La prima volta che abbiamo sentito parlare di tasse è stato probabilmente da bambini, nella versione Disney di “Robin Hood” oppure nella corrispettiva parodia Disney con Paperone al posto del Principe Giovanni. Inutile a dirsi, ci eravamo fatti l’idea che fossero una cosa spiacevole: intere famiglie di coniglietti e di tassi ridotti alla fame dalla predace disposizione dello Sceriffo di Nottingham, come poteva essere qualcosa di positivo? Poi, crescendo, impari tante altre cose: che la collettività necessita di beni e servizi, di redistribuzione, di partecipazione.
L’italiano, che è un romanticone, non è che sia incapace di maturità: è che preferisce restare in questo mondo sospeso tra fiaba ed epopea cavalleresca alla Dumas. Per lui, l’idea delle tasse sarà sempre indissolubilmente legata a quella di Robin Hood e alla Foresta di Sherwood, nella quale nessuno ha bisogno di asfaltare le strade, non c’è la sanità né il sistema pensionistico e quando finisce il libro vanno tutti a casa e stop. Difatti, in Italia le tasse non vuole pagarle proprio nessuno; tutti si identificano, immancabilmente, in quella povera famiglia di coniglietti che aspetta il giustiziere in calzamaglia nell’atto di restituire loro il maltolto, il sacchetto degli sghéi col simbolo del dollaro dipinto sopra.
Non le vogliono pagare gli imprenditori, che già danno da lavorare alla gente, e quindi quante altre forme di assistenzialismo vogliamo far loro finanziare? Non sarebbe corretto, tanto più se consideriamo che alcuni di essi il lavoro addirittura a volte lo retribuiscono. Non vogliono pagarle i commercianti, che dicono che il valore aggiunto nel prodotto ce lo mettono loro, portandolo a spasso da una parte all’altra; e quindi, perché mai dovrebbero poi lasciare che qualcun altro ci metta sopra le zampette? A maggior ragione non vogliono pagarle i negozianti, che lamentano l’orribile tortura loro inflitta dagli Studi di Settore che li massacrerebbero di balzelli sulla base di fatturati previsti in realtà mai raggiunti; poi non ti emettono lo scontrino e ti viene il dubbio che il loro ragionamento trovi per così dire un punto di flessione, ma loro insistono, ci avranno ragione.
Non vogliono pagarle i professionisti, che lamentano una pressione fiscale sul capo pari a settecento atmosfere per centimetro quadrato, o al settanta per cento in più, come per la lucentezza degli sciampi, che poi è la stessa cosa. Il fatto che nella pressione fiscale includano poi ogni cosa venga loro in mente: affitto, stipendi, carta copiativa, matite, pressione degli pneumatici, aperitivi con gli amici e via così. Un qualsiasi lavoratore dipendente che volesse sommare anche lui le stesse voci raggiungerebbe facilmente una pressione del 95%, ma si sa: neanche lui vuole pagare poi le tasse.
E infatti, preferisce avere la busta leggera e le tasche nere ma pesanti, come buona parte dei dipendenti italiani che all’ISEE poi lamentano stati di assoluta povertà e poi, risparmion di risparmioni (le mancette di Natale) ti escono il BMW a 45 anni, pronto per la crisetta di mezz’età. A maggior ragione non vogliono certo pagarle gli artigiani che, forti del loro tirare i soldi direttamente alla fonte, ovvero al cliente ultimo e spesso per servizi, nemmeno per prodotti acquistati da terzi, infatti, semplicemente non lo fanno. Insomma: tra semplice giustizia sociale, che come abbiamo visto è interpretata in maniera libera e felice, tra evasione fiscale almeno al 30% del totale (che è un reato) ed elusione fiscale che, invece, è assolutamente legittima e tira via zitta zitta un altro 30%, in Italia le tasse le pagano con regolarità, in pratica, solamente quelli che di tasse campano: vale a dire, pensionati e dipendenti pubblici, quelli di basso livello, beninteso.
E quindi, si capisce subito come questa consuetudine (quella di non pagare, beninteso) possa venire molto disturbata da una idea mefitica come quella di infilare il Canone RAI direttamente nella bolletta della luce: se hai la luce hai una casa, ergo, guardi la tivù. Che detta così potrebbe sembrare una cretinata giusto per, ma poi in realtà è verissimo. E se non la TV, certo tutta una serie di cosette veicolate dall’etere per le quali a suo tempo non si potevano certo prevedere imposte (ovvero, fino a sei, sette anni fa, noi qui siamo sempre in anticipo sui tempi). Naturalmente, a questo punto si leva una foresta di lance: ma come! Io non guardo mai la RAI! Che pago a fare? Dimentichi del fatto che il Canone va a nutrire la TV tutta, privata compresa, che si spartisce il gettito in questo modo: a quella pubblica il gettito fiscale, a quella privata, il gettito da ricavi pubblicitari.
Mossa geniale che poteva venire in mente solo agli alacri sgherri del Cavaliere (chiunque) in tempi non così tanto non sospetti. Quindi, c’è poco da fare: l’italiano, in un modo o nell’altro, dovrà pagare. Niente paura, però: non siamo vicini a una rivoluzione armata. Perché in effetti i nostri concittadini adorano pagare le tasse. Altrimenti non caccerebbero gran parte dei loro stipendi nell’acquisto dei soliti gratta e vinci e lotterie e giochi a premi, o non li dilapiderebbero nei casinò on line. Dai quali sistemi, ironia della sorte, ben poco gettito fiscale alla fine arriva nelle casse dello Stato; e anche questo è un altro gran bel discorso, per una prossima volta.