Firenze – Mercato del lavoro polarizzato, i dati regionali che Irpet ha elaborato quache tempo fa, come ricorda la Cgil in una nota, hanno evidenziato la polarizzazione del mercato del lavoro tra lavori poveri e scarsamente qualificati da un lato e apicali dall’altro, con uno spostamento generale verso il basso e il lavoro a basso valore aggiunto.
La ricerca ha indotto la Cgil a esaminare nell’Area metropolitana fiorentina in che modo l’andamento degli avviamenti al lavoro nell’anno 2022 stia modificando il tessuto economico e la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici fiorentine.
Prendendo come fonte dati la Regione Toscana, “Appare subito evidente che nell’area metropolitana vi è una offerta di lavoro fortemente precaria. Niente di nuovo, in effetti. Sono anni che lo diciamo – sottolineano Gianluca Lacoppola (Cgil Firenze) e Maurizio Magi (Filcams Cgil Firenze), che firmano la nota – la ripresa di occupazione post pandemia Covid-19 (ma la tendenza è di ben più lungo periodo) è trainata in modo evidente dai contratti precari. Dei circa 270 mila lavori offerti nel 2022, solo il 12,6% sono contratti a tempo indeterminato. La maggioranza assoluta (il 52%) sono contratti a termine, a cui vanno aggiunti oltre il 10% in somministrazione e poco più del 7% intermittenti”.
Fra le cause principali che producono offerta di lavoro precaria, i sindacati individuano , sia pure a grandi linee, “oltre alle norme sul lavoro, la forte flessibilità delle produzioni, e più in generale delle attività economiche, e un tessuto economico poco predisposto da un lato al rischio di impresa e dall’altro agli investimenti sul lavoro”.
Un altro profilo che esce confermato, non è purtroppo una novità, ed è la forte connotazione femminile dei contratti precari. “In un contesto di sostanziale parità di genere nell’avviamento al lavoro (51% di donne e 49% di uomini), il rapporto uomo-donna infatti si inverte a seconda del tipo di contratto. Più uomini che donne in caso di contratti a tempo indeterminato e apprendistato, più donne che uomini in caso di somministrazione e lavoro domestico. Parziale controtendenza è il lavoro intermittente che vede una lieve maggioranza maschile, mentre per i tempi determinati abbiamo un sostanziale equilibrio”.
Ma non ovunque gli andamenti sono gli stessi e, pur senza mai contraddire la tendenza generale alla precarietà dell’offerta di lavoro, ci sono anche differenze sostanziali; come si sottolinea nella nota, “nei territori a maggior vocazione manifatturiera e a scarsa incidenza dell’industria turistica (come l’Empolese e la Piana fiorentina) le assunzioni a tempo indeterminato sono intorno al 20% e maggiore è l’uso dell’apprendistato (doppio rispetto alla media metropolitana)2.
Situazione capovolta a Firenze città, “che per peso sposta notevolmente l’andamento dell’intera area metropolitana, solo il 5% delle assunzioni si è concentrato nella manifattura, mentre il 31,5% è avvenuto nel settore turistico. Questo vuol dire che 4 su 5 di tutti coloro che sono stati assunti nella ristorazione e negli alberghi nell’Area Metropolitana sono stati assunti nel capoluogo”.
Firenze si contraddistingue anche per essere un condensatore di precarietà. “I contratti a tempo indeterminato sono stati meno del 9% del totale dei lavori offerti nel capoluogo, mentre quelli a tempo determinato sono stati il 50%. A questo va aggiunto che a Firenze si concentrano altre due forme precarie: la somministrazione e il lavoro intermittente, rispettivamente il 15,7% e il 9% dei lavori offerti a Firenze. Questo vuol dire che nel capoluogo si concentrano l’80% di tutti i contratti in somministrazione e il 70% di tutti i lavori intermittenti”.
Come già sottolineato dall’IRPET, l’estrema precarietà offerta a Firenze è spiegabile con la forte incidenza dell’industria turistica. Una vocazione quasi mono colturale, dicono Lacoppola e Magi, che, nonostante ormai abbia perso i tratti della stagionalità, non ha perso quelli della precarietà. “Il dato si aggiunge a quanto già da tempo diciamo, in particolar modo la Filcams di Firenze, sulla forte presenza di lavoro povero e sull’assenza di qualità nelle attività lavorative”.
“Naturalmente gli avviamenti al lavoro non corrispondono al numero dei lavoratori, dal momento che ogni lavoratore precario sicuramente fa più lavori nel corso dell’anno, molto spesso anche molto brevi. I dati nazionali ci dicono infatti che un terzo dei rapporti di lavoro avviati nel 2022 ha durata inferiore ai 30 giorni, e, considerato il contesto fiorentino, è altamente probabile che questo rapporto sia da noi ben più alto”.
Ciò che racconta il dato è la presenza di un forte turnover, una continua entrata e uscita dal lavoro per decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici, in costanza però di presenze turistiche e attività lavorative.
In conclusione, “è corretto dire che il modello Firenze deforma l’intera area metropolitana, già segata da una forte precarizzazione dell’offerta di lavoro, e si fonda su un lavoro povero e precario nonostante gli alti profitti dell’industria turistica. Per far fronte a questa situazione va cambiata rotta: serve fin da subito modificare le norme a livello nazionale per abolire le forme precarie (come il lavoro intermittente) e ridurre fortemente l’utilizzo i contratti in somministrazione e dei contratti a tempo determinato, e anche con queste richieste scenderemo in piazza a Roma il prossimo 7 ottobre”.
Oltre a ciò, continuao Magi e Lacoppola, è inispensabile “rivedere fortemente i meccanismi di funzionamento dell’industria turistica fiorentina, slegandola dal mordi e fuggi, che nel 2023 è tornato ai livelli pre-pandemia: qualità dell’offerta turistica e decongestione del centro storico, regolamentazione e riduzione degli affitti brevi, corrette applicazioni contrattuali e abolizione del cottimo di fatto”.
“Di 270.000 lavori offerti nel 2022 solo il 12,6% è a tempo indeterminato, mentre il 52% riguarda contratti a termini, a cui si aggiungono il 10% in somministrazione e poco più del 7% intermittenti, spiega la Camera del Lavoro, riprendendo i dati IRPET – dice in un intervento sulla questione Dmitrij Palagi, consigliere comunale di Sinistra Progetto Comune – il nostro Comune pesa molto su tutta la provincia. Perché è quello più schiacciato da un turismo visto come unica prospettiva di crescita economica. Palazzo Vecchio finge di voler regolare questa situazione ma la pandemia ci ha reso una città a tratti disperata. Le promesse di novità sono svanite. La soluzione non è puntare al mercato del lusso, rendendoci una vetrina “più pulita”, ma ritornare a essere un tessuto vivo, vissuto, a misura dei bisogni della cittadinanza. Non è semplice, perché è più facile seguire una tendenza di presunta crescita, soprattutto per le singole persone e le piccole imprese. Serve un’azione politica determinante. Di cui sinceramente al momento non c’è traccia”.