Firenze – Un campagna elettorale da anatre zoppe come si diceva una volta negli ambienti diplomatici. Una strana competizione elettorale apparentemente giocata su promesse irrealizzabili e su rivalità di leadership e, invece, nella sostanza, un passaggio cruciale della democrazia italiana.
Sulla scena politica italiana si rappresenta ancora l’azione drammatica che ha visto naufragare il più serio tentativo mai fatto dai cosiddetti rappresentanti del popolo di realizzare alcune riforme in grado di liberare dai gioghi e le gogne del passato. Un ampio e frastagliato, in diversi casi incompatibile, schieramento che ha l’obiettivo di ripartire dal via nel Monòpoli di Sisifo, quello che si gioca nei palazzi di Roma.
Un’improbabile coalizione di centrodestra vede alla sua testa uno degli uomini che ha gettato al vento le chance di rinnovamento e ammodernamento del paese che gli elettori gli avevano dato, complice di una regressione culturale e morale per fermare la quale ci vorranno ancora anni di buona politica e di buon governo. Silvio Berlusconi ha esercitato le sue indubbie capacità di negoziatore e integratore di interessi diversi, che non potranno reggere all’urto neppure di un risultato elettorale favorevole.
Ieri riuscì a portare al governo e a integrare gli eredi del Movimento sociale, oggi sta tirando la volata a una forza politica che si richiama all’estrema destra di Marine LePen e al populismo con sapore razzista. Sarà interessante vedere quanti voti l’ineffabile Silvio avrà favorito suo malgrado per la Lega di Salvini.
Contro quella deriva culturale e morale ha prosperato il Movimento 5 Stelle la cui struttura organizzativa basata sull’illusione della democrazia digitale ne sta denunciando gli effetti con lo stillicidio giorno dopo giorno della scoperta di candidati che nulla hanno a che vedere con il suo messaggio di pulizia e moralizzazione.
Un fenomeno che può meravigliare solo coloro che non si sono posti il problema della selezione della classe politica per competenza e moralità. Quest’ultima non basta se prima non viene la conoscenza e l’esperienza di chi è chiamata alle pubbliche responsabilità.
All’estrema sinistra ci sono i transfughi del Pd con gli eredi del minoritarismo identitario di sinistra che hanno anche loro fatto parte della santa alleanza contro il referendum istituzionale e il cui obiettivo vero è bloccare l’arcirivale segretario del Pd.
Reggeranno questi aggregati politici spuri e eterogenei alla prova del voto, anche se questo dovesse premiarli nei loro obiettivi di conquista di potere? Qualunque onesto osservatore politico ne dubita e si preoccupa non solo per la futura governabilità del Paese ma anche per gli spazi che da questa politica di finte convergenze e imposture programmatiche si sono spalancati agli estremisti di destra, presenti nelle piazze come comizianti e nelle manifestazioni come i nuovi vessilliferi del vecchio armamentario razzista e intollerante del neofascismo nostrano.
Anche il Pd è un’anatra azzoppata da tante disavventure giudiziarie e da tanti pallini sparati dalle doppiette degli avversari. Eppure resta l’unico solido pilastro della stabilità dell’Italia in Europa, erede di una cultura di governo che proviene da quelli che un tempo erano i grandi partiti di massa di una stagione giustamente conclusa da tempo perché frutto di circostanze che si basavano su rapporti di forza ormai depotenziati.
Nonostante tutto, per quello che il centrosinistra ha fatto vedere e realizzato nella legislatura appena conclusa, il Pd con i suoi alleati resta l’unica forza politica organizzata in grado di cogliere e valorizzare nella direzione delle riforme ciò che di buono e utile emerge dalla società civile. Berlusconi ha dimostrato ampiamente ciò che significa l’assoluta prevalenza degli interessi individuali o di gruppi ristretti di potere politico ed economico.
Salvini è pronto a lanciarsi nell’avventura populista radicale che fa leva sul ritorno alla società chiusa e impaurita. Di Maio non offre alcuna garanzia sulla qualità di coloro che dovrebbero muovere le leve del governo. D’Alema e Bersani non appaiono in grado di rientrare in una partita che li ha visti protagonisti e sconfitti.
Certamente non è un assegno in bianco quello che gli elettori dovrebbero consegnare al Pd. E’ un mandato preciso di proseguire il lavoro cominciato badando bene ad aprire le porte a uomini e donne di buona volontà che si riconoscono in una missione che non si riduce alla spartizione di potere.
Il governo Gentiloni e i suoi ministri come Minniti e Calenda mostrano bene cosa vuol dire avere il senso dello Stato e quello altrettanto importante degli interessi dell’intera Comunità nazionale.
Foto: Paolo Gentiloni Rai News