Firenze – Un libro insolito nel panorama della saggistica italiana quello che verrà presentato sabato 9 maggio alle 19 nell’ambito del Festival della Scienza Medica di Bologna (Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale, con Giuseppe Di Pasquale e Gilberto Corbellini). Il titolo “Le trame della cura” è già il segnale di un contenuto particolare al quale il sottotitolo descrittivo, “Le narrazioni dei pazienti e l’esperienza di un medico per ripensare salute e malattia” (Maria Margherita Bulgarini Editore), tutto sommato non rende piena giustizia.
In realtà l’opera di Alfredo Zuppiroli, cardiologo fiorentino già primario ospedaliero e presidente della Commissione di Bioetica della Regione Toscana dal 2008 al 2011 e autore di numerose pubblicazioni scientifiche anche internazionali, è quanto di più acuto e aggiornato si possa trovare sul tema della professione medica: dal rapporto con il paziente, all’organizzazione della sanità al mercato dei farmaci e delle prestazioni sanitarie.
Per raccontare “le trame” della cura, i fili intrecciati di situazioni nelle quali si incontrano esseri umani, gli uni con le loro conoscenze e le loro storie personali e professionali, gli altri con il loro carico di angoscia e fragilità indotte dalla malattia, Zuppiroli parte dai pazienti che ha curato e dai quali ha tratto insegnamenti e giudizi che lo hanno arricchito come uomo e come specialista.
Si tratta di una struttura retorica tipica della letteratura e del giornalismo anglosassone: la storia di un individuo offre gli elementi essenziali per passare a una generalizzazione che va al cuore del problema che si intende affrontare. Oggi questo è il metodo della “medicina narrativa”, che riporta al centro il paziente: “Il contributo principale di una storia è quello di indurci a pensare in modo differente e solo pensando che qualcosa possa essere fatto diversamente è possibile cambiare il modo in cui le cose accadono”, osserva l’autore.
Pensare in modo differente rispetto a una medicina intesa come applicazione di fredde procedure tecniche: come lotta contro un nemico esterno da debellare con strumenti e analisi quantitative (malattia come disease) e non come una infermità vissuta soggettivamente (illness) e nel rapporto tra il paziente e il suo mondo (sickness). Questi termini della lingua inglese sono quanto mai concettualmente utili per la identificazione dei diversi aspetti che identificano la Cura, senza mai perdere di vista “il rigoroso atteggiamento scientifico”, particolarmente in un campo dove sono acute emotività e debolezza psicologica.
Undici storie offrono a Zuppiroli altrettanti spunti per affrontare le questioni centrali di una rifondazione della professione del medico, peraltro già tutta espressa in potenza nei codici deontologici e nelle carte fondamentali dello Stato democratico. Le sue riflessioni pongono le radici in una ricchissima letteratura scientifica, statistica, metodologica, ma anche storica e sociologica.
“Da almeno dieci anni – scrive – sappiamo che i fattori psicosociali sono al terzo posto fra i fattori di rischio, dopo il colesterolo ed il fumo.. .eppure rarissimamente si prende in considerazione la storia del paziente, il suo contesto di vita, sia individuale che sociale, la presenza e l’entità dello stress cronico”. Occorre, dunque, un nuovo paradigma che vada oltre quello che “fonda la salute all’esterno della persona, delegandone la Cura agli interventi farmacologici e non”, ma che aiuti il medico ad andare oltre i dati oggettivi per ascoltare il paziente. “Come possiamo pensare di comprendere la sofferenza umana se non si tiene conto anche di tutti gli aspetti della personalità, tra i quali l’esperienza passata, la storia della famiglia, l’ambito culturale e sociale di riferimento?”. La miglior Cura, nasce dunque dalla costante tensione fra l’autorità del medico con le sue competenze professionali e quella del paziente con la sua esperienza e i suoi valori esistenziali.
Le riflessioni di Zuppiroli toccano ovviamente anche questioni etiche – la libertà di scelta dei pazienti, i loro diritti – così come l’impatto dell’ambiente e dei suoi inquinamenti, i fattori socio economici, le “disuguaglianze della salute” e i condizionamenti del mercato: non può essere sempre il mercato a decidere cosa è salute, cosa è malattia e il medico perciò non deve essere “truppa che esegue gli ordini senza discuterli”.
Sulla contrapposizione fra chi sbandiera la “sacralità della vita” e chi parla dell’autonomia dei cittadini come un a priori, l’autore invita “ad accostarsi a temi così delicati con laica umiltà, nel riconoscimento della legittimità delle diverse idee, fedi religiose, opzioni morali e prendere atto dell’evoluzione avvenuta nella società, dove è ormai irreversibile la conquista da parte dei cittadini della libertà di decidere sulle questioni che riguardano la propria salute”.
L’ultimo capitolo è dedicato alle politiche sanitarie, ai tagli della spesa. Per Zuppiroli, “data per scontata la necessità di una politica volta almeno a ridurre nettamente se non ad abolire gli sprechi, è sull’educazione della domanda che si vince o si perde la sfida del prossimo futuro”. Il medico deve riscoprire il valore del giudizio clinico: “più medicina non significa migliore medicina, le nuove tecnologie vanno usate con attenzione e saggezza, una spesa sanitaria in continua crescita è insostenibile per qualunque sistema sanitario pubblico basato sulla fiscalità generale”.
Al termine delle sue riflessioni, per definire il senso del cambiamento, il medico fiorentino crea, prendendo a prestito il concetto di Epigenetica, il termine di “Epimedicina” che esprime una nuova cultura della medicina “che sappia comprendere le mille interazioni tra ciò che è stata e ciò che sta diventando la Cura, il cui fenotipo cambia sotto i nostri occhi in un panta rei (tutto scorre) che ancora molti ostinati difensori di paradigmi ritenuti immutabili continuano a negare”.