Storia di Alì, dalla Somalia alla tendopoli di Firenze

Firenze, 25 maggio 2011- Alle 5.00 di martedì 24 maggio Alì stava dormendo nella sua piccola tenda in Piazza Bambine e Bambini di Beslan a Firenze, nella tendopoli provvisoria formata da rifugiati politici provenienti da Somalia, Eritrea ed Etiopia. All’improvviso dei forti rumori e delle grida l’hanno svegliato. Nella piazza, dei vigili urbani assistiti da carabinieri e polizia, stavano sgomberando la tendopoli. “Sono arrivati all’improvviso, erano in borghese, hanno devastato le nostre tende, malmenato alcuni di quelli che erano qui -spiega L., uno dei portavoce della protesta- ma noi non abbiamo reagito. Anzi, ci siamo rimboccati le maniche ed abbiamo sistemato delle tende nuove, perché molte erano ormai distrutte”.
Anche Alì ha avuto una tenda nuova. Mi chiede con occhi tristi “perché hanno fatto questo?”. Quello che Alì e i suoi compagni di protesta chiedono è un edificio, di proprietà comunale, dismesso e da recuperare, dove poter vivere, dove potersi sentire sicuri. Già, la sicurezza. Alì mi confida di avere molta paura la sera, quando deve scegliere il luogo dove passare la notte, perché lui è un ragazzo di 25 anni, solo, e a Firenze non si sa mai chi puoi incontrare.
Io ed Alì siamo nati nello stesso anno, il 1985, portiamo le stesse scarpe da ginnastica, ridiamo entrambi quando lui mi dice di avere una grande passione per la matematica e io gli rivelo quanto tempo ho impiegato ad imparare le tabelline, ma Alì ogni mattina si sveglia pensando “mangerò oggi? Dove dormirò stasera?”.
La sua famiglia, composta da dieci persone, è rimasta in Somalia. Ha conosciuto l’Italia grazie alla TV. Una casa, un’auto, un lavoro, una vita felice: tutto questo puoi averlo in Italia, gli suggerivano le immagini in televisione. Così Alì ha lasciato i suoi studi universitari in matematica e fisica, il suo lavoro di insegnante elementare, ed è partito in cerca di una vita migliore. Prima Lampedusa, poi Olanda, poi di nuovo l’Italia, a Firenze.
Gli chiedo se telefona mai ai suoi genitori, e cosa racconta. “Loro si preoccupano per me, e io gli dico che va tutto bene, che sto bene. Così sono tranquilli”, mi risponde.
Alì sa che finché non avrà una casa non riuscirà ad avere un lavoro, ma la sua giovane età gli fa dire, con gli occhi che brillano: “so che andrà tutto bene, che potrò avere un bel futuro”.
Alì è tutti quei ragazzi, quegli uomini, quelle donne, quei bambini, fuggiti dai propri Paesi a causa della guerra, che da sabato, sotto un caldo opprimente e lo sguardo indifferente dei passanti, combattono per sostenere il diritto ad avere una casa. “Noi non ce ne andremo, -mi promette Alì- resteremo qui per chiedere al Comune una casa dove poter vivere”.
Se passate dalla Fortezza da Basso e vedete un ragazzo somalo con una piccola tenda rossa e degli occhi pieni di speranza, fermatevi, perché quello è Alì, l’insegnante di matematica che ha paura la notte a Firenze.

 

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