
Federico Parmeggiani
Una cosa risaputa dai frequentatori di appuntamenti economici è che le occasioni ufficiali in cui istituzioni pubbliche o private presentano le proprie relazioni o i propri studi in merito allo stato di salute del nostro paese non spiccano mai per la vitalità e la vivacità.
Sarà forse perché i problemi odierni dell’economia italiana restano in gran parte quelli dei decenni passati, ma è difficile essere rapiti dalle cifre che sono sciorinate e dai grafici (quasi sempre dal contenuto poco rassicurante) che sono illustrati, perché si finisce per denunciare in gran parte problemi già tristemente noti e percepibili.
Diverso è il caso in cui gli studi compiuti da un’autorevole istituzione italiana (forse la più autorevole), ossia la Banca d’Italia, fotografano un preoccupante declino del quale si aveva un vago sentore ma ancora non una certezza asseverata da dati specifici.
Questo è il caso della presentazione della relazione della Banca d’Italia relativa all’economia della regione Emilia Romagna, tenutasi giovedì 16 a Reggio Emilia, nell’aula magna dell’Università.
All’evento hanno partecipato, oltre alle consuete autorità locali, alcuni accademici dell’università ospitante, ossia il prorettore Luigi Grasselli nonché la prof. Paola Vezzani, ordinario di economia degli intermediari finanziari. Ma gli ospiti più attesi erano i rappresentanti della Banca d’Italia, costituiti da Chiara Bentivogli, della divisione analisi economica dell’ufficio di Bologna e da Salvatore Rossi, direttore generale dell’area ricerche della prestigiosa istituzione di via Nazionale.
Il quadro delineato non appare per nulla confortante: l’Emilia resta una delle regioni maggiormente ricche e produttive d’Europa, ma ha evidentemente sofferto la crisi più di altre regioni italiane e le ripercussioni di questa sofferenza sono evidenti sia sugli investimenti effettuati dalle imprese che sul crescente tasso di disoccupazione.
Per la precisione, nonostante gli ordini, sospinti dalle esportazioni verso l’estero, stiano riprendendo quota (+ 16% circa), l’occupazione nel 2010 ha registrato un calo più accentuato rispetto alla media italiana (- 2,1% contro un – 1,6%).
Questo preoccupante trend riguarda in massima parte proprio i giovani, ossia la fascia di età che va dai 15 ai 34 anni.
Un altro dato preoccupante concerne il credito bancario, in quanto negli anni scorsi si era registrata un’inversione di quella che era considerata una nostra caratteristica virtuosa, ossia la propensione al risparmio. Gli italiani in seguito alla crisi hanno iniziato ad integrare la propria minore disponibilità di reddito erodendo i propri risparmi, e gli emiliani in questo senso non fanno eccezione. Se infatti in questo ultimo anno i depositi bancari delle imprese sono cresciuti del 5,5%, la raccolta bancaria complessiva (comprendente quindi anche le famiglie), ha registrato una flessione pari al 1.9%, rimanendo a livelli molto più bassi del periodo precedente alla crisi.
Quali soluzioni vanno quindi prese in considerazione da parte della classe dirigente politica e imprenditoriale locale?
Secondo Salvatore Rossi, il quale nel 2009 ha scritto un eccellente libro sulle debolezze dell’economia italiana (Controtempo – l’Italia nella crisi mondiale, ed. Laterza, 2009, pp. 64-65), è necessario in primo luogo porre rimedio a quei problemi strutturali del nostro sistema produttivo, che la crisi finanziaria che ci ha investito ha reso più gravi.
In primo luogo è necessario, come ripetuto innumerevoli volte sia in sede confindustriale che accademica, che le imprese italiane crescano di dimensione, procedendo a fusioni o a integrazioni aziendali di altro tipo, in modo da potere aggredire con più forza i mercati emergenti e rilanciare finalmente la crescita italiana, da troppo tempo bloccata.
In secondo luogo è opportuno che politica e imprese si facciano carico, tramite politiche e incentivi mirati, della crescente disoccupazione giovanile, che sta raggiungendo livelli sempre più allarmanti e che, qualora continuasse questo trend, si rivelerebbe una grave fonte di instabilità sociale.
Tracciando quindi un bilancio sulla situazione che interessa la nostra regione, va precisato come il momento sia estremamente delicato, in quanto la crisi che ha destabilizzato le nostre imprese e ci ha danneggiato più duramente rispetto ad altre regioni a vocazione meno manifatturiera ed esportatrice, mostra ancora i suoi strascichi più gravi, ossia quelli che incidono direttamente sull’armonia sociale del nostro territorio.
Appare quindi indifferibile una presa di coscienza collettiva e una strategia che accomuni imprese, politica locale e sindacati, volta al rilancio della nostra economia e alla difesa della nostra occupazione.
Un simile patto, certamente non facile da realizzare, appare più che mai l’unico vero rimedio in grado di scongiurare tempi ben peggiori.