“Giuste o errate che siano le mie opinioni, quel che penso lo dico e quel che dico, quando posso, lo scrivo e ne porto la responsabilità. Non ho una verità privata ed una pubblica. Il senso ultimo del mio lavoro è proprio questo: non volere che gli altri, nessun altro (e tanto meno gli uomini della mia parte), abbiano una doppia verità”. È una riflessione di Franco Fortini, pubblicata nel libro “Un giorno o l’altro” (a cura di Marianna Marrucci e Valentina Tinacci, Quod Libet, 2006) la raccolta di scritti editi e inediti dal 1945 al 1980, a cui lavorò per tanti anni fino alla morte nel 1994. Poeta, critico letterario, traduttore, intellettuale tra i maggiori del Novecento, fu pienamente immerso nel suo tempo, osservatore attento degli eventi, controcorrente sempre. Quelle parole contro la “doppia verità” sono una sorta di timbro sulla sua esistenza all’insegna della libertà, della coerenza. Una vena di non dissimulata utopia lo accompagna negli intensi carteggi con i grandi intellettuali del suo tempo, di cui fu interlocutore per tutta la vita.
A trent’anni dalla sua morte, l’Università di Siena ha ricordato Franco Fortini con l’evento “Fortini 24. Eredità e letture a 30 anni dalla scomparsa”. Perché proprio a Siena Fortini insegnò nella facoltà di Lettere e Filosofia dal 1971 al 1989. A partire dal 1995, a seguito della donazione dei suoi libri – oltre seimila – e dell’archivio alla Biblioteca Umanistica dell’Università di Siena, si costituì il Centro Franco Fortini, oggi diretto da Niccolò Scaffai e coordinato da Luca Lenzini. Il Centro ha organizzato un programma ricco di interventi con due giorni di riflessioni: “Non solo un tributo a Franco Fortini – ha spiegato Niccolò Scaffai – ma anche un’occasione di riflessione sul suo impatto duraturo sulla letteratura e il pensiero critico di oggi”. Durante il convegno è stato presentato il volume di Franco Fortini “Traduzioni disperse e inedite” a cura di Luca Lenzini (Mondadori 2024) e proiettato il documentario “Un giorno dopo l’altro” 16 piccoli film su Fortini insegnante di Lorenzo Pallini: “Il suo modo di insegnare – ricorda Luca Lenzini, che con lui si laureò nel 1978 – era un’immersione totale, un dialogo continuo e costante con gli studenti, che poteva durare ben oltre il termine delle lezioni o concludersi in trattoria. Una disponibilità che non si curava degli orari prestabiliti”.
Fortini fu protagonista di roventi polemiche spesso con toni aspri e controversie ideologiche in un mondo che stava cambiando repentinamente. La guerra fredda, la costante critica allo stalinismo, la rabbia e la delusione per i fatti di Ungheria, un certo conformismo degli intellettuali dell’epoca, furono spesso al centro degli articoli e degli interventi pubblici di Franco Fortini. I suoi interlocutori erano anche gli amici di una vita, pur se spesso in contrasto nelle analisi. Da Vittorio Sereni, a Pier Paolo Pasolini, Elio Vittorini. E ancora Montale, Cases, Pasternak. Italo Calvino definiva Fortini, “il mio implacabile avversario”, per via delle discussioni accese quando insieme partecipavano alle riunioni alla casa editrice Einaudi, e non si trovavano mai d’accordo.
Nato a Firenze nel 1917, Fortini ha vissuto in quella città gli anni giovanili. Dopo essere fuggito in Svizzera dopo l’8 settembre ed essere stato internato in un campo di lavoro, Fortini partecipò alla Resistenza in Valdossola. Finita la guerra divenne redattore del «Politecnico», dal 1948 al 1963 lavora alla Olivetti, per la quale continua a collaborare come copywriter fino agli anni ’60; scrive per riviste e quotidiani, tra cui «Officina», «Quaderni rossi», «il manifesto» e il «Corriere della Sera». Nel 1985 gli è stato conferito il Premio Montale – Guggenheim per la poesia. È morto a Milano nel novembre ’94. La produzione di Fortini comprende la saggistica, la poesia, la narrativa, sceneggiature, traduzioni in versi ed in prosa dal francese e dal tedesco, di autori come Flaubert, Eluard, Doblin, Gide, Brecht, Proust, Goethe, Einstein, Queneau, Kafka.
Grazie alle attività del Centro Franco Fortini, che pubblica la rivista online L’ospite ingrato (https://www.ospiteingrato.unisi.it), la ricerca su questo straordinario intellettuale fuori da ogni binario non è mai cessata. Proprio in questi mesi è in corso un’emozionante esplorazione all’interno del “Macintosh” di Fortini: “Emma Carbè sta coordinando il gruppo di studio – dice Luca Lenzini – e si prospettano risultati di grande interesse. Fortini era solito inserire nel suo Mac testi che poi correggeva e riscriveva, poesie soprattutto, e alcune non sono mai state pubblicate finora”. Lenzini è stato tra gli allievi più vicini a Franco Fortini, anche dopo la laurea, ed era direttore della Biblioteca della facoltà di Lettere e Filosofia al momento della donazione del materiale del suo insegnante: “Fu particolarmente emozionante prendere materialmente in carico quei documenti – ricorda Lenzini – Molti erano i carteggi con grandi personalità del suo tempo. Ma senz’altro il più straordinario è quello che Fortini tenne con Vittorio Sereni dall’immediato dopoguerra fino agli anni Ottanta: 142 lettere appena pubblicate dalla casa editrice Quodlibet nel volume curato da Luca Daino. Il loro fu un rapporto durato quasi quarant’anni – sottolinea Lenzini – tra alti e bassi, entusiasmi e mugugni, silenzi, lettere torrenziali e epigrammi”.
Luca Lenzini ha curato molte pubblicazioni, tra cui “Un’antica promessa – Studi su Fortini” (Quodlibet 2013) e “Verso la trasparenza – Studi su Sereni” (Quodlibet 2019”. Di entrambi ha dunque una profonda conoscenza. Per inquadrare la dialettica tra i due, Lenzini cita una poesia che Fortini dedicò a Sereni nel volume “Questo muro” (1973) che s’intitola A Vittorio Sereni: “E’ una specie di sigillo a quella bellissima e sofferta amicizia, ma anche una sintesi che parlava delle rispettive opere”. Questa la breve ma intensa poesia:
Come ci siamo allontanati. / Che cosa tetra e bella. / Una volta mi dicesti che ero un destino. / Ma siamo due destini. / Uno condanna l’altro. / Uno giustifica l’altro. / Ma chi sarà a condannare o a giustificare noi due?
Curatore del volume della collana Meridiani “Franco Fortini, saggi ed epigrammi“, (Mondadori, 2003), autore della voce “Fortini” nell’Enciclopedia Calviniana” e di “Note di servizio su Franco Fortini” (Pacini, 2024), sottoponiamo a Luca Lenzini alcune domande, per approfondire la figura di Franco Fortini.
Perché si dice di Fortini che era un “intellettuale militante”?
“Militante nelle battaglie culturali del suo tempo, ma la sua visione delle cose del mondo non trovò mai un corrispettivo in un partito a cui aderire organicamente. Quando era in esilio in Svizzera fu Ignazio Silone ad iscriverlo al Partito Socialista e diventò anche collaboratore dell’Avanti. Nel 1963 scrisse un saggio critico su Quaderni Rossi dal titolo ‘Il socialismo non è inevitabile’. Può essere definito un intellettuale marxista, ferocemente antistalinista – sottolinea Lenzini – che aspirava ad una radicale idea di uguaglianza. Ma quando scrisse la voce “comunismo”, nel 1989, l’Unità pubblicò il testo relegandolo nell’inserto satirico ‘Cuore’. I fatti di Ungheria furono per lui una cocente delusione e anche una sorta di cesura con la politica dei partiti”.
Circolano molte foto del viaggio in Cina di Fortini, che furono anche oggetto di una mostra. Scatti bellissimi. Perché quell’esperienza fu importante per lui?
“Quella visita risale al 1955 e Fortini faceva parte di una delegazione ufficiale con altri intellettuali italiani. Scrisse che per lui la Cina fu come scoprire l’altra faccia della luna. Ma anche un tipo di socialismo diverso da quello prettamente industrialistico. In Cina, invece, si basavano su ciò che erano le loro caratteristiche di un paese contadino. Irene Mordiglia ha scritto su L’ospite ingrato della corrispondenza tra Franco Fortini e la sinologa Edoarda Masi, che nel 1960 scrive a Fortini: «sono un’amica di Maria Regis e Renata Pisu e con loro una dei pochissimi italiani che in questi ultimi anni hanno abitato in Cina per un periodo piuttosto lungo. E ho raccontato qualche cosa della nostra vita laggiù». Fortini, consulente della casa editrice Einaudi, legge il resoconto della Masi, lo apprezza e vuole pubblicarlo: Lei ha scritto un bel libro – le risponde – una cosa importante, e ha delle vere qualità da scrittrice […]. Mi pare evidente che un libro come il suo avrebbe la forza di una bomba. Va dunque presentato con ogni cautela, perché esploda nel luogo e nel tempo giusto”.
Particolarmente significativo fu per Fortini l’esperienza in Olivetti. Quale era il suo ruolo?
“Fu copywriter molto fecondo ed a lui si deve il battesimo della macchina da scrivere Lettera 22 e Lexicon. Scrisse anche i soggetti di due cortometraggi, “Incontro con Olivetti” (1950) e “Le regole del gioco” (1968) in cui è interessante la diversa riflessione del rapporto tra uomo e macchina nel quadro della modernizzazione capitalistica, a distanza di quasi venti anni dalle due stesure. Rispetto alla duttilità di Fortini, va ricordato che scrisse anche molte canzoni e di lui si conservano anche 250 disegni”.
Lenzini, lei ha curato anche il volume “Tutte le poesie di Fortini” edito da Mondadori nel 2014 ed è autore di “Fortini, scrivere e leggere poesia” per Quodlibet. All’evento organizzato dall’Università di Siena proprio le poesie di Fortini sono state al centro di appassionate letture e analisi con gli interventi, tra gli altri, di Alessandro Fo, Luigi Prete, Claudia Crocco, Giulia Martini. Da parte di Fortini il suo essere poeta era prevalente rispetto agli altri aspetti della sua produzione?
“Fortini teneva molto ad essere soprattutto poeta, anche se l’attenzione su Fortini poeta è cresciuta solo dopo gli anni Ottanta. Prima prevaleva il Fortini saggista, polemista, intellettuale attento osservatore e commentatore della sua epoca”.
Il rapporto con la moglie Ruth Leiser fu anche di scambio fecondo nella produzione letteraria. È così?
“Durante l’esilio in Svizzera, dopo l’8 settembre 1943, accade un fatto decisivo per la vita di Fortini: a Zurigo conosce la moglie Ruth Leiser. A lei è rimasto sempre legatissimo. Vivevano a Milano in via Legnano, al numero civico 28, dove oggi una targa li ricorda. Ruth ha collaborato al lavoro letterario del marito soprattutto per le traduzioni dal tedesco. Ma è stata fondamentale anche per la raccolta delle opere e di documenti inediti del marito, che a lei ha dedicato molte poesie e tanti disegni. In uno suo scritto, Lettera del 24 marzo 1992, Fortini auspica che in futuro qualcuno scriva una storia di sua moglie, anche utilizzando le 50 lettere che lui le scrisse da ogni parte del mondo. Fortini stesso in quel testo ci tiene a respingere “la figurina della donna devota e in penombra, che copia i manoscritti del coniuge barbuto e geniale”. Anzi sottolineava la piena condivisione intellettuale con lei, scrivendo: “Non c’è stato passaggio dell’accordo o disaccordo col mondo che non sia stato vissuto da tutti e due, tutto è stato condiviso”
Lenzini, i venti anni di insegnamento a Siena di Fortini segnarono un tempo straordinario per quella facoltà di Lettere…
“Sì, in quegli anni la facoltà era una fucina di idee e di confronti davvero fuori dal comune. Fra le aule e i corridoi si incontravano personalità del calibro di Romano Luperini, Mario Tronti, Gianni Scalia, Giuliano Briganti, Giovanni Previtali. Ma Fortini seppe intessere relazioni importanti anche in città, a cominciare da Carlo Fini, che curò il libro Per Fortini nel 1980. La casa di Fini, che fu anche assessore alla cultura, e della moglie, Maria Luisa Meoni, fu frequentata da Fortini, che all’amico Carlo Fini scrisse anche numerose lettere”.
Negli anni senesi Franco Fortini viveva in una residenza d’epoca, nella campagna di Certosa, da dove la città appariva in tutta la sua bellezza. Di Siena, Fortini scrisse così nel 1982, nel volume “Insistenze”: “Dalla mia finestra senese vedo un orto fratino ben zappettato, un muretto di cotto che pare cinese, colombe e tortore tra nespolo, pesco e limone. Poi un largo pendio di vigna netta e di ulivi, sul crinale della poggiata le case in fila, e più oltre lo stendardo delle mura, da Porta Romana a Porta Pispini. Sopra le mura, cupole d’alberi e tetti, l’abside e il campanile dei Servi, le bertesche della Torre del Mangia, la vetta di marmo del campanile del Duomo”.
Scrisse Franco Fortini, come per una puntualizzazione sulla sua esistenza: “Non è vero che non sono stato felice. La felicità è stata nei momenti di novità, quando la promessa di mutamento diventava decisione”.
La foto è dalla rivista numero 9 “L’ospite ingrato”