Le radici della violenza

clizia-il-mito-del-girasoleIn queste giornate di inizio estate, avvolte da una canicola repubblicana che sa di fine impero, ho riscoperto il piacere della lettura de Le Metamorfosi di Ovidio.

Abbracciando con il pensiero il mito solare di Clizia che, bellissima tra le Ninfe, fu condannata per la sua gelosia nei confronti di Apollo a trasformarsi in girasole, sono distolto dal fastidio della parola violenza di cui trasudano le mie altre letture quotidiane.

Veramente difficile non cogliere come questa espressione abbia finalmente acquisito nel mondo contemporaneo il significato che le è proprio.

Perché se la radice vis ci richiama alla mente l’uomo eroico (vir), quello esemplare, talmente ieratico da non sembrare vero ma allo stesso tempo così terribilmente uomo, fatto di pasta e sale del Mediterraneo, quell’uomo che osa sfidare le divinità pur cercando di carprine i misteri nelle calde notti di Eleusi, il suffisso uléntus (appunto viulentus, violentus cioè violento) ci riporta a ciò che è invece la maggiore depravazione dell’uomo, inteso come essere animato: l’eccesso, l’oppressione fine a se stessa, il dispergere ed il distruggere senza ragione, senza discernimento.

La violenza come negazione della vita che è in se l’uomo e, massimamente tra tutti, lo spirito femminineo.

Perché se anche la forza, l’impeto, a discapito delle tante (troppe) anime belle, hanno e devono avere una guida, una ragione e financo un senso, l’eccesso furioso, quello degradante ed umiliante – si sprigioni esso sotto la luce dei riflettori o nelle tante prigioni domestiche – è qualcosa di talmente abnorme da non potere e da non dover trovare giustificazioni sia nel contesto sociale tanto propinato dai cattolici maturi sia nel pietismo (pure, aimè, cattolico) della logica del “poverino”.

Quello ha avuto un’infanzia difficile, quest’altro vive in un ambiente particolare, quell’altro ancora ha sofferto, questo ha rimediato un brutto voto e così via, in un climax ascendente di giustificazioni contorte, spesso bislacche, un vortice di spiegazioni non chieste che tentano di colmare il vuoto di troppe risposte non date.

Poi l’eccesso diventa fisico, plastico, ed allora il parossismo dell’essere umano svolta verso l’irrazionale (che non è il trascendente, neppure quello dionisiaco del mito di Penteo), la scusa buona a tutte le ore del “non poteva essere in se”.

Morgan_Evelyn_de_-_Clytie_-_1887Papini e prima ancora Baudelaire ne erano convinti che la principale astuzia del Demonio fosse proprio quella di far credere all’uomo che esso non esistesse, che fosse morto.

Ed ecco allora che l’uomo moderno, l’uomo senza limiti e del dominio della mente e del corpo su tutto, anche sulla vita, mirabilmente aiutato dalla solidaristica e comunitaria Chiesa moderna, dimenticando la presenza del Male (o del divino), negandogli perfino la dignità di esistere, finisce paradossalmente per limitare se stesso, ridicolizzandosi: non più correo o, se volete, strumento di un’entità ancestrale superiore e trascendente, umbra Dei, ma invertebrato essere senza discernimento; insano al di fuori delle vere patologie psichiatriche recupera il senno una volta commessa l’atrocità, non sbaglia perché, non capendo, non poteva errare.

Uno stato a ben vedere più degradante di quello animale dove errore e punizione si susseguono invece, implacabili, in una logica assai più nitida e lineare.

E non potendo errare non può essere redento (altra grande differenza tra l’irrazionale ed il trascendente) o quanto meno non potrà mai apprendere dall’errore commesso perché, appunto, mai vissuto come tale.

Ed è forse proprio questa la sua vera dannazione.

Uomini e donne con vite piene di buchi neri, di anonime zone grigie (e franche) di pseudo follia che null’altro sono poi che le terre del Male, che altro non sono che la desolazione del nulla.

Per “intervalla insaniae” avrebbe commentato Lucrezio Caro, per “temporanee assenze di lucidità” direbbe di se l’uomo violentus di turno, lasciandoci l’uno parole “quasi musaeo dulci contingere mellle” (quasi cosparse dal miele dolce delle Muse) l’altro un corpo straziato e martoriato senza alcuna ragione.

Anche la Follia ha la sua dignità, a volte.

Alessandro Nironi Ferraroni

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