Dal pane “sciocco” all’ “olio bono”, miseria e nobiltà nella cucina toscana

Firenze – Maria Concetta Salemi , studiosa di cultura del cibo con moltissime pubblicazioni all’attivo tra cui le recenti Mangiare nel Medioevo (2018) e  Poveri toscani! L’arte (e il genio) di trasformare la scarsità in ricette straordinarie (2020),  in questa intervista  ci fa  appunto scoprire o ri- scoprire i saperi e i sapori della cucina povera toscana, con un excursus  sui vari cibi e sulle varie aree geografiche della nostra regione, caratterizzata dall’arte di trasformare la scarsità in ricette straordinarie: pici all’aglione, cibreo, acquacotta, cacciucco, polente più o meno condite, stufati e bolliti, mille torte dolci e salate… la cosiddetta cucina “povera”, ben radicata nella tradizione regionale, che ci ha regalato manicaretti oggi ricercati e celebrati.  

Cosa distingue il termine cucina povera dalla cucina tradizionale ?

“Sono termini che coincidono solo in apparenza. Al contrario, mentre la cucina povera può appartenere alla cosiddetta tradizione, non sempre i piatti della tradizione sono poveri, in
quanto prevedono l’uso di ingredienti costosi o reperibili con difficoltà. Qualche esempio? Tutte le preparazioni che richiedano spezie, canditi, mandorle e zucchero come il panforte e i ricciarelli; i piatti che richiedono particolari tagli di carne o pesci pregiati; ma anche altri dai nomi ingannevoli come le “ficattole” del Chianti e della Valdichiana nome che, per quanto in alcuni luoghi indichino della semplice pasta fritta, in quelle zone è attribuito a dolci costosi… E via di questo passo.

Perché nel suo libro ha parlato di miseria e nobiltà della cucina toscana ?

” Perché a partire da ingredienti poverissimi come erbe selvatiche, animaletti del bosco e degli stagni, ritagli di carne e quinto quarto, pane raffermo, castagne, lardo, mais, patate,
l’ingegno delle donne ha creato dei capolavori del gusto, che rappresentano vere e proprie eccellenze gastronomiche.

Ma si può parlare di cucina toscana o esistono invece diverse cucine a seconda delle aree subregionali della Toscana?

“Certamente esistono piatti che contraddistinguono le varie aree subregionali, e infatti per molte ricette ho indicato le rispondenze e le diversità da zona a zona. Del resto, laToscana è una terra fatta di montagne e di pianure (un tempo anche di paludi), di zone votate all’agricoltura e alla pesca, popolate da animali diversi e attraversate dalla transumanza. Una
terra, per giunta confinante con altre regioni e altre tradizioni, le cui coste erano battute da genti provenienti da terre lontane. Inoltre, una cucina fondata sulla tradizione orale ha
necessariamente tutta una gamma di varianti, ricca com’è di alternative in quanto la disponibilità alimentare non è mai la stessa come non sono le stesse le persone che la praticano. E tuttavia, non sono rari i casi in cui è possibile individuare denominatori comune, che ci fanno parlare di “cucina toscana” a tutti gli effetti. Banalmente, per fare un paio di esempi, il pane “sciocco”, l’olio “bono”, i piatti contesi da zone diverse magari lontane fra loro….

Ma cucina povera non vuol dire cucina poco elaborata, anzi….

“Eh già! La cucina veloce, quella della braciolina, delle terribili “insalatone”, del “piatto freddo”, che si è affermata a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, e che è proseguita
affogando ingredienti e sapori in laghi di panna, non richiede impegno né fantasia. Si consuma spinti dalla necessità di nutrirsi, senza godere il piacere del cibo. Ecco allora
materie prime costose trasformate in fretta in un “piatto”. La cucina povera aveva la necessità di trasformare umili ingredienti come rape, aglio, cipolla, la preoccupazione della freschezza e della buona conservazione degli alimenti, il desiderio di variare una dieta spesso monotona nel suo stretto legame con il territorio e la stagionalità.

Quanto è importante in questo campo la tradizione orale ?

“È il fondamento di tutti i piatti, fondati su “segreti” che variano non solo da zona a zona, da paese a paese, da famiglia a famiglia, ma spesso da tegame a tegame, da generazione a generazione, da mano a mano. Segreti “rubati” con l’occhio che osserva chi sa e non leggendo ricette che le massaie di una volta non sarebbero state in grado di scrivere”.

 

 

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