Non si sa ancora chi ci sia dietro i due roghi appiccati a distanza di 48 ore l’uno dall’altro al Podere Gazzolo, una struttura alberghiera in costruzione in via Rinaldi a Cavazzoli, ma di sicuro i metodi sono quelli della criminalità organizzata.
Due incendi sicuramente dolosi hanno interessato la struttura provocando danni per centinaia di migliaia di euro: il primo la notte tra l’8 e il 9 agosto, il secondo tra mercoledì e giovedì. C’è un dettaglio che rende ancora più inquietante la vicenda: il titolare dell’impresa che proprietaria l’immobile la scorsa estate aveva già denunciato di avere ricevuto minacce. Una telefonata da parte di sconosciuti che gli avevano intimato di non firmare il rogito per l’acquisto dello stabile all’asta.
Non è la prima volta che minacce del genere precedono le fiamme. E sono segnali preoccupanti perché significa che la criminalità organizzata sta alzando il tiro e punta a riprendersi fette di mercato nel settore che ha fatto le sue fortune nel Reggiano: l’edilizia. Non si fa scrupoli a fare ricorso con sempre maggiore frequenza a metodi plateali come gli incendi.
C’è una notizia recente che è passata praticamente sotto silenzio sugli organi di informazione locale che merita di essere ricordata, anche se non è direttamente collegata gli incendi di Cavazzoli. Da un indagine partita dal cantiere del Bergamasco dove per mesi si sono concentrate le ricerche di Yara Gambirasio, è emerso il nome del titolare di un’impresa di trasporti con sede a Gualtieri che era già finita agli atti di un’operazione antimafia condotta nel 2009 dalla Dda di Catanzaro.
Dalle carte emerge la figura di un imprenditore taglieggiato dalla ‘ndrangheta, in particolare dal clan Nicoscia, la cui roccaforte è a Isola di Capo Rizzuto. Imprenditore sarebbe stato costretto a pagare il pizzo. E non è stato l’unico, come scrivono i magistrati di Catanzaro secondo i quali il boss Salvatore Nicoscia si recava a Reggio una o due volte al mese per estorcere denaro a imprenditori della zona.
Un paio di volte al mese, insomma, un potente boss di una delle più potenti e feroci cosche della ‘ndrangeta, fino a poco tempo fa si aggirava per la provincia a battere cassa da imprenditori locali.
C’è un dato di fatto che pochi sono disposti ad ammettere: di episodi del genere – piccoli roghi, minacce, atti vandalici mirati – si ripetono ogni giorno. Pochissimi di questi vengono denunciati, ancora meno finiscono sui giornali. Ma qui, per usare le parole di un pentito, gli imprenditori che lavorano qui sono “bancomat” e in tempi di crisi vanno spremuti a dovere da soldati delle cosche, mentre al livello superiore i colletti blu stringono patti che valgono oro con il mondo della politica e dell’economia. Chi si ribella paga il conto, in un modo o nell’altro.