Non è che non ci siano rilievi da fare, specialmente in queste ultime vicende delle liberalizzazioni, al Governo. Ma è certo che c’è uno stile nuovo. Che non è dato solo dal loden rispetto ai giubbottini con cappellino da baseball di Berlusconi, ma anche dalla serietà e dalla competenza con cui i temi vengono affrontati rispetto all’improvvisazione e alla ricerca del consenso facile che caratterizzava il Governo precedente ma, più in generale, gran parte dei Governi politici.
Questo nuovo stile è una speranza per il futuro. Nessuno si sogna di avere per sempre un Governo tecnico rispetto ad un Governo politico e di avere una grande coalizione che lo appoggia invece di una coalizione omogenea legittimata dal voto elettorale. Ma la speranza è che non ci sia mai più un ritorno alla “vecchia politica”. E che,anche nei Governi futuri, la necessaria ricerca del consenso non si trasformi in posizioni demagogiche e populiste capaci certo di raccattare voti a destra e a manca ma incapaci di dare stabilità al paese e maggiori opportunità per le nuove generazioni.
Il sistema politico sta risentendo in maniera forte dell’effetto Monti. Diciamo che ci sono ancora molti politici e commentatori di giornali e di media che leggono questi cambiamenti solo come fenomeni congiunturali. E’ vero che a destra la Lega e il PDL si stanno trovando su posizioni diversificate rispetto all’appoggio al Governo. Ed è vero, in maniera speculare, che a sinistra la stessa cosa sta accadendo fra il PD e gli alleati più “radicali” dell’IDV e di Sel. Ma tutto questo appare momentaneo. E non appena si sentirà aria di elezioni politiche queste divisioni scompariranno per lasciare il posto alla tradizionale battaglia fra i due poli contrapposti.
Ci sono invece posizioni che leggono questi fenomeni di divisione in maniera più strutturale. Ed in particolare nell’area di sinistra che, come è tradizione, vive in maniera più profonda le tematiche dello scontro ideologico ed ideale al proprio interno. E che, a differenza dell’area di destra, non ha ( e forse fortunatamente non può avere) l’arma della leadership carismatica per eliminare tali divisioni.
Queste divisioni non sono di facile superamento. Di fronte alla crisi profonda del paese, molto vicino alla bancarotta, è chiaro che la critica al Governo Monti, spesso peraltro portata avanti a destra e a sinistra, in maniera un po’ becera, demagogica e populista, appare come un macigno insormontabile fra le diverse forze dei rispettivi schieramenti. Come si fa a pensare di presentare un Programma comune di Governo per il dopo 2013 di fronte a valutazioni così differenziate sulla natura, sulla conduzione e sulle scelte del Governo Monti?
Non penso che questo si possibile. E allora lo scenario politico prevedibile, al di fuori di una riproposizione della grossa coalizione che può venire fuori solo a fronte di una recrudescenza della crisi economica e sociale del paese (che non si può escludere ma che è bene allontanare dalle previsioni), è quello di una lotta fra i due principali schieramenti di destra e di sinistra che sappiano tenere fermo “l’asse riformistico” del Governo Monti pur con le diverse interpretazioni che sono dettate dalle diverse sensibilità dei due schieramenti. Come dire, più liberista in un caso e più democratico socialista nell’altro.
L’evoluzione non solo più prevedibile, ma anche più auspicabile se non si vuole tornare indietro nell’opera di rinnovamento e di riqualificazione del paese, dello stato e della sua economia, è quella di una battaglia politico elettorale che vede i due schieramenti sfidarsi su proposte serie e credibili e che in questa battaglia cercano di coinvolgere l’area politica di centro non solo attraverso alchimie istituzionali e partitiche, magari sfruttando a proprio vantaggio le eventuali innovazioni della legge elettorale, ma piuttosto attraverso proposte che diano spazio e visibilità reale alle posizioni politiche e culturali di quel mondo.
Risulta chiaro che questa prospettiva appare di difficile attuazione se si considerano gli schieramenti e la struttura dei partiti in maniera statica. E questo risulta più difficile per la sinistra che per la destra. Se infatti si può ipotizzare che a destra i partiti “estremi” possono oggi contare su un elettorato che arriva , contando solo le preferenze espresse, intorno al 10-15%, a sinistra invece si può parlare di un’area “critica” che, a vario titolo e a vari livelli di “estraneità al modello Monti”, può arrivare intorno al 20/25%. Quindi si tratta di una quota elettorale che , sommando le due “ali estreme” può arrivare dal 30% al 40% e che , se rimane su tali livelli, pone problemi di governabilità a prescindere dal sistema elettorale con il quale il paese sarà chiamato a votare.
E allora occorre che il tema del consenso al Governo Monti diventi un obiettivo politico non solo del Presidente del Consiglio e della sua Squadra ma anche, pur nel contesto di difficoltà oggettive rappresentato dalla distanza strutturale fra il PD e il PDL, dei partiti che lo sorreggono. Non è possibile che , a fronte di un Governo che ha fatto molto, abbastanza bene e in poco tempo cose che nessun altro Governo negli ultimi anni aveva fatto, ci sia una vulgata che insiste sulla negatività e sulle scelte antipopolari accampando problemi che vengono da lontano, debolezze del paese mai affrontate e sacrifici imposti che dipendono dal grado e dalla profondità della crisi in cui era stato portato il paese.
Intendiamoci le critiche sono un dato oggettivo della democrazia. Ma si può assistere al dileggio, alle menzogne e al sarcasmo degli oppositori (alcuni di questi “uomini di Governo” fino a pochi mesi fa, quando l’Italia stava naufragando!) lasciando la difesa solo agli uomini e alle donne del Governo Monti? E assistendo ad una immagine dei partiti che lo sorreggono che, con l’eccezione dovuta alla oggettiva collocazione filogovernativa dell’UDC di Casini, piuttosto defilata, imbarazzata e talvolta desiderosa di allinearsi sulle parole d’ordine degli oppositori?
Credo che il problema sia questo. Non tanto preparare il dopo Monti vezzeggiando ed adulando il Professore e chiedendogli implicitamente di rimanere anche nella prossima legislatura, ma piuttosto sostenere il Governo con orgoglio e con passione. Sapendo che non è un “Governo proprio” ma dicendo agli Italiani con fermezza che è l’unica alternativa alla bancarotta del paese. E quindi chiedere a Monti, in cambio della fermezza e del rigore nel sostegno, un maggiore coinvolgimento nel processo di progettazione delle riforme di sistema.
E credo che un grande contributo alla chiarificazione sul dopo Monti potrebbe venire da una duplice e concordata presa d’atto di PD e PDL che, qualunque sia la riforma elettorale, questi partiti si impegnano a non costruire alleanze con chi si oppone al Governo. Non come una sorta di rappresaglia contro i “critici” ma come risposta rassicurante verso il paese che , finita l’era dei professori, non deve esistere il pericolo che i “disfattisti” si riapproprino delle leve di comando. Non si po’ correre il rischio di buttare a mare i sacrifici fatti. E non si può riportare il paese, che ha ancora bisogno di cure appropriate e di riforme innovative, nelle acque paludose della vecchia politica.