Firenze – La donna che osò amare sé stessa. Un titolo evocativo per una biografia che si legge come un racconto ma che offre anche uno spaccato di mentalità, costumi, alla metà del XIX secolo e la cui valenza saggistica ci aiuta a capire come, in un universo maschilista, l’abilità diplomatica e il ruolo politico delle donne siano stati misconosciuti tanto che si è perpetuata l’erronea convinzione che si trattasse di mera politica del boudoir.
Con il suo stile inconfondibile, che riesce a rendere di agile lettura anche argomenti complessi, Valeria Palumbo ci offre una biografia innovativa della contessa di Castiglione (La donna che osò amare sé stessa. Indagine sulla contessa di Castiglione — Neri Pozza Editore 2021). Nel sottotitolo si parla giustamente di Indagine. Perché questo lavoro non è una mera rivisitazione interpretativa.
Valeria Palumbo, con talento investigativo ha visitato archivi, Fondazioni, dimore storiche e lapidi sepolcrali nei cimiteri. Insomma, una minuziosa ricerca di fonti di prima mano che le consente anche di allargare l’orizzonte e di inserire la biografia di Virginia Oldoini, nella vita sociale dell’epoca, con riguardo alla vita di corte, alle vicende diplomatiche di cui la contessa fu una protagonista, ma anche alle usanze, ai costumi sessuali. E Per mettere a fuoco la personalità della Castiglione, l’autrice delinea anche i caratteri di coloro che interagirono con lei. Da Cavour, a D’Azeglio, Vittorio Emanuele II, Napoleone III, Nigra, l’imperatrice Eugenia.
Ma, soprattutto, Palumbo analizza l’enorme sottovalutazione del ruolo delle donne nel Risorgimento. E un capitolo di questo libro offre uno spaccato diacronico della politica al femminile a cominciare da Nefertari, passando per il Rinascimento senza omettere la stessa imperatrice Eugenia.
Quanto alla Contessa di Castiglione, in questo libro si afferma che ha pagato come altre donne del suo tempo la sua voglia di autonomia per non piegarsi a una morale che per le donne “è sempre stata repressiva o punitiva”. E poiché – osserva Palumbo – l’Italia si fece senza rendere le donne cittadine. E allora ricordare la Castiglione come una “peccatrice” è stato un abile stratagemma per giustificare l’esclusione di tutte le donne da quell’agone. Ecco perché si parla della donna “osò” amare sé stessa: anche quello di piacersi, era un atteggiamento disdicevole, socialmente deprecabile.
E finalmente – aggiungo con una certa enfasi – vedo che in questa biografia il ruolo centrale non è della celebre, impalpabile, camicia da notte indossata nella fin troppo famosa notte d’amore passata con Napoleone III a Compiègne. Anzi c’è un capitolo intitolato: Non era una questione di camicia da notte.
Più importante conoscere, anche al di là del fatto se fosse stata presente o meno a Plombières quando furono presi gli accordi per l’alleanza franco-piemontese, la determinazione e la passione che aveva per la causa italiana. Una passione che la portò a sdegnarsi quando Napoleone III decise di non varcare il Mincio e di siglare l’armistizio di Villafranca.
Non a caso, proclamava di aver contribuito a fare l’Italia, però – fa presente Valeria Palumbo – non ha trovato posto nel Pantheon dei fondatori della patria, peraltro tutti maschi fino a tempi recentissimi. Senza spoilerare cerchiamo di delineare con Valeria Palumbo alcuni argomenti affrontati nel libro
La donna che osò amare sé stessa. Cosa indica questo titolo così inconsueto ?
Valeria Palumbo: Virginia Oldoini è passata alla storia come una narcisa. È l’aggettivo che sento più spesso ripetere ancora oggi nei suoi confronti. Non dico che non lo fosse. Al contrario. Credo che avesse il diritto di amarsi e ne avesse pure ragione: non solo fin da piccola è stata adulata e vezzeggiata, ma tutti hanno sempre riconosciuto che fosse anche intelligente, dotata di intuito politico e volitiva. Il paradosso è proprio questo: alle donne si “concedeva” il diritto di essere adulate (più che amate, direi). Ma non quello di volersi bene e quindi di voler mettere a frutto le loro doti.
Quelle di Virginia erano molteplici. E per quanto Virginia non fu una rivoluzionaria e una donna colta come, per esempio Cristina Trivulzio di Belgioioso, la sua autonomia di pensiero e il suo carattere non potevano essere contenuti negli stretti binari concessi alle donne. Quei binari erano troppo stretti per lei. Virginia ne soffrì moltissimo e la sua insofferenza è stata scambiata, tanto per cambiare, per follia. Non sarebbero mai stati imposti a un uomo: perfino un provinciale di origini modeste come Costantino Nigra poteva aspirare a una brillante carriera (anche se è vero, come racconto, che fu a lungo discriminato proprio perché non nobile) benché non gli si riconoscessero particolari talenti. Ma una donna no: una donna che si ritenesse brava, in politica, negli affari, nelle arti, semplicemente non poteva aspirare che alle briciole. Non solo, ma la sua ambizione sarebbe stata, com’è stato nel caso di Virginia, duramente condannata. Ecco, nonostante questo, la contessa di Castiglione ebbe la tenacia di provare e riprovare. Non si lasciò abbattere. Credette in sé stessa. L’ha pagato fino a oggi.
Come è nato questo libro?
Valeria Palumbo: Da lunghe chiacchierate con il direttore della collana, Pierluigi Vercesi, che è anche un inviato del Corriere della Sera e ha diretto Sette. Lui non a caso ha appena firmato una biografia di Cristina Trivulzio di Belgioioso. Io stavo pubblicando con Laterza Non per me sola, che è la storia delle italiane, dall’Unità agli anni Settanta ricostruita a partire dalle parole delle scrittrici. Ovvero da un vero e proprio minority report: alle donne è stata tolta prima di tutto la voce. Si è sempre dato per scontato, nel racconto monopolistico maschile, che fossero felicissime nello spazio in cui erano state costrette: quello di spose fedeli e madri prolifiche senza alcun diritto né sui figli, né su sé stesse, né tanto meno sui mariti, sui beni economici, sugli spazi pubblici. Virginia, in questo senso, anche attraverso la scelta della separazione, è stata un’indomabile. Una testimone che, nonostante il lavaggio mentale e le discriminazioni subite sin dalla nascita, non tutte le donne si piegavano.
Quale fu la reale influenza politica della Castiglione su Napoleone III ?
Valeria Palumbo: Secondo me nessuna. Napoleone III ha, a un certo punto, deciso di assecondare il sogno di Cavour di unificare il Nord Italia (quindi non l’Italia intera né tanto meno di inglobare lo Stato della Chiesa), perché voleva fare una politica espansionistica ai danni dell’Austria che in qualche modo gli desse un lustro simile a quello del presunto zio, Napoleone I (dalle moderne analisi genetiche risulterebbe che non sono imparentati in linea paterna: o lui o il padre erano nati fuori dal matrimonio, cosa che, all’epoca accadeva molto più spesso di quanto non si creda). Cavour, per portarlo dalla sua parte, dispiegò tutti i mezzi che gli vennero in mente: dal carisma dell’attrice patriottica Adelaide Ristori all’avvenenza di Costantino Nigra che doveva flirtare con l’imperatrice Eugenia. Si fa ancora oggi e sono del parere che non bisogna mai sottovalutare il peso delle motivazioni personali, anche le più miserrime, nelle grandi scelte politiche. Ma alla fin fine il tema “Italia” andava ben oltre le fameliche pulsioni di Napoleone III. Virginia voleva l’Unità d’Italia ma credo che sapesse lei stessa che bisognava agire a più livelli per costruirla e i suoi legami politici, oltre che la sua attività di spia per il governo sabaudo, attestano che adoperò tutti i suoi spazi di manovra. Viceversa Napoleone III sbagliò a non ascoltare Virginia sul tema Prussia: lei intuì tra i primi che la Francia sarebbe stata travolta. Da un punto di vista politico, ritengo che la sua azione più grande sia stata proprio quella a favore di Adolphe Thiers e della terza Repubblica francese dopo la disfatta di Sedan.
Come è percepito oggi questo personaggio nell’opinione pubblica ?
Valeria Palumbo Mah, pochi la ricordano e quei pochi riecheggiano la leggenda della “prostituta reale”, la bamboccia bella e capricciosa al servizio di Cavour che poi protestò perché fu messa in un angolo. Devo dire che, un po’ come è accaduto a Lucrezia Borgia o Caterina de’ Medici, Virginia è il tipico caso di inerzia di un mito negativo femminile che le evidenze storiche faticano a scalfire nell’immaginario popolare (e non solo in quello popolare). La misoginia della storiografia ha grande peso sui miti di massa.
Hai dedicato un capitolo al suo modo di vestire e uno alla sua passione per la fotografia. Qual è la loro importanza ?
Valeria Palumbo Decisiva. La contessa di Castiglione ha intuito con una perspicacia sorprendente le potenzialità della fotografia come “racconto per immagini”. L’ha usata come un ininterrotto autoritratto. E questo in barba a chi pretende che non sopportasse di invecchiare: si è fatta ritrarre sino alla fine, prendendosi in giro, per esempio lasciando ritrarre i suoi piedi nudi e gonfi, un doppio scandalo all’epoca. La fotografia è stata la biografia che non ha mai avuto. Ma è stata di più: perché lei ha controllato tutte le fasi della messa in scena. Passava ore a preparare l’inquadratura, ritoccava le foto, dava loro un titolo, le costruiva come solitari tableaux vivants. Per quanto riguarda poi gli abiti, a parte la sua predilezione per colori che a fine secolo sarebbero divenuti di moda, come il violetto e il nero, sapeva benissimo che vestirsi significa indossare un personaggio. Curava le sue mises nei minimi dettagli, faceva e rifaceva gli abiti, era attentissima agli accessori. Alla sua morte ne hanno trovato cataste. In fondo, au contraire, l’importanza dell’abito femminile e del suo potere di seduzione e racconto è talmente chiaro che alle donne si è arrivato a imporre il burqa o il niqab. Vestirsi significa assumere un ruolo sociale, voluto o no.
Valeria Palumbo (foto): giornalista, storica delle donne e autrice teatrale, è caporedattrice del settimanale Oggi. È stata caporedattrice de L’Europeo e di Global Foreign Policy, ha lavorato per la Gazzetta dello Sport, il Corriere della Sera, Amica e Capital. Corrispondente della Radio della Svizzera italiana, è docente a contratto di radio e tv web alla Statale di Milano. Collabora con istituzioni, enti di ricerca e associazioni. Tra i suoi libri, Prestami il volto (2003), Svestite da uomo (2007); Le figlie di Lilith (2008), L’ora delle ragazze Alfa (2009), Geni di mamma (2013), Piuttosto m’affogherei. Storia vertiginosa delle zitelle (2018), L’Epopea delle lunatiche. Storie di astronome ribelli (2018), Veronica Franco, la cortigiana poeta del Rinascimento veneziano (2019), Non per me sola (2020).