Maria de’ Medici regina fra intrighi, attentati e moschettieri

Firenze – Figlia del granduca di Toscana Francesco I e di Giovanna d’Austria, dopo la prematura morte dei genitori, Maria de’Medici aveva continuato a vivere a Palazzo Pitti insieme al nuovo granduca lo zio ed ex cardinale Ferdinando, che la ricolmò di attenzioni ma il suo ruolo nella Corte fiorentina era ormai di secondo piano.

Ma nel 1592, quando la principessa aveva 17 anni, accade qualcosa che cambiò la sua vita. Il cardinale Pierre de Gondi arcivescovo di Parigi e membro del ramo francese di una  famosa famiglia fiorentina, venne in Italia per ottenere dal Papa l’autorizzazione alla solenne abiura di Enrico IV che, dopo il celebre “Parigi val bene una messa” , intendeva ufficializzare la conversione al cattolicesimo. Come corollario chiedeva anche lo scioglimento del suo matrimonio con Margherita di Valois.

Il cardinale si fermò a Firenze per chiedere a Ferdinando d’intercedere presso il Papa perché concedesse il consenso all’abiura. Ma, con l’occasione, si occupò anche di un’altra questione. Maria era di piacevole aspetto, era intelligente, colta e poteva portare una ricca dote di cui il re aveva gran bisogno. Poteva quindi essere una moglie ideale per Enrico IV.

Un’altra Medici, Caterina, aveva dovuto accontentarsi del secondogenito (che, poi, però era divenuto re) perché i Medici non erano ancora una famiglia blasonata ma adesso la figlia di un Granduca poteva avere un matrimonio regale. Tanto più che la Toscana era uno Stato d’importanza strategica nello scenario europeo e anche se fino ad allora si era mossa nell’orbita spagnola, Ferdinando cercava una linea politica più equilibrata

Le trattative si protrassero a lungo e richiesero nuovi viaggi del cardinale de Gondi a Firenze perché la dote richiesta da Enrico IV era addirittura iperbolica. Un milione di scudi d’oro (uno scudo d’oro in Toscana era circa 3,35 grammid’oro). La somma concordata fu ridotta a 600mila scudi d’oro la maggior parte dei quali non furono versati in contanti ma impiegati come compensazione del debito che la Francia aveva con il Granducato.

Il matrimonio per procura fu celebrato il 5 ottobre 1600 nella cattedrale di Santa Maria del Fiore e fu allietato dal più fastoso banchetto della storia di Firenze, allestito nel salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio con la collaborazione di un famoso architetto come il Buontalenti. I trecento convitati gustarono sessanta portate: ventiquattro piatti freddi tra cui lingua di bue, pasticcio di vitella, pasticcio di cinghiale, piccioni. Facevano seguito altrettanti piatti caldi, soprattutto a base di cacciagione (fagiani, quaglie, tordi) dai nomi più mirabolanti: galli d’India affagianati, pasticcio in forma di drago, torte di bocca di dama. Ma anche tradizionali porchette; poi, formaggi e dolci a non finire tra cui una specialità fiorentina: il sorbetto.

Il pranzo fu ricordato anche per una fantasiosa scenografia: fontane che zampillavano vino, castelli fatti di salame, statue di zucchero realizzate dal Giambologna. A un certo momento si spensero le luci. Quando i candelieri furono riaccesi, le sale si erano trasformate in boschetti con viali, siepi e fontane. La notizia del favoloso banchetto ebbe grande risonanza a Parigi, e alcuni dei dolci serviti come i bigné divennero una specialità dei pasticcieri di rue Saint Honoré.

Maria arrivò, quindi, preceduta da una fama di raffinatezza ma alla Corte francese ebbe un’amara sorpresa: si trovò a dover convivere con l’amante ufficiale del re, Henriette d’Entragues. Cercò di adattarsi e d’instaurare un modus vivendi come aveva fatto l’altra Medici, Caterina, con Diana di Poitiers. Ma poi Henriette cominciò a dire che i veri eredi al trono erano i suoi figli e non quelli della  “banchiera”.

Il re, per evitare un aperto conflitto abbandonò Henriette ma ebbe altre amanti. La moglie, non era stata nemmeno incoronata, quindi formalmente non era ancora “regina.” Ma poi la fiducia crebbe e il 13 maggio 1610, apprestandosi a partire per la guerra, Enrico IV procedette alla solenne incoronazione di Maria.

Il giorno successivo il re fu accoltellato dal monaco fanatico François Ravaillac. Anche sotto tortura questi affermò di non avere mandanti o complici. E  lo confermò al frate che lo assisteva quando fu sottoposto al terribile supplizio in Place de Grève. Eppure la dinamica dell’attentato faceva pensare a qualcosa di preordinato. Il re procedeva su una carrozza scoperta quando un carro si pose di traverso sul suo cammino. La carrozza si fermò e in quel momento Ravaillac, salito sul predellino, sferrò al re tre colpi di pugnale.

Una dinamica simile a quella che trecento anni dopo caratterizzò l’attentato di Sarajevo. Anche allora l’arciduca Francesco Ferdinando procedeva lentamente su un’auto scoperta quando l’autista sbagliò percorso e si fermò. L’attentatore salì sul predellino e sparò all’arciduca e alla moglie.

Ravaillac anche sotto tortura affermò sempre di non avere né complici né mandanti. Certo, però, il carro che ostruiva la strada proprio quando lui si trovava era sul posto, dava proprio l’impressione di un complotto

I sospetti per la morte di Enrico IV si appuntarono sugli ambienti cattolici e filospagnoli. Non risparmiarono nemmeno la regina perché il duca d’ Épernon, suo fedele sostenitore conosceva Ravaillac al quale in passato aveva affidato alcuni piccoli incarichi. Tant’è vero che il futuro attentatore, quando era giunto a Parigi era stato ospitato dall’amante del duca che era anche dama di compagnia della regina. D’ Épernon prese il controllo dell’esercito e assicurò l’ordine pubblico durante la transizione. Insieme al duca di Guisa si presentò al Parlamento di Parigi per chiedere con forza che venisse votata immediatamente la Reggenza. Fino all’avvento dei Concini fu l’uomo forte del nuovo governo.

C’era inoltre, questa sconcertante coincidenza temporale dell’assassinio del re subito dopo l’incoronazione della Medici che prese il governo del regno. Un po’ di tempo dopo, in seguito ad alcune accuse fu promossa un’inchiesta ma non emerse alcuna prova. La denunciante fu imprigionata per calunnia. e ormai non poteva finire diversamente.

Maria de’ Medici si seppe destreggiare fra i conflitti di religione e l’insofferenza dei nobili per il potere monarchico. I suoi consiglieri più fidati divennero due fiorentini: Concino Concini e sua moglie Leonora Galigai, figlia della sua balia. La coppia accumulò rapidamente potere e ricchezze, attirandosi l’odio dei francesi. Così quando il giovane Luigi XIII volle disfarsi della tutela della madre, la prima mossa fu l’uccisione del Concini, il 24 aprile 1618. Quanto alla Galigai, fu sbrigativamente processata per stregoneria e giustiziata.

Maria non poté intervenire perché era stata confinata nel castello di Blois. Ma, riuscì a fuggire in modo rocambolesco calandosi giù da una finestra con una corda. Poi, avvalendosi di numerosi sostenitori che gli fornirono un esercito, entrò in guerra aperta con il figlio. Ma Richelieu astro nascente della diplomazia, trovò un compromesso che gli valse la nomina a Cancelliere della regina e il cappello cardinalizio.

Nel 1622, la Medici non volendo vivere al Louvre dove la padrona di casa era ormai sua nuora Anna d’Austria, si fece costruire lo splendido palazzo del Luxembourg (oggi sede del Senato francese) che ricorda da vicino palazzo Pitti, sia per la forma che per l’uso del bugnato. Anche la grande fontana è simile a quelle di Boboli.

Durante la cerimonia d’inaugurazione il Primo ministro inglese, duca di Buckingham, incontrò Anna d’Austria;ne scaturì quell’idillio che costituisce il nucleo narrativo dei Tre Moschettieri di DumasMa la regina-madre aveva un carattere troppo autoritario per restare in disparte. Era stata lei a “scoprire” Richelieu, ma quando entrò in contrasto con il cardinale, che nel, frattempo era divenuto primo ministro, finì per avere la peggio.

Nel 1630 era quasi riuscita a convincere suo figlio a destituirlo, quando Richelieu irruppe nello studio del re da una porticina che i servitori si erano dimenticati di chiudere. Con la sua forte personalità riuscì a convincere Luigi XIII, che gli rinnovò la fiducia.

Confinata a Compiègne la regine madre preferì l’ esilio e morì a Colonia (1642) dove era ospite di Rubens, il pittore che l’aveva immortalata in una splendida serie di tele oggi al Louvre nella Galerie Medecis  dedicate a vari momenti della sue vita come il matrimonio per procura, l’arrivo a Marsiglia, l’incoronazione e la reggenza, tutti descritti con toni epici e mitologici.

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