Firenze – I filosofi della scienza la chiamano “inferenza alla migliore spiegazione” (Inference to the best explanation). Non è un’inferenza sillogistica, perché l’explanandum non è necessariamente ricavato dalle premesse; e non è neppure una spiegazione probabilistica, anche se le somiglia un po’. È invece un modo consolidato, che ha senz’altro a che fare con l’evoluzione e il nostro adattamento all’ambiente che ci circonda, di ritenere plausibile un’ipotesi a fronte di certe evidenze: se la notte ho sentito dei rumori in cucina e la mattina dopo non trovo più il formaggio, avanzo l’ipotesi che ci sia in giro un topo, e scarto subito quella, pur possibile, che qualcuno sia entrato la notte in cucina, abbia mangiato il formaggio e se ne sia andato alla chetichella.
Quella del topo è senz’altro la “migliore spiegazione” dell’accaduto, e anche quella più “economica”. Forse a chi parla della Fiorentina di questi tempi bisognerebbe insegnare qualche elemento di ragionamento e di argomentazione plausibile. Di fronte all’ennesima prestazione deprimente della squadra, si torna a parlare di “errori” dei singoli, di giocatori demotivati, di scelte sbagliate dell’allenatore, della proprietà che ha abbandonato la squadra. Nessuno che riesca a fare la somma di due più due.
Eppure basterebbe chiedersi: come mai la Fiorentina fallisce sistematicamente tutte le partite contro squadre più deboli (e nei fallimenti ci metto anche le “vittorie”, recalcitro a chiamarle così, con Crotone o con Pescara), dal Carpi dello scorso anno al Palermo di ieri, e poi sembra rinascere quando c’è uno scontro tecnicamente più equilibrato, e soprattutto quando ci sono spazi dove far muovere con un po’ più di senso una formazione sempre scriteriatamente offensiva?
Dove avete visto ieri giocatori demotivati o indolenti? E perché le colpe della proprietà dovevano avere ieri i loro effetti più umilianti invece che contro la Samp, per esempio? Ma perché nessuno “vede” l’assurdità dello schema con cui Sousa mette in campo la squadra? È lui stesso che ce lo fa vedere, quando accenna puntualmente, dopo i fallimenti, alle squadre avversarie “che si difendono in dieci” e quando si rallegra con i suoi per aver comunque “dominato” la partita.
Non è Mlakar la scelta sbagliata nella partita di ieri, anche se certo si poteva risparmiare al poveretto l’esordio in un bagno di sangue del genere. È l’idea che si possa giocare in Italia con Saponara, Chiesa, Tello, Babacar e Mlakar all’attacco sostenuti da Borja Valero scheggia impazzita, da Astori e addirittura da Sanchez in un folle assedio dove nessuno sa dove andare, pesta i piedi al compagno, ha paura di perder palla perché dietro sa che è rimasto soltanto un compagno (magari Badelj, o lo stesso Borja, nella girandola impazzita di movimenti a casaccio).
E allora, la spiegazione più plausibile è che Sousa sia un incapace, un velleitario, uno che non ha capito niente del calcio italiano (ma neanche di quello internazionale, a giudicare da come ha buttato via la qualificazione in Europa League contro il Borussia), e che ora, a fine rapporto con la Fiorentina, giochi soltanto a stupire, a imbrattare la tela con colori vivaci in schemi astratti, come a dire che se avesse avuto i giocatori e l’ambiente giusto, altro che Jackson Pollock…!
La smetto qui perché mi sto ripetendo da troppo tempo. Ma voglio fare ancora una considerazione su quel calcio che rinuncia alla costruzione manovrata e “orchestrata” del gioco a centrocampo partendo da due soli mediani e tenendo il vertice altissimo. Certo, ci sono squadre che hanno i giocatori adatti a farlo, sicuramente più adatti di quelli della Viola. Ma con quali risultati? Ieri una Roma con il solito Nainggolan dietro la prima punta e una squadra tutta votata all’offensiva è stata surclassata da una Lazio umile, impostata con un “italianissimo” 5-3-1-1 (in altre due occasioni, quest’anno, la Lazio era stata superiore alla Roma impiegando anche altre banalissime soluzioni, come il 4-3-2-1), che ha saputo gestire gli spazi con intelligenza tattica e concretezza, alla fine dando lei spettacolo offensivo.
E non importava la riprova di un’Inter anch’essa vittima di una scelta tattica sbagliata sin dall’inizio del campionato, a dimostrarci come un centrocampo a due non ce ne possa contro un centrocampo dove si fa più intensità, si interrompono le linee dei passaggi, e c’è un regista (ieri Diawara, altre volte Jorginho) che illumina, si fa trovare al posto giusto, e detta i tempi di gioco. Del resto, il Napoli aveva mandato via Benitez perché teneva il regista (Jorginho) in tribuna e giocava con quattro punte; quel Benitez “all’inglese” che poi fu licenziato in quattro e quattr’otto anche dal Real Madrid e per la stessa ragione.
E dico anche alla Juve di stare attenta! Perché, sì, Allegri la sa più lunga di tutti in questo momento, e lo si vede da come interpreta il 4-2-3-1, apparentemente in modo più spregiudicato, ma poi con il retropensiero del “catenaccio” che lo fa essere sempre più realista del Re. Cosa disse dopo il 2-2 contro l’Atalanta? Che aveva messo in campo apposta Barzagli per far difendere la Juve in nove nell’ultimo quarto d’ora, e che non ammetteva che una sua squadra potesse prendere un gol al novantesimo per una palla persa all’attacco. E Sousa?
Nella partita contro l’Empoli in casa si sgolava perché gli attaccanti rimanessero alti anche sui calci d’angolo! E il risultato è stato quello, come ieri: in campo in totale 6-7 giocatori d’attacco (e dovremmo considerare che anche il difensore centrale, Sanchez, è una mezzala con qualità offensive) per non tirare mai in porta contro il Palermo! Provate a fare due più due…