Ad un certo punto, trasfigurato dalla calca mangereccia e dalla calura che avrebbe potuto ricordare i primi gironi dell’Inferno dantesco, all’umile reporter di oggi, per una sera anch’egli (dopo una vita di stenti) nel Gotha della Reggio liffa e solidale, pareva di intravedere Babette (quella dell’omonimo Pranzo oggetto di uno strepitoso film di Axel dell’87, a sua volta tratto da un romanzo di Karen Blixen). Ma non si trattava che degli afrori delle cucine (non troppo) popolari mescolate all’atmosfera rovente, mix capace di abbagliare anche le menti più lucide e razionali. Non era Babette e nemmeno il Pantagruel di Rabelais.

Trattavasi in realtà di Stefano Campani, il deus ex machina della Grande Cena di Boorea (di cui è anche direttore), che con la leggiadria di una sposa nel giorno delle nozze e la pazienza di un certosino nello scriptorium di un monastero tra giovani amanuensi, girovagava, quasi zigzagava tra i tavoli squisitamente allestiti, a sovrintendere che tutto stesse trascorrendo nel modo migliore. Ovvero che nessuno restasse indietro di una pietanza, che le portate fossero di gradimento dei palati più vari e che i lascivi stornelli da taverna portuale intonati dal gianpar (piazzato non a caso con velleità calmanti davanti alla consigliera regionale Pd Roberta Mori, che di lui fu pure sindaca in quel di Castelnovo Sotto una vita fa) dopo un mezzo bicchiere di rosé, non oltrepassassero i livelli di decenza semantica.

Insomma una piazza trionfale al colpo d’occhio. Almeno 700 coperti, tra il palazzo comunale, eccezionalmente adibito a base logistica dell’avvenimento gastrofilantropico, il sagrato del Duomo, sotto cui si sviluppavano gli appetizers da consumare in piedi peregrinando di crocchio in crocchio amicale, di capannello in capannello politico, di cenacolo in cenacolo economico, e la statua del Crostolo, già appannaggio della Reggia di Rivalta, sotto cui stava, giacente da mezzo secolo, il palco della regia.

Il famoso emblema della città, quasi chino ad irrorare d’acqua le rigogliose campagne dalla fonte inesauribile del suo orcio, e che, sempre i fumi dell’alcool e le vampate di caldo, allo scrivente ad un certo punto è parso improvvisare una riverenza al palco di Telereggio (in diretta per l’evento e per i suoi 50 anni di vita) all’indirizzo della Wanda Osiris della serata, la conduttrice Cristiana Boni. Che sarebbe andata avanti ben oltre il termine della cena, là dove osa il sonno del meritato riposo del cittadino non più giovanissimo del centro, sotto l’attento sguardo registico severo ma giusto di Edwin Ferrari (presidente Boorea nonché presidente di TRMedia).

Provateci voi a mettere assieme, in un sol colpo, 750 coperti poco meno di 1000 (non troppo garibaldini come quelli dello sbarco a Marsala bensì pazientemente approntati), 150 volontari tra camerieri, cuochi, mescitori di vinelli, guardiani dei varchi (ad emettere l’inappellabile sentenza ai reggiani in fila “tu sì”, “tu no” ma alla fine c’è stato il “tana libera tutti”) e tutti gli chef stellati della provincia. da Roberto Bottero della Clinica Gastronomica da Arnaldo di Rubiera (col primo “La Spugnolata”), Jacopo Malpeli dell’Osteria del Viandante di Rubiera (col secondo “Il filetto quello tenero cotto in rosa”), Andrea Incerti Vezzani di Ca’ Matilde di Rubbianino di Quattro Castella (col dolce “Il Ricordo della mia torta di riso”) ed una sfilza di altri chef da Giovanni Mandara della Piccola Piedigrotta di Reggio a Dario Nizzoli dell’omonimo ristorante di Villastrada, da Leonardo Giribaldi sempre dell’Osteria del Viandante a Gianni Brancatelli del “Burro&Salvia” di Reggio ed ancora ad Alessandro Tagliavini delle Pause Atelier dei Sapori ancora a Reggio. Una, due, tre stelle Michelin ad una cifra abbordabilissima e con ricavato ad importanti progetti di solidarietà, dall’Ucraina (Paese non troppo amato da certi ambienti reggiani) alla Siria, dalla Gast di Reggio al Madagascar.
In sostanza, il segmento più visibile della filiera agricola, produttiva, imprenditiva di casa nostra, ovvero la qualità e la laboriosità delle eccellenze a tavola unito alla vocazione solidale che da Reggio children a Reggio città delle persone passando per il diritto alla Bellezza, fa di Reggio Emilia un piccolo grande esempio di cooperazione ed inclusività.

Morale aneddotica finale come nelle favole di Fedro, anzi prima ancora di Esopo: la serata adunante più di mezzo mondo politico, amministrativo ed economico della provincia per una volta almeno tutti rilassati e sorridenti (anche grazie al poker di vini calato mandibola facendo), dimentichi delle beghe strapaesane sulle prossime candidature e memori magari dei tratti di strada percorsi assieme per assonanza ideale o congiuntura storica, tutti al cospetto del mezzo secolo di trasmissioni di Telereggio, ha anche sentenziato al sottoscritto, impegnato per un trentennio in un’altra emittente reggiana (che oggi non saprei sia ancora attiva) teoricamente concorrente dell’ammiraglia di cui sopra, che la realtà smentisce sonoramente l’antica tradizione sapienziale dei Libri veterotestamentari di Samuele. Nella vita di tutti i giorni infatti, alle prese con la dura legge del mercato, è sempre Golia che abbatte Davide. E senza nemmeno troppi sforzi.