Firenze – Mentre l’Italia scopre che i lavoratori poveri sono circa tre milioni, mentre, nonostante gli allarmi gettati a varie riprese dalle associazioni di categoria e dai sindacati, bisogna arrivare al 13,2 di percentuale di working poors sull’intero perché scatti l’attenzione, storie quotidiane portano il problema sotto le finestre delle istituzioni, anche locali. O forse soprattutto locali: stamattina, sotto le finestre della Regione, si è tenuto infatti un presidio, l’ennesimo, organizzato dall’Usb, dei lavoratori dell’Aeroporto. Una buona fetta dei quali, ormai, transitano tranquillamente nella categoria dei working poors: che non è solo una questione di stipendio, come dicono, nel Rapporto commissionato dal Ministero del Lavoro, gli otto esperti che se ne sono occupati, ma anche di tempi di lavoro, di composizione familiare e della capacità redistributiva dello Stato. Insomma, i lavoratori più a rischio sono quelli occupati pochi mesi all’anno, i precari, ma anche gli autonomi.
Tal quale, insomma, il centinaio di lavoratori degli aeroporti di Firenze e Pisa, che da anni, (per alcuni si parla di 15 anni) “godono” di un part time ciclico stagionale. Cosa significa? Che si tratta di lavoratori, come spiega Filippo Rinaldi, rappresentante Usb, che lavorano 6 mesi di base, alcuni a 4 ore al giorno, con stipendi che si aggirano fra i 1500 per i più fortunati, “i ricchi”, e 500 euro per gli ultimi della fila”. Il contratto è a tempo indeterminato, per colmo dell’ironia, e nelle classificazioni in voga negli anni passati veniva classificato come “lavoro buono”.
Ovviamente, la pandemia ci ha messo lo zampino. Infatti, mentre prima dell’esplosione del covid i lavoratori venivano chiamati anche in altri giorni rispetto alla scadenza stagionale, con la contrazione dei voli dovuta alla pandemia, ormai si limitano a fare il lavoro previsto da contratto. Impossibile arrivare alla fine del mese, tanto più che, come spiega Vania Meloni, delegata Usb Firenze, “non hanno accesso agli ammortizzatori sociali perché titolari di contratto a tempo indeterminato”. E dunque? Dunque, non sono considerati stagionali.
Di nuovo dunque sotto la Regione a chiedere che la stessa si faccia carico della situazione spronando l’azienda, alla quale, d’altro canto, come ricordano i lavoratori, sono stati consegnati proprio dalla Regione 10 milioni di aiuti. Dieci milioni sulla cui destinazione reale verrà chiesto conto ad aprile, come spiega la consigliera regionale M5S Irene Galletti, scesa ad incontrare i lavoratori. Senza dimenticare che proprio nel consiglio regionale odierno il gruppo pentastellato ha presentato una mozione, approvata dall’assemblea, in cui “dopo la mozione per il riconoscimento dei contributi figurativi dei part time ciclici stagionali, approvata nella scorsa legislatura, il nostro impegno in favore di queste lavoratrici e lavoratori degli scali aeroportuali marca un nuovo importante risultato” scrivono in una nota le consigliere Irene Galletti e Silvia Noferi. Ovvero, il Consiglio regionale ha deciso di riconoscere un ristoro economico per compensare il periodo in cui il reddito di questi operatori aeroportuali è stato diminuito o azzerato dalla crisi causata al settore dal Covid-19. Un provvedimento che dovrebbe far parte di un programma più ampio “che prevede anche la predisposizione di specifici programmi di aggiornamento, formazione e upskilling, oltre che il coinvolgimento del Governo per predisporre l’attivazione di una revisione normativa a tutela di tutti i part time ciclici, alla luce della nuova contingenza economica e sociale”. Ora, sarà importante vedere se, dove e come la giunta regionale troverà le risorse per questi lavoratori dando seguito all’indicazione del consiglio regionale.
In sintesi, tuttavia, come spiega Filippo Rinaldi dell’Usb, il peccato è originale, ed è “l’affidare al privato un servizio che è di natura collettiva, ovvero pubblica”. Il trasporto aereo infatti è composto da vari soggetti, che vanno da chi attiva il servizio a chi lo svolge, agli utenti. “Tutti interessi diversi che devono trovare una superiore armonia – spiega ancora Rinaldi – sotto il segno di un interesse superiore. Mentre il pubblico deve rispondere all’interesse collettivo, il privato deve rispondere solo al suo stesso interesse. Vale a dire, nel nostro sistema economico vigente, al profitto”. Le conseguenze? “Quelle che vediamo – conclude il sindacalista – lavoratori costretti a lavorare 4 ore al giorno per sei mesi, senza contributi, diritti, possibilità di costruire un futuro passabile per se e per le proprie famiglie. Un sistema che conduce il lavoratore a lavorare per la propria singola sussistenza, spacca ogni sentimento di solidarietà e ogni valore collettivo, costruendo solo masse di disperati pronti a calpestare i propri simili per un piatto di lenticchie che consenta almeno di sfamarsi. Non credo che le istituzioni si rendano conto del pericolo che trasformare il lavoro da strumento di emancipazione ad autostrada per la disperazione comporta”. Insomma non è detto che una massa di schiavi che non ha nulla da perdere produca più pace sociale di un popolo di cittadini per cui il lavoro è strumento di “esistenza libera e dignitosa”.