I racconti del Viandante: “magna” Grecia

Viaggio attraverso i sapori della Grecia antica, tra eroi, simposi e antiche feste

Dolores Boretti

Il nostro viaggio comincia nella Magna Grecia, con due tappe d’obbligo: Siracusa, patria dei cuochi più celebri del mondo ellenico e Sibari, dove i festini si proclamavano con un anno di anticipo. Quanto ai filosofi, meno portati alla gastronomia d’alto livello, di fronte banchetti siciliani giudicati troppo ricchi era consigliabile un viaggio a Taranto dove Pitagora dimostrava tale preferenza per frutta e verdura cruda, tanto da indurre 2.200 anni dopo, lo scrittore Vincenzo Corrado a definire cibo pitagorico tutte le insalate e preparazioni analoghe codificate nel ricettario intitolato Al cuoco galante.

Riprova che la cucina appartiene alla civiltà intesa nel senso più vasto del termine, l’abbiamo nella cura dimostrata da Omero nel descriverci, dettagliatamente, cibi ricette care agli eroi dei due poemi da Achille a Ulisse. Le notizie sull’alimentazione greca iniziano dunque col ciclo dei poemi omerici. Informazioni sui costumi dei periodi più antichi si trovano nell’Iliade poema che appartiene ad un periodo senz’altro precedente a quello nel quale venne composta l’Odissea. Il fatto risulta evidente anche dalla differenza esistente tra i costumi conviviali dell’uno e dell’altro poema. Tutti sono gran mangiatori di carne arrosto addentata piena bocca. Aiace Telamonio, dopo aver combattuto Ettore, riceve, in ricompensa un intero filetto di bue, sottolineiamo comunque che scarso era il consumo di carni bovine nei due poemi e per contro abbondanza di capretti e agnelli, cosa logica dato lo sviluppo della pastorizia in tutto il Medio Oriente e nell’arcipelago. Il cibo del re era certamente la carne di maiale.

Uno dei menù più completi dell’Odissea figura nel canto del ritorno di Ulisse ad Itaca: quando il re cerca rifugio, prima di affrontare proci, nella casa del fedele servo Eumeo, questi ammazza a legnate un verro dell’età di cinque anni e prepara schiena arrosto, spiedini, spezzatino il tutto con la reticella di maiale. Le viscere degli animali uccisi erano considerate parti scelte: quando Ulisse siede al focolare il figlio offre al padre le abbrustolite viscere di cui gli stessi usurpatori, i proci, si cibano. Un grande banchetto dunque! Già nella società omerica, la mensa, il banchetto era il centro dell’istituzione sociale; nella Grecia classica, i banchetti pubblici riunivano i cittadini attorno a interessi comuni e favorivano la gestione democratica degli affari; nella società spartana era obbligatoria, in base alla codificazione di Licurgo, la partecipazione degli uomini a pasti comuni (sissizie).

Dalla socialità conviviale (oltre che da quella simposiaca) erano comunque escluse le donne e i bambini, essendovi ammesse solo le etere che godevano di un particolare status.

I banchetti tra amici avevano per i greci grande importanza; potevano essere offerti da uno di loro oppure indetti dai componenti di un tiaso che ne condividevano le spese. Una volta riuniti a casa dell’ospite, i convitati si toglievano i sandali, si facevano lavare i piedi dagli schiavi e, dopo essersi posti sul capo corone di fiori o di foglie, si disponevano a due a due sui letti collocati attorno alle rispettive mense. Alla fine del banchetto dopo vaste e numerose portate ecco il simposio dedicato al piacere del bere, si giocava al cottabo, si conversava o si intonavano canti; intervenivano danzatrici, mimi e suonatori di aulos.

Alcibiade

Due elementi di contatto fra la cucina di Omero e  quella greca: le mangiate collettive (banchetti) di arrosti di capretto cucinate in piazza su focolari improvvisati e l’importanza del formaggio fresco di capra compresi tegami di gamberi. I ciclopi erano dei maestri casari abilissimi nel preparare formaggio pecorino nei canestri. Come bevanda si offriva vino rosso, anzi nero, bevuto in grandi coppe che possiamo definire eroiche: coppe di quelle epoche con le loro particolari forme e le differenze di stile dovute alle differenti civiltá, ma sempre e dappertutto di grandi proporzioni.

Il grande assente dalle mense degli eroi della guerra di Troia era invece il pesce. Nonostante che spesso la ceramica micenea sia decorata con fregi di pesci o di polpi piacevolmente stilizzati e che nell’Iliade il poeta descriva l’Ellesponto come un mare estremamente pescoso non vi è nessun accenno al consumo dei prodotti del mare. Eppure anche allora questa attivitá dovette essere largamente praticata dai popoli rivieraschi. Ma del resto nel poema non si parla nemmeno di frutta o verdure che pur dovevano far parte della dieta normale. Non si può però escludere che questi alimenti non venissero nominati perché considerati indegni dei magnifici e mitici eroi-re. Questi per la fantasia popolare potevano consumare soltanto cibi di qualitá eccelsa: appunto pane, carne e vino, proprio come i loro dei si nutrivano esclusivamente di nettare ed ambrosia.

Nell’Atene di Pericle e di Alcibiade la cucina diviene meno sostanziosa ma più completa. I greci di vengono mangiatori di minestre: purea di farina d’orzo, certe zuppe all’orzo vino ed erbe aromatiche. L’agricoltura si era ormai affiancata alla pastorizia, la sua importanza cresceva di giorno in giorno e, assieme ad essa, cresceva il consumo dei suoi prodotti.
É soltanto in questa epoca tarda  che i culti ed i templi dedicati a Dioniso, dio del vino, ed a Demetra, dea dei raccolti, acquistano un’enorme importanza ed i loro culti finiscono poi per essere abbracciati anche dalla popolazione cittadina che in essi vede incarnati i miti della morte e resurrezione dell’uomo collegati ai cicli delle stagioni.

Altra cosa interessante è lo sviluppo dell’arte bianca perché verso l’il 250 a.C. il filosofo Crisippo scrive l’Arte del panettiere i cui frammenti giunti fino a noi, ci portano lunghi elenchi di tipi di pane, 72 in totale tali da accontentare tutti i gusti, daraton, che era un pane senza lievito; il phaios, un pane scuro; il semidelites, fatto con fior di grano; il caibanites, un pane composto da varie farine. E poi pani con olive, uva passa e fichi secchi.

Licurgo

A Sparta invece criteri del tutto opposti : rigorismo militaresco in ogni manifestazione della vita sociale inserendo così nelle abitudini anche quei pranzi in comune in cui tutti si nutrivano del famoso brodo nero arricchitoda carne di maiale, sangue, aceto e sale. Si raccontava che un re del Ponto avesse assoldato un cuoco spartano per farsi preparare il brodo nero, ma che ne fosse rimasto disgustato. Il cuoco gli avrebbe risposto: «Re, questo cibo va mangiato dopo un bagno nell’Eurota! (il fiume di Sparta), lasciando intendere che solo gli Spartani potevano apprezzarlo.

Licurgo che lo aveva imposto finì preso a sassate da alcuni dissidenti. Il brodo nero di Sparta costituisse da tempo un giallo per gli storici e nel settecento una poetessa francese, traduttrice di Omero credette di essere riuscita a risolvere il problema e, tutta baldanzosa, invitò a pranzo gli accademici di Francia per una degustazione. A tavola, ci andarono tutti, ma stando a ciò che riferiscono le cronache dell’epoca, quel giorno non ci fu seduta all’Accademia: erano tutti a casa con lo stomaco sottosopra.

Per saperne di più
E. SALZA PRINA RICOTTI, L’alimentazione nel mondo greco in Archeo, nº 44, October 1988,
Flandrin J.L., Montanari M., Storia dell’alimentazione, Laterza, Roma-Bari 1997.
E. SALZA PRINA RICOTTI, – L’arte del convito nell’antica Grecia. L’evoluzione del gusto da Achille ad Alessandro Magno , L’ERMA DI BRETSCHNEIDER, ROME, 2005.

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