Grillo, lasciali parlare…

Ha fallito, nelle fughe (c’è da chiedersi ancora perché nessuno ha seguito Luca Paolini nel gruppo avvantaggiatosi poco prima del 200° km) e nella preparazione del treno che avrebbe dovuto portare la Pantera aretina allo sprint: mai si era vista tale confusione nelle fasi finali di gruppo da parte del nucleo italiano. La parte del leone l’ha fatta l’Inghilterra, che aveva allestito un team straordinario al servizio del velocista più forte al mondo, quel Mark Cavendish che non per niente si è messo la maglia iridata sulle spalle, e anche l’Australia, che a 2 km dal traguardo ha iniziato a portare Matt Goss nelle prime posizioni, convinta dei mezzi del proprio sprinter (che non per niente è arrivato secondo). L’Italia invece niente, annebbiata, senza guida, senza traccia, chiude al quattordicesimo posto, con Bennati, il peggio risultato dal diciassettesimo posto di Beppe Saronni nel 1983, quando il novarese correva da campione uscente. Ma se in quella fuga… Ma se allo sprint… Come insegna la storia, con i ed i ma non si arriva da nessuna parte. L’analisi deve essere fredda, lucida. L’Italia ha sbagliato, ma non aveva troppe frecce al suo arco. Daniele Bennati, sprinter di livello mondiale, a 31 anni e dopo tanti infortuni difficilmente in un arrivo così veloce avrebbe potuto insidiare quelli andati a podio. Ed era la miglior freccia che avevamo. L’Italia non ha ora come ora uno sprinter in grado di competere con Cav, Goss, Greipel, Sagan e compagnia bella, e il Mondiale danese era per sprinter, punto e basta. Mario Cipollini, che quando vinse l’iride a Zolder nel 2002 di anni ne aveva addirittura 35, arrivò all’appuntamento con, solo quell’anno, sei tappe vinte al Giro d’Italia, tre alla Vuelta di Spagna, la Milano-Sanremo e la Gand-Wevelgem. Era il top. Bennati quest’anno si è portato a casa una tappa alla Vuelta e basta, per altro dopo due anni privi di successi degni di nota. Il Mondiale di Copenaghen non era per questa Italia. C’è chi ha chiesto la testa di Bettini, e lo stesso Grillo a caldo dopo la debacle ha detto che se qualcuno la vuole, lui è pronto a metterla sul piatto. Ma ha detto anche un’altra cosa. Che ha deciso, laddove altri sarebbero scappati, di sedersi su una poltrona scomoda come quella lasciata tragicamente libera da Franco Ballerini, commissario in grado di vincere, in nove anni, quattro Mondiali e una Olimpiade, oltre a due argenti e un bronzo iridato e a un argento olimpico, quest’ultima medaglia poi revocata per doping (Davide Rebellin, Pechino 2008); Ballero tecnico dei grandi successi proprio del Grillo, che con lui si è laureato due volte campione del mondo (più un argento) e campione olimpico. Aggiungiamo noi che Bettini nemmeno lo voleva questo ruolo, ma lo ha preso perché invocato e perché, forse, si sentiva in dovere di ripagare in qualche maniera quell’amico scomparso che in azzurro lo aveva guidato in tutti i suoi trionfi. Paolo Bettini non è un cattivo CT. Al suo primo Mondiale, l’anno scorso, mancò la medaglia per un soffio finendo quarto con un Filippo Pozzato che se solo avesse avuto più fiducia nei suoi stessi mezzi e nel ciclismo inteso come disciplina di sacrificio, di vita, probabilmente fino a sabato sarebbe andato in giro con la maglia iridata indosso, o quanto meno in bacheca avrebbe un argento o un bronzo. Paolo Bettini deve avere un’altra chance. Merita di giocarsi un altro Mondiale su un percorso dove l’Italia possa permettersi di schierare delle punte di prim’ordine. Paolo Bettini deve rimanere saldo in sella e lavorare. Per una volta il Grillo deve accettare che siano gli altri a parlare, ma può lasciar cadere le loro parole e continuare a pedalare tranquillo.

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