Firenze – Fin dall’anno della prima versione, il 1859 (completata dieci anni dopo con il balletto richiesta dall’Opera di Parigi), e per gran parte del secolo scorso i tedeschi si rifiutarono di dare all’opera di Charles Gounod il nome del monumento letterario nazionale di Wolfgang Goethe: Margarethe era il titolo rigorosamente indicato nelle locandine e non Faust, scelto dall’autore, e nei teatri tedeschi l’opera del maestro francese viene tuttora indicata con entrambi i protagonisti.
Interessante dunque l’idea di David McVicar di ambientare l’azione del Faust nella Parigi alla vigilia della guerra franco-prussiana (1870), che poi erano gli anni nei quali visse e lavorò Gounod. Questo capolavoro operistico rappresenta infatti un segno di contraddizione nei rapporti fra le due sponde del Reno, un termometro dei rispettivi tormenti e armamentari nazionalistici, che producono il più spaventoso “patto con il diavolo”, qual è la guerra fratricida.
L’allestimento presenta dunque il rovescio di un’azione musicale che il libretto di Jules Barbier e Michel Carré imposta non tanto nel titanico (e diabolico) desiderio dell’uomo di conquistare la conoscenza assoluta e il potere che ne deriva, quanto sull’incontro romantico fra Faust e Margherita e la tragica fine del loro rapporto. Chi si sentiva Faust e chi non voleva fare la fine della povera fanciulla fra Parigi e Berlino? Chi considerava chi il diavolo che doveva essere esorcizzato? E’ Gretchen e non Faust che alla fine viene accolta in cielo dagli angeli.
L’allestimento di McVicar e della Royal Opera House di Londra, giunge a Firenze, dopo essere passato per le rappresentazioni al Teatro Verdi di Trieste, all’Opera de Lille, e a quella di Montecarlo. Il direttore è Juraj Valčuha, Wookyung Kim interpreta Faust, Carmela Remigio Marguerite e Paul Gay Méphistophélès. Le scene di Charles Edwards includono un memorabile Cabaret l’Enfer e una impressionante ricostruzione della Chiesa di Saint-Séverin.
Teatro dell’Opera di Firenze: dal 20 gennaio, ore 20:00 al 3 febbraio