Big Data e Sentiment Analysis, incontro col professor Luigi Curini

Firenze – Big Data e Sentiment Analysis, il nostro esperto Clemente Poccianti ha intervistato una delle voci più rilevanti del settore, il professor Luigi Curini.

Luigi Curini è professore associato di scienza politica all’Università degli studi di Milano e visiting professor a Waseda University di Toyko; co-fondatore di VOICES from the Blogs, spin-off dell’Università degli studi di Milano che si occupa di Big Data analytics. E’ stato selezionato dal Dipartimento di Stato Americano per partecipare all’International Visiting Leadership Program 2016.

In che modo, in questi ultimi anni, l’evoluzione dei Big Data stanno contribuendo a migliorare la vita di tutti noi?

“Nella mia area di studio i Big Data hanno permesso una vera e propria rivoluzione nel campo delle scienze sociali. Oggi riusciamo ad avere delle risposte che una volta erano difficili a raggiungere, quindi con delle nuove informazioni che una volta non avevamo a disposizione. Trovo molto affascinante lo studio dei Big Data in quanto riescono a dare delle risposte teoriche a delle questioni pratiche e aggiungerei che nel mio campo di lavoro, le scienze sociali, rispetto a prima riescono a meglio fotografare una determinata verità contribuendo al miglioramento della vita dei cittadini.
Sono tante le applicazioni nella realtà ad esempio nella gestione delle grandi crisi, fra tutti un caso particolare di qualche anno fa, lo Tsunami di Fukushima in Giappone, in cui i Big Data hanno prodotto una reazione immediata sulla vita dei cittadini aiutandoli a superare il disastro.Un altro aspetto da considerare è nel miglioramento della “responsiveness” della P.A., es. il caso del dibattito sulle Smart City. Si chiamano cosi in quanto producono dei servizi più vicini alle esigenze dei cittadini; contribuendo una partecipazione attiva che migliora e velocizza il dialogo fra amministrati e amministratori.
Anche gli Open Data, entrano a pieno titolo in questo contesto, garantendo una maggiore trasparenza all’interno del processo decisionale; un elemento fra tutti, l’allocazione dei fondi pubblici: da qualche anno stiamo assistendo alla nascita di alcuni portali costruiti ad hoc e dedicati interamente agli Open Data tipo Open Expo o Datigov.it”.

I Big Data dicono la verità? Oppure sono solo lo specchio di un risultato ancora parziale?

“Karl Popper diceva che i dati non parlano mai da soli ma devono essere sempre interpretati, potrai avere i dati migliori del mondo ma se non li sai interpretare non hanno utilità e questo aspetto sarà sempre presente.
I Big Data oggi non differiscono più di tanto da quelli tradizionali di una volta, la sola differenza forse è nella quantità e nella velocità e maggiormente in un lavoro di riordino ma i problemi che riscontri con i dati tradizionali ce li avrai anche con i Big Data. Gli addetti ai lavori soprattutto gli informatici raramente colgono l’aspetto dell’interpretazione”.

Uno dei punti in cui i Big Data operano è il Sentiment Analysis che è poi il vostro campo d’intervento, a oggi quanto questo metodo risulta essere sufficientemente avanzato per riuscire a capire le opinioni delle persone?

“Il Sentiment Analysis ha diversi metodi per studiare i dati in rete. Esistono sistemi di analisi completamente automatizzati con modelli più o meno complessi, mentre ci sono altri sistemi di analisi che hanno bisogno di una codifica manuale. Conosciamo pregi e difetti di ogni tipo di algoritmo che analizza i dati, sappiamo muoverci con quale di questi lavorare ottimizzando il risultato a seconda di ciò che vogliamo cercare.
Per avere un sentore sufficiente di dove va l’opinione pubblica dovremmo analizzare il maggior numero di dati possibili ma questo costa molto sia in termini economici che di tempo. L’altro aspetto fondamentale è capire cosa analizzare, puoi avere un ottimo algoritmo e analizzare solo un piccolo universo, l’obiettivo è tendere ad analizzare con un buon algoritmo l’intero universo.
Oggi la sfida è giungere a un’integrazione tra fonti di dati differenti stile tessere di mosaico; certamente sarà la formula vincente di domani”.

Voices from the Blogs nasce come Spin off dell’Università di Milano, fra le varie attività collaborate anche a stretto contatto con varie testate giornalistiche, al fine di capire le reazioni del lettore su questo o su quell’evento politico, culturale o di cronaca, a livello pratico come si svolge il vostro lavoro?

“Voices from the Blogs ha una collaborazione con il Corriere della Sera e con Repubblica Finanza, abbiamo comunque la massima libertà di decidere su quale tematica concentrarci.
È una scelta influenzata sia da quello che avviene su eventi particolari es. oggi la crisi dei migranti, ma dall’altra parte siamo liberi di intraprendere delle scelte di analisi su cose indipendenti dagli avvenimenti del momento.
Da un punto di vista di riorganizzazione stiamo vedendo che le testate giornalistiche in futuro dovranno creare sempre più maggiore integrazione fra redazione online e redazione offline e le grandi testate stanno andando in questa direzione. Per avere informazioni più dettagliate e specifiche il giornale del futuro non potrà fare a meno del data journalism, ossia il giornalismo basato su dati concreti; argomento questo molto caldo che già sta suscitando ampio dibattito fra gli addetti ai lavori”.

Oltre al Sentiment, Voices from the Blogs è impegnata anche in altre forme di analisi; quali?

“Lavoriamo anche su altri fronti fra cui come già accennato prima, ci occupiamo di integrazione di dati. Analizziamo i dati della rete e poi li incrociamo con i dati delle singole realtà aziendali o integriamo dati di varia provenienza per produrre risultati complessivi. Tale integrazione potrà dare una risposta più interessante al nostro committente che sia un brand privato o un Istituzione. Quello che stiamo facendo molto è lavorare sia sui Data Analytic che sulla parte Predictive”.

Il mondo delle imprese in Italia da qualche anno sta iniziando a mostrare un interesse al valore aggiunto cui possono dare i Big Data, considerando che il nostro mondo produttivo nazionale è fatto soprattutto da PMI. Quale forma di analisi consiglierebbe a un’azienda manifatturiera che per la prima volta volesse utilizzare questo strumento?

“Di solito riuscire a convincere le PMI a utilizzare i Big Data è molto complicato. Sono figlio di un piccolo imprenditore quindi conosco bene la reazione di chi fa impresa: diciamo che c’è sempre una sorte di gelosia sulla propria attività ma anche di diffidenza, se fino ad ora è andata bene così perché cambiare? Questo atteggiamento è molto italiano.
Esiste poi un altro problema ossia la mancata integrazione e collaborazione fra il mondo accademico e il mondo produttivo imprenditoriale; in altri paesi europei questo è meno forte perché ci sono aziende più strutturate quindi è più facile un dialogo fra i due soggetti.
Valutando in cosa i Big Data potrebbero contribuire al meglio per la strategia di un’azienda, ad esempio in un settore tipico manifatturiero come la pelletteria, un’analisi che potrebbe servire è intercettare un mercato nuovo che sta crescendo in un paese tipo l’Angola, di cui si sa poco o nulla. Bisogna cogliere tramite i dialoghi in rete o tramite i Social Media i rumors degli angolani inerente all’interesse a prodotti come cinture in pelle piuttosto che borse. A questo punto la rete ci conduce a quelli che potrebbero essere dei gruppi d’influenza che parlano di moda, e a sapere che loro sono importanti all’interno della comunità; per arrivarci devi avere a disposizione uno studio che permette di individuare quelli più rilevanti.
Una volta per capire come entrare in un nuovo mercato si faceva un Focus Group cioè si costruiva un gruppo ad hoc di persone sul territorio che con un’attività di brainstorming iniziavano quel mercato a quel determinato prodotto. L’attività del Focus Group aveva dei costi di gran lunga più elevata se paragonato a oggi, dove l’operazione può essere condotta con un sistema di analisi dei dati sulla rete e i Social Media”.

foto: www.datamanager.it

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