I locali di "Villa La Brocchi"(Borgo San Lorenzo), ristrutturati per essere adibiti a luogo di accoglienza per immigrati, secondo un progetto nato nel 2004 per creare risposte positive e concrete al fenomeno dell'immigrazione, nella direzione di un percorso di cittadinanza ed integrazione, hanno ospitato ieri sera un incontro con Don Luigi Ciotti per l'anniversario di "Libera Terra". La struttura è stata designata a tale scopo in quanto luogo simbolo di rispetto della diversità e di difesa dell'uguaglianza.
Se nel nostro Paese le figure che accostano a temi politici un forte carisma sono temute da molti, questo non è più vero se a parlare è Don Ciotti. Il tono della voce s'innalza quando e gli occhi si chiudono quando pronuncia le parole "carità, verità, uguaglianza", in un appello alla legalità che suona quasi come una preghiera. Si parla di un amore che fonde i caratteri di quello cristiano per il prossimo con quello per la legalità, senza la quale la parola democrazia si pronuncia a fatica, con imbarazzo. La corruzione, la "peste bianca" (come la definì il Cardinale Martini nel 1984), sottrae al Paese l'esorbitante cifra di 60 miliardi di euro l'anno. Si assiste in Italia a una sorta di duplice componente mafiosa, viva e attiva sul territorio: se da un lato esiste la "micro-mafia" che ogni anno distrugge i raccolti dei terreni che Libera gli ha sottratto e ha reso produttivi, dall'altro c'è la corruzione della politica che sembra costituire un problema di dimensioni più vaste.
"Mentre può e deve esistere una politica senza mafia – dice Don Ciotti – non può in nessun modo esistere una mafia senza politica e senza un supporto sociale in cui proliferare". Libera si occupa dunque di curare tale supporto, con risultati che hanno del miracoloso ( cosa dimostrata anche soltanto dai 6000 volontari che occupano ogni anno i 6000 posti disponibili per lavorare nei campi), ma chi si occupa di coltivare una politica "che è arrivata ad eliminare il reato di falso in bilancio o a raggiungere il 90% di indagati per corruzione in un consiglio d'amministrazione regionale"? Don Ciotti non grida, non fa demagogia, il tono della sua voce è alto perché forte di una miriade d'altre voci. C'è quella del magistrato, morto perché fatto esplodere dentro una delle tre macchine uguali che gli ricordano ogni giorno d'aver paura, di non avere libertà. C'è la voce del ragazzo che faceva parte della scorta, lontano da casa, dagli affetti, dalla vita vera, crivellato dai proiettili d'una mitraglietta metre accompagnava volontariamente un collega lasciato senza protezione. E poi ci sono altre voci, quelle più assordanti, più numerose, che non smettono mai di urlare, sono quelle di chi resta, delle famiglie che chiedono giustizia, per le quali il peso dei loro morti adesso è lo stesso di poche parole. Questi, prima ancora di avere giustizia, chiedono la verità soltanto, e con molta probabilità non l'avranno mai.