La cultura della pace passa da San Quirico e Monticchiello

San Quirico d’Orcia – La val d’Orcia è valle di pace perché pacifista. Lo vediamo innanzitutto a San Quirico dove in occasione di Forme nel verde, l’annuale mostra di sculture contemporanee en plein air, i rinascimentali horti leonini si trasformano in “horti pacis” (dal 23 luglio al 2 novembre), rassegna diretta da Carlo Pizzichini.

E, per rimarcare che la pace non è una questione dei singoli, non si tratta di una mostra monografica: vi hanno partecipato decine di scultrici e scultori, toscani, italiani e internazionali, compresi ucraini e russi. Emanuele Giannetti fa dialogare l’acciaio arrugginito di uno scudo non usato da tempo con il travertino delle fondamenta di una città e li chiama “Orizzonti”.

Umberto Cavenago ci fa sentire tutto il peso della guerra con “la 74”, inamovibile carro armato stilizzato e arrugginito che quando ci si sbatte sopra rimbomba con un suono vuoto e terrificante. Enzo Scatragli partorisce un bambino in marmo rosa del Portogallo dal marmo bianco di Carrara. Piero Sbarluzzi ricorda, con la terra cotta, come il lavoro contadino di una volta, lavoro collettivo, scandito dal ritmo delle stagioni e delle feste forma una “scena di pace”.

E poi Aidan Salakova con il suo marmo calacatta bluette materializza un minareto caduto, come a ricordare la follia delle recenti guerre “occidentali” in medio oriente. E una scultura di Kurt Laurenz Metzler del 1978 ci ricorda il grande “sogno socialista”. Infine, la statua di Cosimo III dei Medici di Giuseppe Mazzuoli del 1688 al centro del giardino riprende vita. Stefania Vichi se ne prende cura (“Take care”) circondandolo di sfere gonfiabili di plastica trasparente, le stesse che si usano per non far prendere urti alle opere durante il loro trasporto. E’ risaputo. Cosimo III non fu un gran pacifista ma, cattolico devotissimo, perseguitò gli ebrei di Toscana.

Al posto di abbattere la statua classica come potrebbero suggerire certi adepti della cancel culture, Stefania Vichi obbliga il bigotto Cosimo a sottoporsi ad un’erotica danza con la prima ballerina dell’opera di Kiev, Yevgeniya Korshunova, vestita in rosso dalla stilista russa Vlasova Alyona Olegovna. E come se non bastasse, in piena notte, ruotano intorno a lui anche le ballerine dello Studio Danza Giubilei di Città di Castello, con “Curami” dei CCCP sottofondo, tutte di bianco elettrico, come le lucciole ormai sempre più rare in val d’Orcia. Nelle loro opere, il pacifismo, da astrazione generale, si fa materia, carne. La pace del marmo, del metallo, del legno, della terra cotta e addirittura della plastica è scolpita, modellata, cotta, installata dalle mani degli artisti. La pace dei corpi balla.

Contemporaneamente, dall’altro lato della val d’Orcia, la gente di Montichiello, isola felice ma non priva di preoccupazioni, dal 30 luglio al 14 agosto, mette in scena nella piazza della Commedia il suo 56° autodramma; l’espressione fu suggerita da Giorgio Strehler ad indicare che è la gente stessa, e non degli attori professionisti, che fa il teatro e che si fa nel teatro e con il teatro durante l’intero anno fino alla rappresentazione. In cinque decenni, gli ingredienti fondamentali del teatro povero non sono cambiati come non cambiano quelli della trattoria Bronzone (pici fatti a mano al ragù e trippa alla val d’orciana). L’autenticità è già quasi verità: le idee di ogni autodramma derivano da ciò che avviene realmente nel paese e gli attori non sono commedianti ma recitano e sono loro stessi.

La povertà: mezzi, persone e soggetto semplici, quotidiani, essenziali sono al centro della scena. Il carattere collettivo, sociale: si spezzano le battute, come si spezza il pane. L’intreccio tra tempi storici diversi: passato, presente e futuro. E, legata a tale intreccio, la politica, tesa sempre al miglioramento delle condizioni del paese, in ogni senso. Lo spettacolo di quest’anno si chiama “Ultima chiamata”, autodramma della gente di Montichiello con i registi Giampiero Giglioni e Manfredi Rutelli. Tra i protagonisti si ricordano gli storici Idro Guidotti, Arturo Vignai e Paolo Del Ciondolo affiancati dai più giovani Arianna Di Carlo, Giulia Casiroli, Marco Vignai Lorenzo Manzini e Alessandro Barni.

L’autodramma fa comunicare il lontano 1956, dominato dal dibattito politico tra comunisti e democristiani, al momento dell’entrata dei carri sovietici in Ungheria, con un futuro prossimo privo di democrazia in cui un tecnocrate “direttore” e non più un “presidente” detta alla nazione, tramite un’interattiva videoconferenza, ciò che essa deve fare in un contesto di grave crisi. Democrazia e autoritarismo, telefono e videoconferenza, pace e guerra, uguaglianza e ineguaglianza, a distinguere questi termini antipodici ci pensa non l’astrazione ma un filo; quello che le donne del paese recalcitranti ad ogni forma di violenza usano per tessere una grande bandiera di pace che recita: “le donne di Montichiello vogliono la terra e no la guerra.”

Così, in val d’Orcia, la cultura che è cultura delle arti ma anche della terra, svolge pienamente il suo ruolo sociale più alto: dare coscienza. Val d’Orcia, valle di cultura e valle di pace anche perché non vi si è ancora dimenticata la seconda guerra mondiale che, tra i tanti, visse, combattendo nella resistenza, anche Mario Guidotti, colui che ideò sia Forme nel verde che la formula dell’autodramma e del teatro povero di Montichiello.

 

Foto:  In alto: Umberto Cavernago: la 74 2006 Acciaio CorTen 300 × 205 × 216 cm.
al centro: Installazione/performance « Take care » di Stefania Vichi con il Corpo di ballo Studio Danza Giubileo, Horti leonini.
Sotto: Le donne di Montichiello, « Ultima chiamata », foto di Emiliano Migliorucci
In basso: Bandiera della pace cucita dalle donne di Montichiello, « Ultima chiamata », foto di Mario Ranieri Martinotti

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