Pensate di avere dentro il cervello tanti nano-robot che si muovono all’interno della grande rete di neuroni che lo compongono. Pensate di non sentirli nemmeno, tanto sono piccoli, eppure capaci di aver rapporti con ogni singola cellula e guarire quelle che non funzionano. Non è un film di fantascienza, potrebbe diventare realtà comune in poco tempo. I vari disturbi che colpiscono il cervello e che sono ancora incurabili, dall’ epilessia alla depressione famacoresistente, l’Alzheimer o il Parkinson, sono candidati a guarire per merito delle nanotecnologie e dell’intelligenza artificiale. In virtù di piccoli robot, battezzati dai ricercatori microbot, realizzati con materiali super avanzati che vengono inseriti nel cervello in maniera non invasiva, rispettano il corpo umano e interagiscono con il tessuto cerebrale in modo molto preciso e veloce. I microbot nuotano nel cervello, il quale, come dicevamo, è composto di miliardi di neuroni che formano la grande rete in cui dialogano in maniera elettrica, occupandosi delle principali funzioni umane, dalle percezione sensoriali alle emozioni, il ragionamento, la memoria: una concatenazione che può saltare causando serie patologie cerebrali ancora difficili o impossibili da curare.
Adesso si profila una rivoluzione attraverso strumenti la cui dimensione si misura, appunto, in nanogrammi. La sta studiando e sperimentando uno dei quattro progetti, tutti in relazione con il cervello umano, che fanno parte di un articolato programma guidato dal professor Nicola Toschi e il dottor Andrea Duggento dell’Unità di Fisica medica del Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione dell’ Università di Tor Vergata a Roma e finanziato dall’Europa. Il primo, quello appunto dedicato alle nano tecnologie in medicina e focalizzato sui microbot utilizzabili a scopi di cura nel cervello, si chiama Crossbrain e lo finanzia l’European Innovation Council (EIC).
Il secondo, Brainstorm, anche questo, si occupa del cervello e sembra un passo nel futuro: interagisce con i neuroni più profondi del medesimo in virtù di micro particelle magnetiche che si riscaldano e viaggiano a diverse frequenze per eccitare o calmare detti neuroni, introdotte tramite ultrasuoni mirati che consentono di raggiungere in modo non invasivo e mirato l’area cerebrale bersaglio. Controllate, le micro particelle da un avanzato e raffinato sistema simile a un GPS biologico che utilizza anticorpi per puntare ai canali sensoriali del cervello. Di Brainstom è attualmente in corso una sperimentazione su topi affetti da una malattia genetica che causa problemi di apprendimento e comportamento. Il terzo progetto, Experience, si occupa di realtà immersive e propone di condividere non solo foto o social, ma intere esperienze in 3D, come se gli interlocutori fossero presenti, tramite un’intelligenza artificiale avanzatissima, in un mondo virtuale dove si possono rivivere perfino le esperienze del passato. Infine il quarto, Aegeus, simile a un cappello speciale, pieno di sensori e ultrasuoni tali da poter dare un’ occhiata dentro la tua testa, comprendere come funziona il tuo cervello e, una volta trovati i problemi, li risolva mediante ultrasuoni focalizzati.
Toschi e Duggento hanno illustrato l’intero programma durante l’evento “Neuroscienze digitali e realtà virtuale”, all’interno del multiforme e ricco di “miracoli” programma della Notte Europea dei Ricercatori e delle Ricercatrici 2023 – Progetto LEAF Frascati Scienza, il 29 settembre scorso. Focalizziamo l’attenzione sul progetto Crossbrain di cui si è già spiegato che, utilizzando strumenti e nano tecnologie provenienti da discipline fisiche, ingegneristiche e molecolari assieme a tecniche di intelligenza artificiale neuromorfica, è destinato a creare nuovi modi per misurare e modulare l’ attività dei neuroni o gruppi di neuroni impazziti e userà i microbot per ristabilire la funzione fisiologica del cervello del paziente. I microbot possono stimolare le cellule cerebrali in vari modi: tramite elettricità, calore, variazioni di pressione, luce e così via, riuscendo e ridare speranza e futuro a milioni di persone nel mondo che con fatica lottano contro malattie allo stato attuale incurabili. Niente paura di invasioni, i nano robottini entrano nel cervello in maniera non invasiva per via vascolare.
“Sono robot piccolissimi, simili a un mini cubo di 0,1 millimetro – rivela Toschi – Possiamo paragonarli a un granello di polvere, penetrano nel cervello attraverso con una tecnica vascolare per misurare e modulare in vari modi l’ attività di gruppi di neuroni al fine di ristabilire la funzione fisiologica del cervello del paziente”. Prosegue il ricercatore: “È noto che un gran numero di condizioni patologiche cerebrali coinvolgono direttamente un’attività elettrica aberrante del cervello, come ad esempio crisi epilettiche o disturbi di panico”. In questi casi, sottolinea Toschi, la tempestività di intervento è essenziale per rendere possibile una terapia adattiva e efficace.
“Purtroppo – aggiunge – le tecnologie attualmente disponibili per guidare e modulare l’attività cerebrale in modo preciso e selettivo a scopo terapeutico sono fortemente limitate, riducendo notevolmente le opzioni terapeutiche”. In genere sono esterne al cervello o pesantemente invasive, dirette alle grosse aree e incapaci di raggiungere le piccole. Un aiuto, sostiene il progetto Crossbrain, potrebbe però arrivare dalle nanotecnologie unite a tecniche di intelligenza artificiale neuromorfica, “in modo da sviluppare – spiega il ricercatore – dispositivi di dimensioni nanometriche che vengono inseriti nel cervello in modo nanoinvasivo, come lo chiamiamo noi, e possono interagire con il tessuto cerebrale velocemente e in maniera precisa attraverso la neuro modulazione e la neurostimolazione, interfacciatosi localmente cellula per cellula all’interno del cervello e comunicando con l’esterno tramite un piccolo device di un centimetro quadro, indossabile come un orologio intelligente o qualsiasi altro piccolo accessorio, ma con all’interno tanta intelligenza da potersi accorgere perfino in anticipo di una crisi epilettica che sta per arrivare e prevenirla. L’IA è una delle componenti fondamentali del progetto, di cui la prima sono i materiali biocompatibili”.
La ricerca sul progetto Crossbrain, racconta Toschi, è iniziata da dieci mesi, procede per passi monitorati dal finanziatore, ovvero la UE, e ha come obiettivo quello di arrivare entro quattro anni a un prototipo da industrializzare e portare sul mercato. “Lo schema di questi finanziamenti europei – spiega il professore – è quello dell’alto rischio/alto guadagno. Ovvero si finanziano non tanto i progetti che incrementino l’esistente ma solo quelli assolutamente innovativi, e di conseguenza la Ue li sostiene anche con acceleratori che aiutino a portare i risultati sul mercato”.
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