Lo stupro di Palermo: nessuna attenuante per il deserto educativo delle famiglie

Intervista a Roberta Bruzzone criminologa e psicologa forense

Un’estate drammatica per le donne italiane: a Bolzano una ragazza di 21 uccisa a coltellate, a Piano di Sorrento il corpo di una donna trovato nel bagagliaio e a Palermo uno stupro di gruppo avvenuto il 7 luglio scorso in un cantiere abbandonato sulla costa del capoluogo siciliano.

Per questa  raccapricciante violenza perpetrata ai danni di una giovane palermitana appena diciannovenne sono finiti in manette sette ragazzi  con l’accusa di abusi sessuali di gruppo. Dalle prime testimonianze la vittima quella sera aveva  bevuto, ma suo malgrado,si sarebbe ritrovata in un luogo appartato vicino al mare e violentata  a turno dagli indagati. Abbandonata in strada in stato confusionale e sofferente, soccorsa da  dei passanti che l’avrebbero accompagnata in ospedale, ha  denunciato l’accaduto, facendo i nomi dei tre giovani che conosceva.

Scattate le indagini ei individuati i presunti responsabili dell’aggressione, i carabinieri hanno arrestato tre degli indagati  il 3 agosto scorso, successivamente gli altri  4, tra cui un minorenne all’epoca dei fatti.  Tutti i ragazzi,di età compresa tra i 18 e i 22 anni, dovranno adesso chiarire la loro posizione ai magistrati anche in relazione ad un video con le mostruose scene della violenza consumatasi quella sera di luglio ai danni della ragazza, filmato da uno dei componenti del gruppo. Un “video dell’orrore” che. stando a quanto riportato sui social, sarebbe diventato merce di scambio sul web, ma su questo stanno già indagando gli inquirenti. 

Del tragico fatto accaduto a Palermo e delle sue implicazioni ne parliamo con Roberta Bruzzone criminologa e psicologa forense. 

Dottoressa Bruzzone che cosa è davvero successo  quella notte tra il 6 e il 7 luglio?

«È scattato il solito copione criminale: alla ragazza hanno fatta ubriacare e fumare marijuana poi l’hanno portata in un luogo appartato vicino al lungomare del Foro Italico di Palermo e l’hanno stuprata a turno mentre lei piangeva e gridava aiuto. Le scene della violenza sono state riprese col cellulare da uno dei ragazzi del branco che conosceva da anni la vittima e che, proprio grazie al loro rapporto, è riuscito a convincerla ad appartarsi con lui e il suo gruppo di amici». 

Dalle carte in mano agli inquirenti quel che emerge è aberrante.

«La lettura delle ordinanze che dispongono la custodia cautelare in carcere per i membri del branco è un viaggio nei più beceri stereotipi di genere, patriarcato tossico nella sua versione più inquietante: “𝗙𝗮𝗹𝗹𝗮 𝘂𝗯𝗿𝗶𝗮𝗰𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗽𝗼𝗶 𝗰𝗶 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗻𝗼𝗶”, “𝗘𝗿𝗮𝘃𝗮𝗺𝗼 𝟭𝟬𝟬 𝗰𝗮𝗻𝗶 𝘀𝗼𝗽𝗿𝗮 𝘂𝗻𝗮 𝗴𝗮𝘁𝘁𝗮, 𝘂𝗻𝗮 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗹’𝗮𝘃𝗲𝘃𝗼 𝘃𝗶𝘀𝘁𝗮 𝘀𝗼𝗹𝗼 𝗻𝗲𝗶 𝘃𝗶𝗱𝗲𝗼 𝗽𝗼𝗿𝗻𝗼”. “𝗗𝗼𝗽𝗼 𝘀𝗶 è 𝘀𝗲𝗻𝘁𝗶𝘁𝗮 𝗽𝘂𝗿𝗲 𝗺𝗮𝗹𝗲, 𝘀𝗶 𝘁𝗼𝗰𝗰𝗮𝘃𝗮𝗹à 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗼 𝗽𝗶𝗲𝗴𝗮𝘁𝗮 𝗮 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗮: “𝗰𝗵𝗶𝗮𝗺𝗮𝘁𝗲 𝘂𝗻’𝗮𝗺𝗯𝘂𝗹𝗮𝗻𝘇𝗮!”(…) 𝗟’𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗹𝗮𝘀𝗰𝗶𝗮𝘁𝗮 𝗹ì 𝗲 𝘀𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗮𝗻𝗱𝗮𝘁𝗶𝘃𝗶𝗮…”, ” 𝗶 𝗽𝘂𝗴𝗻𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗲 𝗱𝗮𝘃𝗮𝗻𝗼 𝗲 𝗽𝘂𝗿𝗲 𝗴𝗹𝗶 𝘀𝗰𝗵𝗶𝗮𝗳𝗳𝗶…”. Questi sono solo alcuni dei messaggi scambiati in chat dai vari indagati a ridosso del fatto. Una confessione in piena regola che tradisce una mentalità molto diffusa, di chiara matrice patriarcale ben esemplificata dal seguente passaggio, tanto agghiacciante quanto illuminante: “𝗔𝗹𝗹𝗮 𝗳𝗶𝗻𝗲 𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗳𝗮𝘁𝘁𝗼𝗽𝗮𝘀𝘀𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝗰𝗮𝗽𝗿𝗶𝗰𝗰𝗶𝗼”. Non sapendo di essere intercettati, come in un tragico videogioco, subito dopo l’arresto dei primi tre, due degli altri indagati, ridendo e scherzando tra loro, si auguravano addirittura di finire nei telegiornali. Ed eccoli serviti. Poi, davanti al Gip. in occasione degli interrogatori di garanzia, quella arroganza e quella brutalità si sono sgretolate rapidamente in un mare di lacrime e di ammissioni parziali». 

Secondo lei sono lacrime di vero pentimento o cosa? 

«Piangono i membri del branco tutte le lacrime che possiedono, chiedono scusa, gridano che si sono rovinati la vita. Sono sinceramente dispiaciuti, certo, ma solo per se stessi e per il danno che, sempre secondo loro, hanno arrecato alla reputazione delle loro famiglie. Non certo per quella ragazza che hanno spezzato per puro divertimento. Perché lei “se l’è cercata” mentre loro sono stati “incastrati” dal resto del branco. E allora la domanda sorge spontanea: cosa spinge un giovane uomo a stuprare in branco una ragazza indifesa che piange e grida aiuto? Qualcosa scatta nella sua mente o quel gesto è frutto di un’educazione sbagliata? Chi sono i ragazzi che agiscono in branco?». 

È dunque un problema di educazione?

«L’educazione impartita dalla famiglia ha certamente un ruolo rilevante soprattutto sotto il profilo dei valori trasmessi, soprattutto se cresci in una famiglia con una cultura patriarcale maschilista radicatissima e considerata come assolutamente normale e legittima. Le parole del Procuratore del tribunale dei Minorenni, Claudia Caramanna, fotografano esattamente questo scenario: “Queste persone vivono in un ambiente normale, dove non c’è una particolare condizione di degrado. Per essere chiari, i 7 arrestati non sono parenti di delinquenti”. Sono nullafacenti e viziati ma con in tasca l’immancabile ultimo modello del telefonino più costoso e indosso abiti griffati a vestire un io immaturo e altamente distorto. Evidentemente le rispettive famiglie non si pongono il problema di fornire esempi più validi ai loro figli”. 

Dunque sono gli atteggiamenti sbagliati dei genitori a indurre i figli a comportamenti violenti?   

«Si, è proprio così. In una famiglia in cui il marito maltratta la moglie, la svaluta, la umilia, la considera a suo completo servizio è più facile che cresca un futuro stupratore e un futuro maltrattante. Per questo genere di individui la donna è un oggetto sessuale e come tale va trattato, usato, consumato…e gettato dopo l’uso. Ecco, questo è lo scenario educativo che maggiormente agevola la messa in atto di condotte così abominevoli. Genitori inadeguati, troppo accondiscendenti o troppo distratti, incapaci di trasmettere il valore fondamentale del rispetto della vita e della fragilità altrui. Genitori che ora devono guardare in faccia il desolante fallimento del loro progetto educativo. Senza attenuanti né per loro né per i debosciati che hanno cresciuto, almeno si spera». 

In foto Roberta Bruzzone criminologa e psicologa forense. 

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Commenti 1
  1. Non si riesce a realizzare che un individuo violento, non proviene necessariamente da una famiglia violenta, ma anche da genitori che viziano i figli, a cui insegnano che “tutto è dovuto”, sino a che arrivano a prenderselo con la forza.

I commenti sono chiusi.

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