Restaurato l’oratorio dei Buonomini, di scuola del Ghirlandaio

FIRENZE – «Quello che il pittore ci ha consegnato è come si lavora da Buonomini. C'è tutto un manuale visivo in queste immagini oggi risanate nella superficie e consolidate nell'intonaco, alle quali è stata restituita tutta la loro tersità, termine che forse non troveremo in nessun dizionario ma che Luciano Berti usò per descrivere i colori di Masaccio e Masolino da Panicale», così Cristina Acidini, soprintendente del Polo Museale Fiorentino ha commentato la conclusione dei lavori di restauro dell’oratorio dei Buonomini di San Martino. Il ciclo di affreschi dell’oratorio, restituito al suo splendore grazie al finanziamento dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, consta di una serie di lunette di scuola del Ghirlandaio nelle quali si narrano l’attività della fondazione Buonomini e la vita fiorentina del Quattrocento. Nel 1441, infatti, Frate Antonino Pierozzi decise di dare vita all’oratorio per aiutare i cosiddetti “poveri vergognosi”, ossia coloro che, da benestanti, erano divenuti poveri a causa di qualche avversità e che, per questo, si vergognavano a chiedere le elemosina. I frati dell’oratorio fondato da Frate Antonio, come si narra nel ciclo di affreschi, avevano il compito di raccogliere le donazioni lasciate dai passanti nella cassetta della fondazione e ridistribuirlo in parti eguali ai singoli bisognosi. E se vi capiterà di visitare l’oratorio e vi chiederete perché, negli affreschi, sui davanzali delle finestre vi siano delle candele accese, potrete spiegarvi l’origine del detto fiorentino “essere al lumicino”: quando, infatti, erano a corto di risorse, i “poveri vergognosi” accendevano una candela sul loro davanzale.

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