Guerre, polemiche, gaffe: Governo in ordine sparso

E Meloni convoca un vertice di maggioranza

E’ cominciata con le elezioni regionali in Emilia Romagna e in Umbria, ampiamente vinte dal centrosinistra, è continuata fra gaffe di ministri e sottosegretari, bagarre in aula sull’autonomia differenziata, un nuovo capitolo sul conflitto fra magistratura e governo, i medici in piazza contro la manovra. Una settimana densa di ordinaria politica nostrana, spazzata via dalle drammatiche notizie che venivano dall’estero. La prima: dopo l’imprevisto colpo di coda del presidente americano Joe Biden che autorizzava l’Ucraina ad usare i missili americani a lunga gittata anche su territorio russo, si è innescata un’angosciante escalation militare. La reazione del presidente Vladimir Putin stavolta non si è limitata alle minacce, dalla Russia è partito un missile balistico ipersonico a medio raggio contro un complesso militare industriale ucraino, uno di quelli che possono essere usati per lanciare testate nucleari e che non sembra neanche intercettabile dai sistemi di difesa aerei. È La minaccia più pesante dall’inizio della guerra perché “da questo momento il conflitto in Ucraina, precedentemente provocato dall’Occidente, ha acquisito elementi di carattere globale”, ha tuonato Putin, aggiungendo che potrebbe colpire chiunque. E il presidente Volodymyr Zelensky ha risposto con un accorato Sos al mondo: “Fermatelo”.

La seconda ‘bomba’ sull’altro fronte di guerra, il Medio Oriente, l’ha lanciata la Corte Penale internazionale dell’Aia, spiccando mandati di arresto per i capi militari di Hamas, il presidente israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant, colpevoli di  “crimini di guerra”, per un “attacco diffuso e sistematico sulla popolazione di Gaza”. Il leader israeliano risponde infuriato: “Decisione antisemita”, ma sembra non curarsene più di tanto visto che nei giorni immediatamente successivi si sono contati altri 15 morti per i raid aerei a Gaza e una ventina di caduti anche nel Libano del sud. 

In Europa c’è sgomento ma si distingue il presidente ungherese Viktor Orban, che disconosce la Corte dell’Aia e assicura che riceverà a braccia aperte Netanyahu. Isolato come spesso gli accade, Orban ha un solo fervente seguace, il ministro dei Trasporti italiano Matteo Salvini:  “Se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto. I criminali di guerra sono altri”.  E poco importa se il suo collega della Difesa Guido Crosetto aveva appena dichiarato che, pur non condividendo la sentenza perché mette sullo stesso piano i terroristi di Hamas con gli esponenti di un governo democratico, comunque,  “se arrivassero in Italia dovremmo arrestarli perché noi rispettiamo il diritto internazionale”. A stretto giro si fa sentire anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani e raffredda la temperatura prendendo tempo: “Valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare”.

I suoi colleghi di governo parlano e straparlano, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni tace, è in Argentina dove fa accordi e sorrisi con il presidente Javier Milei, il ‘turbo liberista’, quello della motosega, ormai simbolo della sua campagna elettorale . 

Le opposizioni invocano una linea chiara dal governo, balbettante sulla pronuncia dell’Aia, e la presidente alla fine parla, ma alla sua maniera, dice e non dice, rinvia, prende tempo, convoca vertici: “Noi rispettiamo e sosteniamo la Corte penale internazionale ma siamo convinti che quello che deve svolgere sia un ruolo giuridico e non politico”, sottolinea, annunciando che “la presidenza italiana del G7 intende porre il tema all’ordine del giorno della prossima ministeriale esteri che si terrà a Fiuggi dal 25 al 26 novembre. Un punto resta fermo per questo governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas“. Non è proprio una linea, ma quanto basta per farla sembrare, tanto che interviene di nuovo anche il ministro degli Esteri e coglie l’occasione per mandare un messaggio implicito ma chiaro al suo collega di governo Salvini:  “Questa è la linea scelta dal presidente del Consiglio, la politica estera la fa il presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri la attua”. Stop, gli altri tacciano, sembra di capire.

Alle turbolenze e stravaganze dei suoi colleghi di governo Giorgia Meloni sembra abituata, anzi a volte rilancia e li difende a spada tratta, chissà quanto convinta o per dovere d’ufficio. Prima ancora di tornare dall’Argentina ha dovuto fare i conti anche con il polverone che non si dirada sul suo sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro e il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Valditara. Il primo, presentando un nuovo superblindato della polizia penitenziaria per il trasporto in massima sicurezza dei detenuti al 41 bis, ha definito “una intima gioia” che i cittadini sappiano come “incalziamo chi sta dietro quel vetro e non lo lasciamo respirare”. Parole esplosive per cui le opposizioni hanno chiesto le dimissioni, ma che Meloni, con qualche evidente imbarazzo, sposa:  “Ha detto che gode nel vedere non respirare la mafia, se questo vi scandalizza ne prendo atto. Io non sono scandalizzata dal fatto che qualcuno dica che questo governo non vuole far respirare la mafia”. 

L’ ‘intima gioia’ di Del Mastro nel non vedere ‘respirare’ i detenuti continua invece a scandalizzare e non solo l’opposizione, ma associazioni, garanti dei detenuti, perfino le Camere penali che esprimono “sgomento” e invocano sanzioni disciplinari dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di cui fa parte anche Del Mastro. Scandalizzato pure Franco Gabrielli, ex capo della Polizia: “Parole inumane. La Costituzione, all’art. 27, non parla di pene vessatorie ma educative, anche per crimini efferati”. Tace invece il ministro della Giustizia Carlo Nordio, più volte chiamato in causa perché “si dissoci dal delirio del suo sottosegretario”, come auspica il presidente della Regione Puglia ed ex magistrato Michele Emiliano.

L’altro ministro all’indice è il titolare dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, per il quale “il patriarcato è finito. Parlare di femminicidio come espressione del patriarcato è una visione ideologica”. Le donne continuano a essere ammazzate, secondo il professor Valditara, perché ci sono “forme di marginalità e devianza in qualche modo discendenti dall’immigrazione illegale”. Non sa il ministro, o ha letto i dati a modo suo, che circa il 90% dei femminicidi avvengono in ambito familiare e affettivo, i migranti c’entrano veramente poco stavolta. Ma non è questo il punto. Il punto è che il ministro dell’Istruzione ha pronunciato queste parole  non in un convegno sul tema immigrazione ma in videocollegamento con la Camera dei deputati durante la presentazione della fondazione intitolata a Giulia Cecchettin, voluta dal padre Gino per ricordare la figlia massacrata un anno fa dall’italianissimo fidanzato.

Dopo le improvvide parole di Valditara è nata la solita bagarre sui migranti e il loro tasso di criminalità, dimenticando il contesto che ha reso sconcertanti quelle affermazioni. Ne restano solo le immagini, le facce mute di chi era in sala dopo aver ascoltato il videomessaggio del ministro. E resta il messaggio Instagram della sorella di Giulia,  Elena Cecchettin:  “Forse, se invece di fare propaganda alla presentazione della fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e ‘per bene’, si ascoltasse, non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro paese ogni anno”.

Ce n’è quanto basta perché Meloni convochi un vertice di maggioranza. A parte le gaffe improvvide, c’è molto sui cui fare ordine,  la manovra, le guerre, le regionali con la sonora sconfitta da metabolizzare in Emilia Romagna e Umbria, i nuovi candidati da scegliere per il Veneto, la battaglia con i magistrati che vedrà un nuovo capitolo al prossimo Consiglio dei ministri dove è stato preannunciato  il ‘dl bavaglio’ contro le toghe, già battezzato così dalle opposizioni.

C’è stata solo una  buona notizia per Giorgia Meloni  in queste giornate complesse e la annuncia lei stessa: “Raffaele Fitto è stato confermato nel ruolo di vicepresidente esecutivo della Commissione europea. Quest’importante incarico attribuito al Commissario designato dall’Italia è una vittoria di tutti gli italiani, non del Governo o di una forza politica”. Insieme a Fitto è stata confermata anche l’altra vice presidente spagnola Teresa Ribera. I due hanno rischiato di saltare insieme per i veti incrociati dei Popolari e dei Socialisti e con loro ha rischiato di saltare la presidente Ursula von Der Leyen che, con Meloni, aveva costruito un capolavoro di equilibrismo per la sua compagine. Pericolo scampato a quanto sembra, ma Salvini non si fa attendere e fredda gli entusiasmi spaccando di nuovo il governo. Si è detto contento per Fitto, ma ha annunciato che il suo gruppo  ancora una volta sarà con Orban e quindi non voterà la fiducia alla commissione. Si ricomincia con la sarabanda di commenti, ma le uscite di Salvini sono ormai attese e quindi bruciano sempre meno, in modo inversamente proporzionale – come raccontano i numeri delle ultime tornate elettorali – alla sua irrilevanza politica sul fronte sia interno che internazionale.

Foto: Gino Cecchettin, intervista a Nove

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