Firenze – A prima vista ciò che colpisce il lettore di “Calendario Liturgico” è la struttura del libro: in copertina viene definito un “romanzo”, sfogliandolo però si scoprono 15 storie diverse, ciascuna delle quali introdotta dal riferimento a una tappa del calendario liturgico della Chiesa cattolica, del quale l’autore appare competente conoscitore.
Solo immergendosi nella lettura si coglie il filo profondo che unifica i racconti e giustifica il titolo dell’opera di Franco Marucci. Non solo perché Salvatore Mori, detto Turi, protagonista del primo capitolo (L’Avvento) è lo stesso che interviene in prima persona nell’ultimo (I Morti) e dichiara di essere l’autore di tutto il romanzo. Gli altri dodici quadri o figure, chiamiamoli così, che parlano di personaggi apparentemente diversi l’uno dall’altro emergono come altrettante stazioni che fanno degli eventi di un’esistenza ordinaria l’epopea di un italiano medio, cattolico per educazione e sensibilità. Con tutte le contraddizioni e le angosce del caso, fra le quali quelle di vedersi sgretolare il mondo intorno, mutare silenziosamente i punti di riferimento, assistere inerme alla progressiva decadenza del corpo. Anche con le frustrazioni che alimentano il desiderio di evadere da una routine opprimente.
Un libro di interni familiari ed esterni ‘chiesa e lavoro’ e rapporti un tempo autentici, ma ormai consumati dalla consuetudine. Tuttavia non sono solo la coerenza strutturale e la qualità della scrittura a raccomandare la lettura del volume uscito nei mesi scorsi per i tipi della casa editrice Castelvecchi. L’autore riesce infatti a intessere la sua visione compositiva all’interno dei racconti al punto che essi risultano alla fine del tutto corrispondenti al concetto generale e alla singola indicazione liturgica. Circostanze e personaggi differenti, riflessioni diverse vengono come a comporre un affresco unitario.
Grande studioso di letteratura anglosassone, già docente a Siena, Venezia e Firenze autore di una imponente Storia della Letteratura Inglese (un totale di quasi 7000 pagine che parte dalle origini e arriva fino all’anno 2000) e del romanzo Altomare, Franco Marucci non solo si ispira a opere più meno conosciute del sua ambito di ricerca (vedi per esempio il racconto Wakefield di Hawthorn) , ma riesce anche a fare propri soluzioni e stili letterari di scrittori come James Joyce, reinterpretandoli in modo originale.
Calendario Liturgico può essere infatti letto come una sorta di “flusso di coscienza” unico, nel quale le diverse esperienze fisiche o psicologiche, così come la percezione del sacro sommerso in un mare di mediocrità e ovvietà, si esprimono di volta in volta in personaggi niente affatto astratti o metaforici ,perché corrispondono fortemente a un vissuto concreto non subito, sempre rielaborato nel profondo.
La scrittura rimane leggera e godibile grazie a una vena di ironia non artificiosa che in alcuni casi riesce a diventare vera e propria situazione comica come nel racconto ispirato al “Santissimo Corpo e Sangue di Cristo”, nel quale una chiesa dove viene celebrata una messa si trova proprio di fronte a un ristorante affollato da commensali chiassosi e gaudenti. I momenti della liturgia del Corpus Domini si alternano e si incrociano, con i commenti gastronomici e la conversazione futile di chi sta rendendo (fin troppo) onore alla tavola.
In questa chiave, da non perdere è l’ultimo capitolo “escatologico” del libro con la descrizione davvero gustosa del paradiso che ci attende e del suo custode un San Pietro del tutto reticente a rispondere all’urgenza degli interrogativi dell’anima di Turi in attesa di essere ricevuto dal titolare per conoscere la sua destinazione ultima.