Iran e Arabia Saudita, prove di disgelo

Primi incontri ravvicinati dopo l’accordo a sorpresa

A Mashhad, la città santa dell’Iran dov’è sepolto l’Imam Reza, l’ottavo Imam dei musulmani sciiti, il cui mausoleo ogni anno è visitato da milioni di pellegrini , Nimr Baqer al Nimr, un religioso sciita popolarissimo tra gli sciti sauditi che fu condannato a morte e decapitato dal rergime saudita  nel 2016, non darà più il suo nome a una delle strade che conducono al mausoleo . Un segno anche questo del disgelo in corso tra Iran e Arabia Saudita. L’accordo a sorpresa tra le due potenze rivali del Medio Oriente  annunciato da Pechino il 10 marzo scorso prevede per ora il ristabilmento dei rapporti diplomatici e la riapertura delle reciproche ambasciate , che erano state chiuse proprio in seguito alla condanna  di Nimr al Nimr,  e alle proteste che ne seguirono, tra cui un attacco all’ambasciata saudita di Teheran da parte di una folla inferocita. 

Ma se finora altri tentativi di trattativa tra Teheran e Riyad sono sempre  finiti nel nulla, tutto lascia pensare che oggi siamo invece di fronte aun cambiamento profondo nella regione. Un decennio di guerre e devastazioni in varie zone della regione spinge  i diversi Paesi arabi  a cercare  la distensione. E, soprattuto, l’accordo è stato promosso e garantito dalla Cina, che per la prima volta si propone al posto degli Stati Uniti se non nel ruolo di garante della sicurezza del Golfo  certamente in quello di grande mediatore.

Il maggiore  ostacolo a un riavvicinamento tra Riyad e Teheran era stata finora la guerra nello  Yemen, dove i sauditi armano le truppe governative contro i ribelli Houthi , aiutati a loro volta dall’Iran. Sembra però che finalmente qualcosa si muova anche in questa guerra rovinosa che in nove anni  ha portato lo Yemen al collasso totale: –la popolazioine  muore di fame e di colera, mancano cibo, medicinali, in una parola tutto meno che e armi. Per la prima volta una trattativa tra Riyad e gli Houthi sembra possibile, c’è stato almeno un grosso scambio di prigionieri. Questo  non significa che il conflitto sia finito, appunto perché non è solo una guerra per procura tra Teheran e Riyad ma anche una durissima lotta interna. 

La distensione  si sta manifestando su vari fronti,  all’improvviso nella regione tutti parlano con tutti o quasi. Anche  rivali storiche come  Egitto e Turchia hanno ripreso i contatti. E le aperture dell’Arabia Saudita vanno in varie direzionei, non solo verso gli Houthi e verso l’Iran ma anche verso la Siria di Bashar Assad. Il ministro degli Esteri saudita ha appena visitato Damasco per la prima volta dopo la “primavera”  del 2011, che è finita come sappiamo in una tragedia  per il popolo siriano pur lasciando Assad al suo posto. In questi giorni in una rinioine straordinaria al Cairo i ministri degli Esteri dei Paesi arabi hanno deliberato il rientro della Siria nella Lega Araba, mettendo così fine all’isolamento di Bashar al Assad. Le autocraziere della regione hanno evidentemente deciso di sotterrare le loro rivalità per darsi una mano a mantenere il potere. Per i popoli del Medio Oriente non è detto che sia una buona notizia, ma in ogni caso  preferibile alle guerre che insanguinano la regione da un decennio. 

 In tutte queste evoluzioni s’intravvede la mano della Cina, e anche della Russia. Arabia Saudita e Algeria per esempio hanno chiesto l’adesione ai Brics accanto a Russia e Cina. E tutto sommato, i Paesi arabi che non condividono l’esecrazione occidentale nei confronti di Putin,  non nascondono anche una certa soddisfazione di non essere più la polveriera del mondo che si è spostata in Europa.

Come si è arrivati al disgelo? Si direbbe come risultato di due debolezze. Per i sauditi l’attacco all’impianto  dell’Aramco che nel 2019 dimezzò in poche ore la produzione di petrolio del Paese (rivendicato dagli Houthi ma sospettato di provenienza iraniana) fu un avvertimento. La sicurezza del Paese era più fragile del previsto e la protezione americana meno affidabile (in effetti non ci fu nessuna risposta americana). Probailmente Riyad comincia a temere di aver fatto un errore spingendo Trump nel 2018 a sconfessare l’accordo nucleare con  Teheran che era stato concluso durante la presidenza Obama. L’accordo (denominato JCPOA, Joint comprenhensive Plan of Action, avrebbe impedito all’Iran per oltre un decennio di  arricchire l’uranio a livelli sufficineti a costruire la bomba atomica. La sconfessione dell’accordo, che era stato convalidato dalle Nazioni Unite, ha reso l’Iran più aggressivo. Oggi Teheran è ormai vicina alla soglia nucleare, e Israele, che ha il governo più di destra della sua storia,  torna a minacciare un attacco preventivo contro i siti nucleari iraniani. 

Una guerra porterebbe il caos in tutta la regione e l’Arabia Saudita vuole stabilità, ne ha bisogno anche per realizzare la diversificazione economica voluta da Mohammad bin Salman in vistia di un futuro con sempre meno petrolio. Ha cercato una de-escalation regionale, prima coi vicini del Golfo e Israele, promuovendo i Patti di Abramo,  ora con l’apertura all’Iran che però a Gerusalemme fa paura perché diminuisce la pressione sull’Iran e perché la Cina guadagna influenza in Medio Oriente a scapito degli Stati Uniti . 

Anche l’Iran parte da una situazione di debolezza e ha bisogno almeno che finisca la guerrra nello Yemen. E’ stremato dalle sanzioni, colpito dagli sciopero di milioni di lavoratori non pagati che non vogliono più che le ormai scarse risorse del Paese siano destinate agli Houthi o agli Hezbollah invece che a pagare i loro stipend; è incapace di fermare le proteste di giovani e giovanissimi, che nonostante la continuano da settembre; ed è sconcertato dagli avvelenamenti nelle scuole di cui non riesce a venire a capo s che stanno rinfocolando le proteste.Ha bisogno di rilegittimazione, almeno nella politica estera. 

Autorevoli esperti come Vali Nasr e Ali Vaez, rispettivamente ex consigliere di Obama e direttore dell’Iran Crisis Group, scrivono su Foreign Affairs che se il JCPOA è ormai irrecuperabile, la ripresa dei rapporti tra  Iran e Arabia Saudita (già erano ripresi quelli con gli Emirati e con il Kuwait) potrebbe sostituirlo:  un grande  dialogo regionale di tutti i Paesi del Medio Oriente (eccetto evidentemente Israele)  potrebbe portare a tutto quello che ci si aspettava dal JCPOA:maggiore sicurezza, maggiori scambi commerciali e un Golfo Persico senza armi mucleari.

Photo By Carport – Own work, using map data from administrative map by NordNordWest. The relief was created from SRTM-30 relief data., CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10352142

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