Del Bue: storia di un socialista definitivo

Andrea Canova intervista Mauro Del Bue

Interviste che intendono far conoscere qualcuno a qualcun altro, come se due sconosciuti si incontrassero per la prima volta.
L’intervistato ha la più assoluta libertà di dire o non dire ciò che vuole di se stesso.
In queste interviste non si cerca il clamore, il gossip, lo shock.
Si tratta di interviste scritte dall’intervistato, dunque non orali, per ovviare al brutto costume italiano di “modificare” il detto dell’intervistato, a volte con scopi non ben chiari, o fin troppo.
Rispetto alle specificità professionali dell’intervistato, le novità professionali non saranno dimenticate.

Al Marabù con Corrado Costa

Biografia
Mauro Del Bue, il 23 aprile del 1951, nato poco dopo il Festival di Sanremo vinto da “Grazie dei fior”, mentre nella Reggiana giocava il grande Amleto Frignani e nel Psi Pietro Nenni era segretario e leader incontrastato, ha avuto in eredità dal padre Stefano proprio quelle tre passioni che ha coltivato fin da ragazzino: il partito, la partita e lo spartito. Segretario della Fgsi di Reggio Emilia dal 1973 e del Psi provinciale dal 1977, entra per la prima volta in Consiglio comunale nel 1975, a soli 24 anni ed è subito capogruppo. Nel 1978 é eletto a soli 26 anni (é il più giovane) nel Comitato centrale del suo partito. Nel 1980 si laurea all’Università di Bologna in Lettere e Filosofia col massimo dei voti. Nel febbraio del 1987 é vice sindaco di Reggio con gli assessorati alla Cultura e allo Sport. Nel giugno dello stesso anno é eletto deputato. Dal 1987 al 1990 é presidente de I teatri di Reggio Emilia. Viene rieletto alla Camera, con quasi 15mila preferenze, nel 1992, come primo della lista del Psi. Tra il 1994 e il 1997 scrive e presenta trasmissioni di musica lirica e di storia locale nelle Tv dell’Emilia. Scrive il testo di numerosi documentari, dei quali uno per la Presidenza del consiglio sulla storia d’Italia. Nel 1998 aderisce allo Sdi e nel 2001 al Nuovo Psi per il quale entra come sottosegretario alle Infrastrutture nel Berlusconi due nel 2005. Nel 2006 ritorna alla Camera, eletto in Piemonte da una lista Partito socialista-Democrazia cristiana. Nel 2007 è eletto segretario nazionale del Nuovo Psi. Nel 2008 rifiuta la candidatura per il Pdl e aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 è assessore allo Sport e poi all’Ambiente del Comune di Reggio e dal 2013 é direttore dell’Avanti online. E l’anno dopo anche di un periodico sportivo dedicato alla sua Reggiana. Scrive 20 libri, di storia politica (uno di filosofia) e di storia sportiva. E registra due cassette di canzoni scritte da lui (è iscritto alla Siae) e dall’amico jazzista Vanni Catellani. A proposito delle tre passioni…

Con Pertini al Quirinale

– Chi è Mauro Del Bue?
Un tipo timido ma estroverso. Che ha forse saputo bene utilizzare una certa quantità di ansia per combattere sempre per le sue idee. Uno che ha concepito sempre la politica come una lotta e che si è sentito bene solo in trincea. Quel che ho fatto é nella biografia. Un cruccio solo. Che mio padre sia morto tre mesi prima della mia prima elezione alla Camera.

– Che tipo di formazione hai? Studi, letture, mentori politici e culturali.
Formazione decisamente umanistica. Ho frequentato il Liceo Classico con Ermanno Dossetti preside e Giancarla Codrignani professoressa di Greco e Latino. Con loro ho fatto il ‘68.  Lì ho scoperto la politica (si diceva “Tutto é politica”). Lì ho imparato a parlare in pubblico e a vincere le mie paure. Momento decisivo per la mia formazione il suicidio di Tenco. Era il gennaio del 1967 e avevo 15 anni. Imparai il valore dell’esistenzialismo. Leggevo Cesare Pavese e Les Fleurs du mal di Bodelaire, mi avvicinai a tutta la letteratura e la musica francese. Adoravo Brassens (la sua traduzione in milanese di Nanni Svampa è geniale) e Brel. Ho scoperto in anticipo De Andrè quando nei cassetti di casa mia rintracciai, nel 1963 il 45 giri de “Il testamento” con “La ballata del Michè” nella facciata posteriore. Ma anche Guccini con “Dio è morto” e “Auschwitz”. Imparai a suonare la chitarra (avevo frequentato da bambino il Liceo musicale Achille Peri e tra i miei insegnanti c’era Gianfranco Masini) e fondai un trio folk dal nome insolito “Gualtiero senza denaro”, sullo stile del condottiero nella crociata dei pezzenti. Senza successo. Più tardi, dopo la fine del Psi, ho ripreso a comporre e col jazzista Vanni Catellani abbiamo registrato un paio di cassette, la seconda sulla storia dei grandi ciclisti. Mentori politici? Innanzitutto Pietro Nenni. Lo incontrai una volta sola a Mantova nel 1972. Era sdraiato su una poltrona e sembrava stanchissimo. Aveva 81 anni. Poi una volta salito sul palco parlò per un’ora e mezzo e sembrava un leone. Poi il suo erede Bettino Craxi, che parlava dosando le parole ma con la punteggiatura come se scrivesse. E anche Claudio Martelli che conobbi al Congresso della Fgsi a Venezia nel 1973. I suoi discorsi erano ragionamento puro sfrondati da tutti gli eccessi oratori. Ma se devo sceglierne uno dico Filippo Turati, un polemista col pennello colorato sempre a disposizione, senza certo dimenticare Camillo Prampolini, un po’ troppo santo per attrarmi completamente.

Quale Assessore allo Sport

– Che cos’è la politica per Mauro Del Bue?
Non è stata tutto, ma é stata molto. Mi ricordo che in casa mia (abitavamo in una camera e cucina affittata e col bagno condiviso col proprietario in via Baruffo) ci fu una riunione degli autonomisti dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria del 1956. Mia madre mi chiuse in faccia la porta della cucina zittendomi perché, disse, “Lì ci sono i socialisti”. La svolta per me furono le assemblee studentesche della fine degli anni sessanta. Studiavo la storia del socialismo e imparai ad apprezzare il socialismo riformista. Certo rappresentavo un’anomalia per la mia generazione, impregnata di miti rivoluzionari. Evidentemente andare contro corrente era una mia missione.

– Nella storia del socialismo del 900 e, in particolare, in quello italiano, Bettino Craxi è una figura centrale. Chi era e che cosa ha rappresentato Bettino Craxi per Mauro Del Bue?
Ha rappresentato essenzialmente due valori. Da un lato la prosecuzione della politica autonomista di Pietro Nenni del quale era considerato un allievo. Dall’altro il rilancio del Psi dopo la crisi del 1976, quando pareva, col successo del Pci berlingueriano, che per i socialisti non ci fosse più spazio. Il tutto con la ricerca a tutto campo di un’affermazione di quel che uno scrittore ha definito “l’eresia riformista”. Un’eresia che ha perso molto della sua attrattiva da quando é stata assunta dai più. Divenendo consuetudine. Mi piace ricordare la sua carica anticipatrice, penso alla contestazione del marxismo leninismo col suo saggio su Prodhon del 1978 e il lancio della Grande riforma delle istituzioni del 1979. Ma penso anche al patto anti inflazione quando era presidente del Consiglio che sfociò nel referendum vinto del 1985, al nuovo Concordato con l’eliminazione della religione cattolica come religione di stato e la facoltà dell’ora di religione nelle scuole, l’accettazione dei missili americani a Comiso, ma l’affermazione della completa sovranità dell’Italia a Sigonella e il rifiuto di autorizzare, nelle basi militari in Italia, la partenza degli aerei Usa per bombardare Tripoli e Bengasi nel 1986. A Craxi, come a tanti altri leader della cosiddetta Prima repubblica, mancò l’esatta percezione delle conseguenze di rottura del 1989 europeo sul sistema politico italiano. Ma fu il solo a pagare duramente di un reato commesso da tutti, consumando nella tragedia la sua esistenza.

Mauro Del Bue

– Mentre preparavamo l’intervista mi hai detto di un tuo rapporto speciale con Corrado Costa? Me ne vuoi parlare?
Ho conosciuto Costa alla fine degli anni settanta. Mi colpirono la sua cultura e la sua creatività, il suo culto del paradosso. Fu lui a ispirare a Ivanna Rossi, allora assessore alla cultura per il Comune di Reggio Emilia, l’iniziativa de I porci comodi. Solo lui poteva abbinare il maiale all’erudizione, elevare il porco al rango del professore. Ma era anche un gioco di parole come quelli delle sue poesie. Una volta mi propose un’Aida a temperatura ambiente e una Traviata col brodino per curare la protagonista. Nel 1990 gli proposi di entrare nelle liste del Psi alle comunali e lui accettò solo se gli davo la sicurezza di non essere eletto. Corrado era un unicum. Una persona che non rinascerà.

– Che cos’è il socialismo per Mauro Del Bue?
Un’aspirazione naturale all’equità e alla libertà. Come sostenne Filippo Turati al congresso di Livorno del 1921 (a cui ho dedicato un libro, che avrei voluto trasformare in testo teatrale) il socialismo non é un’ora x della storia, ma “un divenire continuo nelle cose e nelle teste”. E aggiungo il suo valore internazionalista. Un socialista guarda al mondo.

– Per le tue molteplici e consolidate competenze (storia, politica, lirica, cultura, giornalismo, sport, filosofia, ecc.) mi viene da definirti un “uomo leonardesco” o, anche, un “uomo rinascimentale”. Qual è il motore primo di questa tua fame di conoscenza?
Mi sembra francamente un’affermazione esagerata. Non mi sono mai piaciute le persone a una dimensione. Come quei ragionieri di banca che parlano solo di bond e di interessi. Con camicia e cravatta anche d’estate. Mi viene naturale guardarmi intorno. Penso che il motore dei miei interessi sia una grande curiosità e una passione per la vita. Nonostante le tragedie che ho dovuto sopportare non sono mai riuscito solo a sopravvivere. Restare fermo per me é innaturale.

– Qual è il tuo più grande sogno?
Sul piano professionale, diciamo, non ne ho più. Penso, come recita il titolo di un bel libro di Vittorio Gassman, di avere “un luminoso avvenire dietro le spalle”. Non certo come il suo. Ma se mi avessero detto, quando avevo 15 anni e cominciai a guardare il mondo, che avrei fatto quel che ho fatto, non ci avrei creduto. Un sogno semplice? Che la gente riprendesse a parlarsi. Che la parola fosse ancora centrale nel mondo segnato dalla malattia virtuale.

– Qual è la tua più grande paura?
Di non accorgermi di morire e nel contempo di dover soffrire. E’ una paura contraddittoria, lo so. Ma vorrei, come se la vita fosse un’assemblea, poter fare le conclusioni da vivo.

– Che cosa vorresti lasciare dopo la tua morte?
Lascio i miei libri, lascio la mia vita vissuta per i miei ideali e per le mie passioni, rammaricandomi di non poter partecipare alle mie esequie.

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