.
Infine, il contrasto alle mafie è poliedrico e va affrontato tutti insieme, ognuno con le sue competenze. Ad esempio, per quanto riguarda la prevenzione, il protocollo Liberi di scegliere, che ha lo scopo di “Assicurare una concreta alternativa di vita ai soggetti minorenni provenienti da famiglie inserite in contesti di criminalità organizzata o che siano vittime della violenza mafiosa e ai familiari che si dissociano dalle logiche criminali”, è stato sottoscritto il 5 novembre 2019, da vari soggetti, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Lorenzo Fioramonti, con il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede; la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti; Federico Cafiero De Raho, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo; Giovanni Bombardieri, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria; Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria; Giuseppina Latella, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria e Luigi Ciotti, Presidente di Libera. Un ventaglio di soggetti uniti dalla finalità di “offrire un sostegno educativo, formativo, psicologico, logistico, economico e lavorativo ai minori di età e alle loro famiglie nei contesti della criminalità organizzata……”.
“Con questo protocollo oggi la possibilità di uscire dagli ingranaggi della mafia c’è”, dice Cerreti. Piccola cosa forse, ma “rappresenta una mano tesa a chi vuole uscire da quel mondo, senza spezzare il vincolo di sangue (per la ‘ndrangheta spesso coincide col vincolo mafioso) ed è un’opportunità che si offre anche a minori cui viene data l’opportunità di crescere con riferimenti culturali adeguati, che possono consentire loro, una volta raggiunto il diciottesimo anno d’età, di scegliere se ritornare nella famiglia d’origine oppure proseguire per la strada intrapresa”.
nella foto Alessandra Cerreti