Non sono molte le informazioni disponibili per “Reka Re”, l’esibizione artistica svoltasi sabato 1 ottobre al Valli. Difficile comprendere in anticipo, dato anche il cast dell’opera, ciò a cui si sarebbe andati incontro. Manca una vera a propria definizione di genere, per questo nucleo sonoro multiforme e sperimentale andato in scena come “performance”.
I presenti possono raccontare la propria esperienza e sono certa che molte opinioni diverse e anche contrastanti verranno fornite.
La mia impressione è stata quella di trovarmi nella pancia del mondo. Un po’ per la collocazione di coro e percussionisti, allineati anche nei palchi intorno alla platea, a creare un’onda sonora compatta e multiforme attraverso una collocazione fisicamente accerchiante. Un po’ perché il vero tema sonoro sembrava andare a pescare nell’ancestrale, richiamando il mondo naturale, quello tribale, ripescando tutti gli elementi più originari e antichi dell’articolazione sonora e ritmica e creando quindi un risultato che difficilmente si può dire banalmente musicale, ma che di certo è qualcosa di più profondamente toccante, anche se altrettanto certamente è qualcosa di meno tangibile intellettualmente.
Un battito, un pulsare, un’onda sonora non definita, fatta di voci e versi e ritmo crescenti che solo per un’alchimia magica si trasformano in una esperienza estetica. Una bellezza che è quella dell’esperienza, del richiamo della natura più antica e nascosta (quella umana e bestiale, forse, nel senso di meno logica e cosciente).
Un richiamo ad un mondo primitivo, naturale, e in qualche verso collettivo – come collettiva è la voce del coro, collettivo il compendio delle voci soliste e dei musicisti – che si scontra con la soggettività spietata di questa musica sia nella testa del compositore/direttore/regista, che sperimenta di città in città risultati espressivi locali e inediti, sia per il pubblico, tirato dentro alla esibizione fisicamente, dalla sua sedia di platea.
Ne vale la pena? Sì. Perchè se il risultato è qualcosa di antico e primordiale la tecnica non lo è. Si sente anzi un lavoro lungo e faticoso di pensiero e sensibilità espressiva che privano di qualsiasi banalità il risultato finale.
Ne è valsa la pena perché il risultato è bello. Strano, ok. Non proprio consueto, ma nemmeno così incredibile. Del resto, mi insegnano musicologi più fini di me, molti generi hanno inserito, con campionature, elementi naturali e umani. In Reka il risultato è anche migliore perché live.
Una performance fatta per essere guardata da diverse angolazioni e ascoltata con mente libera e sgombra.