Indignados: Spagna-Italia 4-0

Una settimana in giro per Madrid, cuore dell’indignazione europea. Dove la protesta è trasversale e farebbe un gran bene al nostro scalcinato Paese

Alla fine era inevitabile comprarla: la maglietta rossa del triplete, un mondiale e due europei di seguito, di cui l’ultimo a nostre spese, campeggia infatti in tutti i negozi di pocci e balocchi a Madrid e dintorni. Con su scritto: Spagna-Italia 4-0. Da quelle parti non si scherza, né in fatto di calcio, né in termini di indignazione. Certo, se volete il quadro di una società ad alta accelerazione disgregatoria, una settimana a zonzo per la capitale iberica può darvi l’esatto quadro di quello che rischia anche il Belpaese, ammesso e non concesso che il processo, carsicamente ma non troppo, non sia già in atto anche sotto i nostri piedi.

Le propulsioni regali, franchiste, poi di giovane democrazia balzata in un decennio ai massimi livelli e ora in caduta libera, si liberano ogni momento nel ginepraio moresco di un popolo passionale. I poveri ad ogni angolo di strada, i 3per2 nei negozi, le mani alzate elemosinanti, la criminalità in aumento; ma anche una grande voglia di partecipare e far sentire la propria voce. Provate voi a portare a termine, come turisti alle prime armi, un City-tour tutto intero. Nemmeno il museo delle cere è del tutto esente da qualche forma di protesta. Anche i candeloni con le fattezze dei grandi della storia sono indignati e se la prendono col servizio pubblico.

A Puerta del Sol, cuore della Madrid protestataria, è una manifestazione continua; e al grido-domanda sulla compatibilità tra democrazia e finanza capitalistica, scandita dall’agitatore di turno, non partecipa solo l’esponente tatuato del centro sociale lì vicino, ma anche il signore in giacca e cravatta, la nonna coi nipotini di ritorno dalla spesa, il borghese come il sinistro, gli amici anelli-al-naso e la famiglia più o meno bene. Insomma un Paese mobilitato che sfila trasversalmente alle condizioni e allo status sociale. Per esprimere a politici e finanzieri la rabbia di chi si sente tradito.

Di quella trasversalità indignata si sente bisogno anche in Italia dove ancora si finge di pendere dalle labbra del Casini-pensiero sui gay o delle Napolitano-banalità sulla necessità di coesione. Tassati al 60%: d’altronde ce lo chiedono l’Europa e le banche centrali. Lo esigono apparati e burocrazia, gli stessi squali che spolpano lische nel nome, sempre più improbabile, della pesca miracolosa. Ma non se ne uscirà se non con una rivoluzione culturale, al ribasso naturalmente, il cambiamento degli stili di vita, più equi naturalmente, un ritorno al passato più sano naturalmente.

Lo spettacolo dei partiti alla prese con la disputa sulla legge elettorale è da cronache di fine impero. Quello che continuano a non capire lorsignori è che questa sfacciata volontà di pararsi il culo sempre e comunque ingrossa le file di chi mira ormai alla loro testa. Perché è giunto il momento di chiedersi anche, oltre alla sovracitata compatibilità al netto del miglioramento delle condizioni economiche umane, la compatibilità tra la nostra democrazia partitica e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro; sì ma di chi?

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